La carta realizzata con fibre di lino e di cotone risulta essere stata ampiamente utilizzata nel mondo arabo altomedievale che aveva introdotto questa attività artigianale anche in Europa in quei territori come la Spagna e la Sicilia che erano sotto la sua influenza.
L’uso della carta bambagina in Terra di Lavoro ed in Sicilia nei primi secoli dopo il Mille era largamente diffuso tanto da far intervenire Federico II che nel 1231 ne proibiva l’uso negli atti pubblici temendone il precoce degrado.
La produzione della carta è stato sempre a Fabriano, e lo è ancora oggi, un vanto cittadino anche per i diversi miglioramenti qualitativi che l’ingegno degli artigiani locali seppe ideare e realizzare nel corso dei secoli.
Se ne è parlato e scritto fin dagli inizi in ogni maniera ed è stato esaminato ogni aspetto relativo alla fabbricazione, al commercio ed alla diffusione di questa eccellenza fabrianese, prodotto indispensabile per la società di ogni tempo. Tuttavia fino ad oggi le origini di questa attività sono rimaste inesplorate e chiunque si sia interessato alla storia ed alla produzione della stessa si è sempre accontentato di quanto le varie cronache cittadine di tenore campanilistico riferivano sulla carta soprattutto in merito ai fantasiosi inizi e ad improbabili evenienze avvenute negli anni precedenti il Mille che si scontrano con la storia del periodo e con quella dei territori dell’Italia centrale.
Sarebbe opportuno cercare di immaginare come fosse il territorio della valle di Fabriano dal X al XIII secolo in base alla natura dei luoghi. La vallata del fiume Castellano che aveva questo nome in quanto attraversava un territorio disseminato di castelli, ovverosia piccole fortificazioni costruite sui rilievi, in epoca romana comprendeva Tuficum ed Attidium ed era servita da quel lato da una strada che proveniendo da Matelica raggiungeva attraverso la gola della Rossa la campagna di Aesis/Jesi.
Per avere una idea di come in quegli anni la strada romana nel tratto che oltrepassava Tuficum fosse diventata poco di più di una stradina è utile riportare quello che nel XVI secolo lo storico Giovanni Domenico Scevolini scriveva illustrandone il tratto che attraversava la Gola della Rossa:
Qui passa la strada che volgarmente è chiamata la Rossa veramente spaventevole. D’ambi i lati sono montagne altissime, il fiume Esio già ingrossato per altri fiumi, che con lui si mescolano fra sassi profondi con suono e strepito precipitosamente corre, e la strada è stretta di maniera che a pena un mulo carico agiatamente vi passa per lo spatio di tre miglia…
La realtà delle strade locali viene definita nel 1771 quando il comune di Fabriano si attiverà per rendere calessabile una via da sempre di notevole importanza, quella che attraversava l’appennino proveniente da Fossato di Vico e che evidentemente ancora non permetteva il passaggio di mezzi di trasporto trainati da animali. Vi è anche un dato storico che da la certezza del sicuro isolamento della vallata del Castellano, sicuramente periferica, e della qualità delle vie di accesso e di uscita che non permettevano traffici stradali regolari ed intensi.
Prima del Mille le regioni dell’Italia centrale furono oggetto di numerose scorrerie di occasionali predatori stranieri, in particolare Saraceni e Ungari.
I Saraceni nell’848 distrussero Ancona ed assaltarono Settempeda oggi San Severino. Nell’anno 853 circa distrussero Scheggia e furono respinti a Gubbio. Gli Ungari a loro volta saccheggiarono tra il 917 ed il 927 sia Scheggia che Gubbio. In base alle memorie locali nessuna di queste incursioni ebbe mai a verificarsi nella vallata del Castellano soprattutto perché non erano riconoscibili strade di accesso verso questo territorio.
Per quanto riguarda la densità abitativa di questi luoghi vi è da dire che oltre a qualche villaggio arroccato sulle alture nulla vi era di notabile a parte la molto periferica Abbazia di S. Vittore alle Chiuse. In effetti oltre a qualche chiesa, qualche mansio e qualche castellaro sparsi nelle campagne non vi erano aggregazioni umane particolari.
Va considerato riguardo al toponimo Fabriano che la prima menzione è del 1040 ed appare nei documenti di San Vittore alle Chiuse. Nelle carte diplomatiche dell’Archivio comunale di Fabriano all’interno di un atto datato 1065 si parla della vendita di un terreno situato “in locu qui dicitur Fabriani” quasi un secolo prima prima degli “ambo castra Fabriani” che si rinviene nelle carte di S. Vittore alle Chiuse e che risale al 1160. Pertanto descrivere un nucleo abitato laborioso dedito da tempo ad un artigianato di qualità ed al commercio della relativa produzione verso l’esterno appare una mera fantasia campanilistica creata per cercare di dare origini antiche/nobili a delle attività locali delle quali si tentano di narrare gli inizi dei quali si è persa la consapevolezza.
Questa appare la realtà storica di un territorio prima del presentarsi sulla scena locale dei francesi de Clavellis. Presenza che viene formalizzata, marzo 1165, nel primo documento, in ordine di data, del Libro Rosso di Fabriano dove costoro faranno intendere attraverso l’estensore, il giudice Baroncello, di essere coloro che si prenderanno cura del nascente Comune con un inequivocabile “de nostro castro Fabriani“.
Dopo il 1165 si assiste ad una lenta ma costante adesione di tutta la piccola nobiltà longobarda locale al progetto di costituzione del Comune di Fabriano che appare creato ed incentivato dai de Clavellis come la vicenda dei Conti della Genga, convinti ad aderire da Gualtiero di Tomaso, dimostra.
Contemporaneamente costoro curano i loro interessi sul territorio che appaiono subito di natura commerciale. Nei primi anni successivi all’ingresso del gruppo clavellesco tra le mura, nessuna fonte ne parla per i precedenti, vengono documentate le prime attività imprenditoriali collegate a quelle produttive che iniziano ad emergere ed a far parlare di se. Infatti nel 1249 si rinviene nelle carte un tale Pietro di Michele commerciante di tessuti e più tardi nel 1273 si hanno documenti sulla presenza tra le mura del toscano Raniero, orefice, un chiaro indizio di disponibilità economica della popolazione.
Nel 1278 nel Libro rosso di Fabriano in un documento di nomina podestarile vengono dichiarate operative in Fabriano undici Arti/Corporazioni cittadine di artigiani tra le quali quelle della lana, del ferro e dei calzolai mentre non viene nominata l’arte della carta che comunque risulta esistente già nel 1268 da un documento della vicina Matelica.
L’unica spiegazione possibile è che la dimensione iniziale di questa attività sia in mani che non necessitano di regole o di tutele, quindi in quelle della famiglia dominante dei de Clavellis. Che l’artigianato ed il commercio cittadino siano entrambi nelle mani clavellesche e vengano da questi promossi, come già fece notare lo storico archivista Aurelio Zonghi nella prefazione allo Statuto dell’Arte della Lana, risulta evidente anche da alcuni documenti del XIV secolo riguardanti Guido Napolitano dove costui oltre a promuovere direttamente la produzione ed il commercio dei prodotti di maggior pregio come carta, tessuti e pellami supporta e finanzia direttamente l’attività dei numerosi imprenditori cittadini con la concessione di prestiti su pegno.
E che sia la parte produttiva che quella finanziaria siano in mani clavellesche oltre che da questi documenti risulta evidente anche dalla completa assenza di attività feneratizia ossia di prestito gestita dagli ebrei in Fabriano che durerà fino al 1427 quando inizierà ad essere qui intrapresa da un tale Abramo di Elia di Rimini.
Per concludere, non vi può essere stata altra possibilità all’infuori di quella dei de Clavellis sul “chi” abbia introdotto la lavorazione della carta con tecniche arabe in un piccolo centro montano in quel tempo senza alcuna importanza, collocato tra i monti della Marca Anconetana, carente in vie di comunicazione e privo di una tradizione artigianale, commerciale ed imprenditoriale. E questo anche perchè i normanni de Clavellis sono stati gli unici personaggi presenti sul territorio fabrianese, sul quale ebbero fin dagli inizi una completa egemonia, che risulteranno in possesso di certificate, indiscutibili attitudini imprenditoriali e con molteplici, documentati rapporti di vario genere con la Terra di Lavoro, la Sicilia, gli Hohenstaufen ed in particolare con gli Angiò.
Giovanni B. Ciappelloni
Bibliografia
Castagnari-Lipparoni, La rete viaria nell’area fabrianese dal Medioevo al XV secolo, Arti grafiche Gentile 1987.
Carisio Ciavarini, Collezione di documenti storici antichi, Nabu Press, 2011.
Libro rosso Comune di Fabriano, Editore Fondazione Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupram, 1998.
Camillo Acquacotta, Memorie di Matelica, edizioni Città di Matelica.
Giovanni B. Ciappelloni , De Clavellis de Fabriano dal XII al XV secolo, Fabriano 2019.
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