I duchi longobardi di Benevento

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Nel 774, dopo la caduta del regno longobardo, Arechi fondò il principato di Benevento e accelerò il processo di costruzione dell’autorità pubblica nel Mezzogiorno longobardo. Un libro di Giulia Zornetta, “Italia meridionale longobarda. Competizione, conflitto e potere politico a Benevento (secoli VIII-IX)”, Viella, 2020) analizza la costruzione e la rappresentazione del potere di questi autonomi sovrani nell’Italia Italia meridionale longobarda: una periferia e un’area di frontiera importantissima, che attirò l’interesse delle maggiori potenze grazie alla sua strategica posizione al centro del Mediterraneo.


Durante i secoli VII e VIII la lontananza geografica del ducato meridionale dalla sede regia di Pavia permise ai duchi di condurre scelte politiche e campagne militari largamente autonome rispetto ai sovrani longobardi, agendo spesso in concerto con i duchi di Spoleto.

Le modalità con cui il duca rappresentò la propria autorità ne rivelano la forte coscienza politica almeno dalla metà del secolo VIII, una coscienza che fu con ogni probabilità legata anche alla precoce dinastizzazione della carica ducale.

In questo contesto la gestione delle dispute fu non solo il piano in cui negoziare i conflitti, ma un vero e proprio teatro per la pratica e la rappresentazione dell’autorità del duca, in cui egli concretizzava e al contempo legittimava il proprio ruolo politico su Benevento.

Secondo quanto emerso dai giudicati tramandati, tutti i dibattimenti erano ospitati o nel palazzo o in altri luoghi facenti parte del fisco, luoghi in cui il duca era in grado di inscenare pubblicamente la propria autorità e al contempo il consenso intorno al suo potere.

L’amministrazione della giustizia avveniva in un contesto per molti versi ritualizzato, in cui il duca portava in scena, senza la mediazione di personale specializzato, le leggi longobarde e talvolta anche i canoni conciliari. Ciò non avveniva semplicemente all’interno di una cornice pubblica, ma in una vera e propria ottica performativa: l’amministrazione della giustizia istituiva, pubblicizzava e, attraverso la redazione di un documento, memorializzava una decisione e in ultima istanza la stessa autorità del duca.

Arechi II in una miniatura tratta dal Codex Legum Langobardorum e conservata nell’Archivio della Badia della Ss. Trinità a Cava dei Tirreni

L’ambito giudiziario metteva inoltre il duca di Benevento in relazione con due dimensioni: quella del regno longobardo e quella propriamente beneventana, definita dal confronto con l’élite cittadina.

Egli si presentò infatti sostanzialmente come un vero e proprio sovrano dei Longobardi meridionali, fatto che veniva dichiarato anche attraverso la titolatura di dux gentis Langobardorum. Questo duca volle operare – e di fatto nella maggior parte dei casi operò – come un sovrano autonomo rispetto al re.

Il contesto giudiziario fu inoltre uno degli ambiti in cui il duca affermò la propria autorità di fronte all’aristocrazia beneventana. Egli deteneva di fatto una sorta di monopolio sulla gestione delle dispute: sia l’élite locale sia gli enti ecclesiastici del territorio si rivolgevano alla giustizia ducale per dirimere ogni controversia e sembra che il duca svolgesse il ruolo di mediatore anche nelle dispute extra-giudiziarie, perlomeno per le più problematiche. Ciò aveva forse a che vedere con la conformazione politica e sociale dell’Italia meridionale longobarda.

A partire almeno dalla metà del secolo VIII l’intera società beneventana – e in particolare l’aristocrazia cittadina – convergeva sulla capitale e sul palazzo quale unici punti di riferimento politico, sociale e per certi versi anche economico. Questo fatto aveva in larga misura a che fare con la disponibilità di ampie proprietà fiscali da parte del duca, che ne faceva il più importante benefattore sia dei grandi laici sia degli enti ecclesiastici. L’aristocrazia era peraltro legata a doppio filo alla munificenza ducale: il duca attribuiva gli uffici pubblici e le relative rendite ai membri dell’élite, definendone di fatto lo status sociale.

La conquista del regno longobardo da parte di Carlo Magno rafforzò la consapevolezza che il duca di Benevento aveva del proprio ruolo politico.
Nel 774 l’assunzione del titolo di princeps gentis Langobardorum da parte di Arechi formalizzò l’autonomia dell’Italia meridionale longobarda, cristallizzando una situazione che comunque preesisteva alla caduta di re Desiderio almeno di un cinquantennio.

In questo contesto i principi longobardi presero volutamente e tenacemente le distanze dal mondo carolingio. Essi costruirono la propria autorità politica in diretta competizione con i sovrani franchi, prima in relazione con Carlo Magno e Pipino, poi soprattutto con Ludovico II. Ciò emerge in particolare in ambito legislativo giacché gli unici principi ad aggiungere nuovi capitoli all’Editto furono proprio Arechi e Adelchi di Benevento. La legislazione ebbe la funzione di sottolineare la continuità tra il regno longobardo e il principato meridionale nei momenti di più serrata competizione con il mondo franco, quindi di affermare la legittimità e l’indipendenza dei Beneventani.

La monetazione ebbe a sua volta un ruolo importante nel rappresentare e diffondere l’immagine dei principi longobardi. Un ruolo di primo piano fu però giocato dall’edilizia urbana, che segnò profondamente il tessuto cittadino con la presenza tangibile del principe.

Monete emesse da Arechi II

A partire almeno dall’inizio del secolo VIII, i duchi di Benevento disposero sicuramente di un palazzo nella capitale, ma preferirono in generale collocare le proprie fondazioni religiose fuori dalla città, come nel caso dei monasteri femminili fatti costruire da Teoderada, moglie di Gisulfo I: Santa Maria in Castagneto e Santa Maria in Luogosano. Ad esclusione del monastero di San Salvatore in Alife, i progetti portati a compimento da Arechi si concentrarono invece esclusivamente in ambito urbano.

Il Duomo di Benevento, la cui edificazione risale probabilmente al V secolo, ha subito successivi ampliamenti e restauri, uno dei quali nella seconda metà del secolo VIII (foto: Mongolo 1984)

Essi portarono anche alla qualificazione di Salerno come seconda capitale del principato, nella quale Arechi definì ex novo gli spazi del potere pubblico grazie all’assenza di un’aristocrazia ingombrante come quella beneventana.

L’autorità pubblica, che in precedenza era rappresentata in larga misura – sebbene non solamente – nella dimensione performativa del palazzo, venne ora ad ancorarsi alla topografia di Benevento e in parte anche a quella di Salerno, identificando queste città quali sedi privilegiate del potere politico.

I principi successivi si dovettero necessariamente confrontare con l’impronta che Arechi diede per primo alla rappresentazione dell’autorità principesca.

Sicone e Sicardo cercarono di contrastare la memoria della dinastia arechiana nello spazio monumentale di Benevento da un lato investendo maggiormente sulla cattedrale e dall’altro marginalizzando il monastero di Santa Sofia. Sebbene quest’ultimo fosse rimasto un centro religioso e di prestigio importante anche dopo la morte di Arechi, i Siconidi tentarono di limitarne il potenziale politico e in relazione a ciò lasciarono l’amministrazione del monastero ai prepositi cassinesi.

Sia Grimoaldo IV sia i Siconidi introdussero alcune innovazioni all’interno della titolatura e della monetazione per definire la propria autorità in continuità con quella arechiana, ma talvolta anche in opposizione a essa. Durante il secolo IX l’attenzione verso gli interventi edilizi si riscontra anche a Capua, dove i gastaldi/conti fondarono prima Sicopoli e poi Capua Nova definendo in diverse tappe successive il luogo e gli spazi della loro capitale.

Giulia Zornetta

Giulia Zornetta
Italia meridionale longobarda
Competizione, conflitto e potere politico a Benevento (secoli VIII-IX)

Viella, 2020
Per maggiori informazioni: https://www.viella.it/libro/9788833132938

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