Un’Umbria indimenticabile

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Quando nel 1897 Sigmund Freud giunse a Orvieto durante il suo primo viaggio in Italia, rimase folgorato alla vista del grandioso Giudizio Universale dipinto da Luca Signorelli nella Cappella Nova (o di S. Brizio) del Duomo, tanto da definirlo «la cosa piú fantastica che abbia mai visto». In un suo saggio pubblicato l’anno seguente (Il Meccanismo Fisico della Smemoratezza) rivelava tuttavia come per lungo tempo non gli fosse stato possibile in alcun modo ricordare il nome dell’autore degli affreschi orvietani, nonostante potesse rievocare le immagini impresse nella memoria con grande suggestione e descriverne accuratamente ogni particolare. La vicenda divenne poi un tema centrale nella ricerca psicanalitica di Freud, in relazione al meccanismo di rimozione della mente umana, divenuto poi noto con il nome di «Paraprassi di Signorelli».

Ancora oggi chi varca la soglia della Cappella Nova vede spalancarsi tutte intorno le pareti della grande scenografia signorelliana, in cui prende vita quella drammatica visione apocalittica, elevata sin dagli esordi a opera fondamentale per ripercorrere le tappe fondamentali della pittura rinascimentale. Non solo il ciclo orvietano aveva consacrato la fama di Luca Signorelli ponendolo alla ribalta della scena artistica in Italia centrale, ma, da quel momento, legava indissolubilmente il suo nome all’Umbria, tanto che per lungo tempo anche la critica lo credette davvero nativo di quelle terre.
Di certo l’equivoco poteva essere giustificato dall’intensa attività del pittore in molti luoghi della regione e ben prima dell’esperienza a Orvieto. Dalla natia Cortona, Signorelli, dopo aver avviato il suo apprendistato con Piero della Francesca, aveva infatti iniziato a muovere i suoi primi passi nell’Alta Valle del Tevere, dove con tutta probabilità, già nel 1474, si trovava impegnato nell’esecuzione di alcuni affreschi nella Torre del Vescovo di Città di Castello (ora nella Pinacoteca Comunale).

Dannati all’Inferno, dal ciclo del Giudizio Universale affrescato da Luca Signorelli nella Cappella Nova (o «di S. Brizio») del Duomo di Orvieto (1499-1502)

Fu però solo dopo la gloriosa esperienza nel completamento degli affreschi nella Cappella Sistina (1482) e nel cantiere della basilica di S. Maria a Loreto (1483-1485 circa) che Signorelli tornò sovente a lavorare in Umbria, dove gli vennero affidate numerose commissioni a partire dall’ultimo quindicennio del Quattrocento: oltre a Perugia, dove nel 1484 eseguì la stupefacente Pala di Sant’Onofrio, si trovano testimonianze del suo passaggio nei comuni di Città di Castello, Umbertide, Citerna, Monte Santa Maria Tiberina e Montone.

Martirio di san Sebastiano, olio su tavola di Luca Signorelli, 1498 circa. Città di Castello, Pinacoteca Comunale

«Il Cielo si allargò molto in dargli delle sue grazie»

Giorgio Vasari, Vite

Tutti lo vogliono

Il centro tifernate – che nel 1488 gli aveva conferito la cittadinanza – divenne una delle piazze privilegiate della sua attività, distante poco meno di trenta chilometri da Cortona e dunque strategico punto di approdo che gli permise di affermarsi come pittore di riferimento nel territorio.

Grazie soprattutto alla benevolenza e alla protezione dei Vitelli, tra il 1493 e il 1498 Signorelli divenne l’artista più richiesto dalle ricche famiglie di Città di Castello che quasi esclusivamente a lui affidarono l’ampio programma di rinnovamento degli altari delle chiese cittadine. Di queste opere, quasi tutte migrate all’estero, restano il Gonfalone di San Giovanni Battista (1495), il Martirio di San Sebastiano (1498 circa) e la piú tarda Pala di Santa Cecilia (1516), ora conservati nella ricca Pinacoteca Comunale.

Ancora, tra il 1507 e il 1510 a lui si rivolse anche la locale Confraternita di San Crescentino a Morra – paesino della valle del Nestore, a metà strada tra Cortona e Città di Castello – per affrescare gli ambienti dell’omonimo oratorio. Pur se nell’esecuzione del ciclo ebbe gran parte la bottega, la mano del maestro ben si riconosce nella Flagellazione che recupera l’invenzione giovanile dell’omonimo soggetto nella pala dipinta per Fabriano (1482-1485) oggi nella Pinacoteca di Brera a Milano.

La natura intensa ed estesa dell’impegno di Signorelli nel territorio tifernate fu inoltre un fertile terreno su cui germogliò il giovane Raffaello, giunto a Città di Castello allo schiudersi del secolo, il quale si ritrovò a ricoprire il ruolo e le committenze lasciate del Cortonese allora occupato nel cantiere di Orvieto (1499-1504). Tra il 1515 e il 1517 Signorelli dipinse poi alcune grandi pale d’altare per le chiese di Montone, Umbertide (anticamente denominata Fratta), ancora Città di Castello e Paciano, oltre a un affresco a Citerna.

Fatta eccezione per la Pala di Paciano (Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) tutte le chiese committenti rientravano nella cosiddetta «custodia castellana» dei conventuali francescani nell’Alta Valle del Tevere, con sede nella chiesa di S. Francesco a Città di Castello, per cui nell’ultimo decennio del Quattrocento Signorelli aveva già eseguito l’Adorazione dei pastori, oggi alla National Gallery di Londra.

Nella chiesa di S. Francesco a Montone dipinse una pala raffigurante la Vergine con Bambino e Santi, anch’essa ora nel museo londinese, commissionata dal medico francese Louis de Rodez, che a lungo aveva lavorato tra Città di Castello e Perugia prima di stabilirsi proprio a Montone, dove aveva sposato la moglie Tommasina. L’iscrizione sul cartiglio in primo piano serba memoria del nome del committente e della consorte, al quale Signorelli mostrava riconoscenza non solo per aver ottenuto l’incarico ma anche per i servizi prestati come medico al pittore e ai suoi familiari.

L’ultimo capolavoro

Invece l’Umbria custodisce ancora la grande Deposizione dipinta dal cortonese per la Confraternita di Santa Croce di Fratta nel 1516, che campeggia sull’altare maggiore della chiesa di S. Croce a Umbertide. È questo forse l’ultimo grande capolavoro autografo del maestro, dove torna a vivere lo spirito premichelangiolesco delle scene di Orvieto con i potenti effetti di chiaroscuro nel corpo livido del Cristo schiodato dalla Croce e immerso in un paesaggio arso nel torrido tramonto del cielo.

Se il cantiere orvietano di inizio secolo aveva collocato Signorelli, all’apice della sua carriera, in un olimpo luminoso già celebrato dai contemporanei anche per aver precorso cicli di rango come gli affreschi di Raffaello nella Stanza della Segnatura o quelli di Michelangelo nella Cappella Sistina, parimenti la fama dell’artista finí presto per soccombere, oscurata proprio dall’ombra di quei grandi maestri.

A poco valsero, infatti, i suoi viaggi verso Firenze e Roma nel tentativo di procurarsi nuovi incarichi dopo il reinsediamento dei Medici nel 1512 e l’elezione al soglio di Pietro di papa Leone X, figlio di Lorenzo «il Magnifico»: la grande committenza aveva puntato gli occhi altrove e Signorelli si avviava verso il viale del tramonto.

Ormai tagliato fuori dalla scena internazionale, la sua sfera di influenza iniziò a contrarsi progressivamente a Cortona e dintorni, ma quell’oasi felice nelle colline tra Toscana e Umbria continuò a essere fonte di numerose commissioni che lo impegnarono nell’ultimo periodo della sua vita.

Da quel momento la fucina di Signorelli diede vita a un vasto fenomeno di derivazione, consolidatosi con l’attività della sua bottega e dei molti imitatori che lavorarono sul solco della cifra signorelliana, quella che ormai gran parte della committenza locale continuava a ricercare anche dopo la sua morte richiedendo opere che ben ne esemplassero il gusto.

Luca Signorelli, Deposizione dalla Croce, 1516, chiesa di Santa Croce, Umbertide (Perugia)

Questa perpetuazione dello stile del maestro mediante un largo reimpiego di modelli ben riconoscibili, spesso anche troppo standardizzati, in un cospicuo nucleo di opere sparse tra Cortona e l’Alta Valle del Tevere, incise significativamente nella formulazione di un giudizio severo da parte della critica verso l’intera opera di Signorelli, tanto da declassarlo a un ambito strettamente provinciale e di scarso interesse. Se a lungo la diffusa ostilità nei suoi confronti non giovò di certo alla fama del pittore, ciò non impedì, fortunatamente, anche una progressiva e doverosa riabilitazione, a partire dalla monografia dello storico dell’arte Pietro Scarpellini, pubblicata nel 1964 e dai successivi contributi di molti studiosi anglosassoni fino alla grande mostra monografica a lui dedicata in Umbria nel 2012, che hanno saputo risarcire Signorelli del suo ruolo fondamentale nello sviluppo dell’arte rinascimentale italiana. Si è così fatto luce sul temperamento ondivago di un artista capace di alternare momenti di tensione drammatica a un certo lirismo, pur tenendo conto del largo apporto nella fase più tarda della sua discendenza artistica che in più occasioni ne ha vincolato la percezione a una sbiadita caricatura.

Ecco allora riemergere di nuovo con forza lo stile «impetuoso e tragico» (come lo definì Adolfo Venturi) che sedusse Michelangelo, riverberato nel vigore cromatico e negli scorci marcati degli intrecci dei nudi a rendere quasi acre il sapore di certe invenzioni che ribollivano dal crogiolo in cui si erano fuse tutte le esperienze di Signorelli: dalla formazione pierfrancescana, attraverso le tensioni lineari di Pollaiolo e Verrocchio fino a certe suggestioni minerali della pittura ferrarese. È il profilo di un artista che, come ha ben rilevato Scarpellini, va compreso in quel suo spirito forse più affine alla futura generazione manierista, se non addirittura a quella dei primi romantici – si pensi alle atmosfere solferine dei monocromi orvietani, quasi a prefigurare certi esiti di Füssli e Blake – che non a quella dei suoi contemporanei «senza macchia e senza paura».

Nel cinquecentenario della sua morte l’Umbria inaugura le celebrazioni signorelliane e invita a riscoprire i luoghi del pittore in un percorso che si snoda tra le colline dell’Alta Valle del Tevere, passando per Perugia fino alla Cappella Nova nel Duomo di Orvieto. Si arricchisce dunque il calendario di un 2023 ricco di appuntamenti per la regione, che in questo stesso anno inoltre commemora l’anniversario della morte di Perugino, celebrato dalla mostra «“Il meglio maestro d’Italia”. Perugino nel suo tempo» (dal 4 marzo al 11 giugno 2023 alla Galleria Nazionale dell’Umbria). L’iniziativa testimonia l’impegno nel valorizzare l’opera di Luca Signorelli all’interno del patrimonio culturale umbro, grazie alla collaborazione tra privati e istituzioni pubbliche, e preme con forza affinché il suo nome non rischi di rimanere ancora una volta troppo oscurato dalla fama di contemporanei altrettanto illustri. Ora non c’è paraprassi che tenga.

Caterina Fioravanti

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