Thomas Becket, l’assassinio nella cattedrale

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Il Martirio di Thomas Becket

Il Martirio di Thomas Becket (1220 circa) nella ex chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a Spoleto

Un assassinio dentro una cattedrale: la storia di Thomas Becket, santo martire dell’Inghilterra del XII secolo, avvince ancora l’uomo contemporaneo, di fronte ai temi eterni dettati da parole che attraversano ogni giorno la coscienza dell’individuo: libertà e potere, amicizia e tradimento, onore e dovere.
L’arcivescovo di Canterbury fu ucciso a colpi di spada da quattro cavalieri durante i vespri del 29 dicembre 1170, forse per ordine del re Enrico II Plantageneto.

La notizia si sparse per l’Europa e colpì come poche altre l’immaginazione dell’uomo medievale. Il sovrano negò di aver voluto la morte dell’uomo che in giorni lontani era stato il suo migliore amico e confidente. E digiunò a lungo per mostrare alla corte e al mondo tutto il suo dolore.
La fama di Becket e la sua terribile fine varcarono presto i confini delle isole britanniche. Appena due anni dopo, Papa Alessandro III lo proclamò santo nel corso di una solenne cerimonia celebrata nella città laziale di Segni.
Al nuovo martire si attribuirono molti miracoli e la sua tomba diventò meta di incessanti pellegrinaggi. Tanto che Geoffrey Chaucer, padre della letteratura inglese, nel 1387 iniziò a scrivere i “Racconti di Canterbury”, ispirati al percorso di fede che veniva compiuto verso il luogo dove l’arcivescovo morì.

Le cronache sono concordi nel descrivere Becket come un uomo di grande abilità e prontezza di spirito. La sua carriera fu folgorante quanto il suo fascino. Nacque nel 1118 da una famiglia di nobili normanni, l’élite che ormai da cinquanta anni (battaglia di Hastings, 14 ottobre 1066) governava l’Inghilterra. Fu mandato, come tutti i giovani di buona famiglia, a studiare a Parigi, che allora era il centro culturale più importante d’Europa. Quando tornò a Londra, si impiegò a corte presso un contabile.

Ma un altro normanno, l’arcivescovo Teobaldo di Canterbury, lo notò e volle che diventasse un chierico e che completasse gli studi a Roma, a Auxerre e a Bologna, l’università più antica e importante d’Europa. Nel 1154 Thomas diventò arcidiacono della diocesi. La curia sembrava il destino della sua vita.
Non andò così, perché l’energico Enrico II, monarca di nascita e lingua francese, si accorse di lui e in pochi mesi lo catapultò nei ranghi più elevati della corte. Thomas fu nominato cancelliere del regno e “unico consigliere del re” (1155).
Presto Becket conobbe i sovrani di tutte le più importanti corti d’Europa, trattò con i nobili e i diplomatici, frequentò il papa e vinse anche una guerra contro il re di Francia Luigi VII, mostrando doti militari non comuni.

Per sette anni fu il vero braccio destro del sovrano, parafulmine di molte critiche, anche da parte della Chiesa e dei baroni che pure avevano salutato con favore la sua nomina. Becket, in quella fase della sua vita, fu un uomo di Stato, nel vero senso della parola. Lavorò insieme al suo re per creare una amministrazione centralizzata. Grazie alla profonda conoscenza del diritto romano, la corona inglese imprigionò la voglia di indipendenza dei potenti feudatari e ristabilì l’autorità della monarchia, compromessa nel precedente regno di Stefano di Blois.
Insieme a Enrico II, Thomas governò un vasto territorio che andava dalla Scozia ai Pirenei. Diventò il custode del sigillo reale. Fu temuto e rispettato, come attesta la frase contenuta in una lettera che gli scrisse Pietro, abate di Troyes: “Chi non sa che voi siete secondo al re in quattro regni?”.
Le cronache dell’epoca lo descrissero come un uomo di potere, a suo agio nel lusso e nella magnificenza della corte: abile falconiere, elegante, amante dello sfarzo, protagonista di proverbiali banchetti, quasi un “dandy” ante litteram, circondato dalla considerazione e dagli omaggi della corte.

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La cattedrale di Canterbury in una foto della fine dell’Ottocento

Poi tutto cambiò, dopo la morte improvvisa del suo primo mentore, l’arcivescovo di Canterbury Teobaldo (1161). La più antica diocesi inglese, sede primaziale d’Inghilterra, aveva bisogno di una guida sicura. Soprattutto ne aveva bisogno Enrico II, che voleva il primate dalla sua parte per controllare e limitare il potere e i privilegi della Chiesa.
Così il re Plantageneto candidò alla nomina il suo cancelliere. Anche i vescovi erano d’accordo, ad eccezione dell’arcivescovo di Londra che voleva per sé quella carica così importante. Thomas però, almeno all’inizio, non ne voleva sapere. Motivò il suo rifiuto con parole profetiche: “Se Dio mi permettesse di essere arcivescovo di Canterbury, perderei la benevolenza di vostra maestà e l’affetto di cui mi onorate si trasformerebbe in odio, giacché diverse vostre azioni volte a pregiudicare i diritti della Chiesa mi fanno temere che un giorno potreste chiedermi qualcosa che non potrei accettare, e gli invidiosi non mancherebbero di considerarlo un segno di conflitto senza fine tra di noi”.

Enrico insistette. Thomas continuò a declinare l’invito regale. Furono decisive le pressioni del cardinale Enrico di Pisa, nunzio apostolico del papa. Alla fine Becket accettò l’incarico e il 27 maggio del 1162 divenne l’arcivescovo di Canterbury. Il suo mandato iniziò con un gesto dal grande significato simbolico: si trasferì da Londra a Canterbury, quasi a rimarcare la distanza dalla corte. Abbandonò la sua vita di sfarzi, lasciò le vesti lussuose, vestì il cilicio e iniziò una quotidiana distribuzione di elemosine ai poveri. Nel giro di qualche mese, l’uomo di potere si trasformò in un pastore di anime. Il cambiamento fu repentino e totale. E presto il conflitto con Enrico II divenne inevitabile.
Il sovrano rivendicava il diritto di giudicare i chierici e i monaci e di imporre tasse sui beni che la Chiesa destinava al sostentamento del clero, al culto e all’assistenza dei poveri. Soprattutto, il re voleva scegliere e nominare i vescovi, dai quali pretendeva un giuramento di vassallaggio, per il quale negava il diritto di appello al papa.

I contrasti con Becket deflagrarono in occasione delle cosiddette Costituzioni di Clarendon (1164), la prima dichiarazione legale della Common Law (Legge Comune) inglese. Erano il tentativo di codificare per iscritto antiche usanze e consuetudini feudali che andavano a beneficio del potere regale e che contrastavano con le posizioni ratificate dal diritto canonico e acquisite dalla Chiesa. Thomas sembrava favorevole alla firma. Ma quando lesse le Costituzioni nei dettagli, dichiarò apertamente il suo dissenso: “Nel nome di Dio onnipotente, non porrò il mio sigillo”. Quel no fu una dichiarazione di guerra verso la corona.

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Una miniatura che raffigura una discussione tra Enrico II e Thomas Becket

Intervenne anche il papa, che provò a mediare per far riconciliare Thomas con il re. Alla fine Becket firmò le Costituzioni di Clarendon, ma volle che fosse inserita una clausola: “Salvo honore Dei“. Un apposito concilio, convocato a Northampton, discusse quella formula: “Ponendo in salvo i diritti di Dio”.
La sottigliezza giuridica fece infuriare Enrico II. E il vecchio amico del sovrano diventò il primo nemico della corona. Scattarono le rappresaglie reali. Il re minacciò di deporre l’arcivescovo di Canterbury a cui chiese anche di restituire il denaro che aveva ricevuto quando svolgeva il ruolo di lord cancelliere del regno. Becket fuggì in Francia, per sollecitare di persona l’appoggio di papa Alessandro III, che in quel periodo aveva trovato anch’egli rifugio a Parigi a seguito di forti dissensi con il collegio dei cardinali.
Le terre di Becket in Inghilterra furono confiscate e i suoi amici vennero perseguitati. La sede primaziale rimase vacante. Il pontefice iniziò una lunga trattativa con il re inglese per trovare una soluzione alla vicenda, che paralizzava i rapporti tra il regno e la Chiesa di Roma.

L’esilio di Becket, ospite in un monastero cistercense, durò sei anni. Lo accolse con interessata benevolenza anche il re Luigi VII, preoccupato della potenza di Enrico II, che già controllava un terzo del territorio francese e che voleva espandere i suoi domini anche nella contea di Tolosa.
Il re d’Inghilterra venne di persona in Francia. Il 6 gennaio 1169 incontrò il sovrano francese e Becket a Montmirail, ma non ci furono passi avanti. L’anno dopo, a fatica, il primate e il re si accordarono per una sorta di riconciliazione, rimandando le loro dispute alle decisioni di un futuro concilio. Quando tornò a Canterbury, Thomas fu accolto con grande affetto dalla popolazione. Ma ormai per il re e per la corte era un pericoloso nemico. La goccia che fece traboccare il vaso fu la scomunica di Becket verso due vescovi vicini a Enrico II, deposti a seguito della incoronazione a “re congiunto” del figlio del sovrano “Enrico il Giovane” da parte dell’arcivescovo di York.

La leggenda riporta tutta la rabbia del sovrano contro l’antico confidente, in una celebre frase, urlata al culmine dell’ira, davanti ai cortigiani: “Chi mi libererà da questi preti turbolenti?”. Per quattro cavalieri della corte le parole di Enrico II diventarono un lasciapassare per l’atteso regolamento dei conti: partirono al galoppo alla volta di Canterbury. Entrarono in chiesa, durante la messa, gridando: “Dov’è Thomas il traditore?”. Becket rispose: “Sono qui, ma non sono un traditore, bensì un vescovo e un sacerdote di Dio”. Furono le sue ultime parole: morì trapassato dalle spade davanti all’altare.

La sua fine ne fece un martire della libertà religiosa di fronte all’assolutismo della ragione di Stato. Thomas Eliot nel suo dramma teatrale poetico “Assassinio nella cattedrale”, trasformò Becket in uno stoico che arriva a farsi uccidere pur di affermare fino in fondo il suo diritto alla libertà. L’opera, scritta nel 1935, alludeva in modo chiaro alla brutalità dei regimi dittatoriali che in quegli anni stringevano in una morsa soffocante l’Europa, poco prima di una terribile guerra mondiale.

Gli attori Peter ‘O Toole (Enrico II) e Richard Burton (Becket), tratteggiarono con incredibile bravura una storia diversa nel film di Peter Glenville “Becket e il suo re” (1964), tratto da un’opera teatrale dell’autore francese Jean Anouilh. E resero tutta la tensione di un dramma, dove “l’onore di Dio” è l’invalicabile limite nei rapporti tra lo Stato e la Chiesa. E dove Becket, nonostante il tradimento, rimane comunque, per sempre, “il caldo amico” di un re ossessionato dal freddo, che cerca invano conforto nel gelo del potere.

Virginia Valente

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Peter ‘O Toole e Richard Burton in una scena di “Becket e il suo re” (1964)

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