Romualdo e Pier Damiani

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Cluniacensi, Cassinesi, Camaldolesi, Avellaniti, Vallombrosani e Cistercensi: i secoli dello splendore e dell’egemonia del monachesimo benedettino nel bel libro I castelli della preghiera. Il monachesimo nel pieno medioevo (secoli X – XII) edito da Carocci e a cura di Glauco Maria Cantarella. Il volume contiene saggi dello stesso Cantarella e di Guido Cariboni, Nicolangelo D’Acunto, Umberto Longo, Giorgio Milanesi, Francesco Renzi e Enrico Veneziani. Ecco un estratto, a firma Umberto Longo, sul rapporto tra Romualdo e Pier Damiani.


Romualdo nacque a Ravenna intorno alla metà del X secolo da una famiglia di alto lignaggio. Dopo aver assistito a una violenta faida familiare, disgustato dalla violenza del mondo, il giovane decise di entrare nel monastero di Sant’Apollinare in Classe. Ben presto egli abbandonò il monastero, deluso dalla rilassatezza della vita che vi si conduceva, e seguì un eremita di nome Marino, con il quale intraprese un’itineranza eremitica tra il delta del Po e la laguna veneta.

Intorno al 978 i due eremiti, dopo aver incontrato il santo abate del monastero di San Michele di Cuxa Guarino, decisero di seguirlo fino ai lontani Pirenei. Al gruppo si unirono anche il doge di Venezia Pietro Orseolo e i due nobili veneziani Giovanni Gradenigo e Giovanni Morosini, che avevano deciso di abbracciare la vita monastica in rotta con le lotte politiche che insanguinavano la loro città.

San Romualdo in un dipinto del 1660 di Carl Johann Loth conservato alle Gallerie dell’Accademia di Venezia

A Cuxa Romualdo rimase per una decina d’anni circa, durante i quali visse in una celletta vicino al cenobio e poté perfezionare la sua formazione spirituale attraverso le letture degli insegnamenti dei Padri del deserto e di Giovanni Cassiano, grazie ai quali egli incominciò ad elaborare la sua rationabilitas eremitica.

Verso il 988 egli decise di tornare in Italia, ma prima di riuscire a partire dovette vincere l’opposizione della popolazione locale che pur di non perdere il sant’uomo tentò addirittura di ucciderlo. Giunto in Italia egli riprese la via della peregrinazione alternando periodi di solitudine e di predicazione.

Da allora la vita del santo eremita fu improntata dalla instancabile itineranza che lo condusse a fondare e riformare centri di vita religiosa non solo in Italia, ma anche in Istria, dove soggiornò per ben due volte, nel 1001 e, con ogni probabilità, dopo il 1009.

Nonostante la duplice esperienza istriana il centro dell’opera di riforma di Romualdo fu l’Italia, dapprima i luoghi inospitali e selvaggi del delta padano e poi, soprattutto, la regione appenninica. In queste zone impervie egli istituì numerose fondazioni anche se spesso di piccole dimensioni, grazie anche al sostegno dei potenti e dei vescovi locali.

Nella sua attività Romualdo poté godere sempre dell’appoggio imperiale. Fu infatti in strette relazioni con Ottone III e la sua corte e l’imperatore fu legato al santo da un intenso rapporto di venerazione e unione spirituale. Anche l’imperatore Enrico II tenne in particolare considerazione i consigli e gli ammonimenti del santo eremita.

Pier Damiani nell’opera del Maestro di San Pier Damiani, 1440 conservata a Faenza

Nella diocesi di Arezzo, intorno al 1023, Romualdo fondò l’eremo di Camaldoli, la sua filiazione più celebre, che ben presto divenne una congregazione e contribuì più di ogni altra alla sua fama presso i posteri. Romualdo non rimase a lungo a Camaldoli e riprese la sua opera di riforma itinerante fino a quando la morte lo colse intorno al 1027, recluso nella sua cella, in un’altra delle sue fondazioni, l’eremo di Val di Castro nei pressi di Fabriano.

Quando Pier Damiani compose la Vita Romualdi alcune fondazioni eremitiche romualdine erano già scomparse, in molte l’organizzazione vacillava e la memoria della vicenda e dell’insegnamento del santo rischiava l’oblio. Attraverso la rappresentazione di numerosi episodi relativi alla condotta di Romualdo nell’opera sono affrontati e descritti i cardini della esperienza eremitica vissuta e promossa da Romualdo secondo l’interpretazione e la proposta di Pier Damiani.

Il compito del santo riformatore Romualdo, per il biografo Pier Damiani che ha deciso di esserne discepolo e continuatore, è chiaramente esplicitato nel già ricordato capitolo 37 con l’icastica frase: «totum mundum in heremum velle convertere». Nella visione fortemente ideologica di Pier Damiani negli anni Quaranta dell’XI secolo non c’è dialettica tra il mondo e l’eremo, ma quello si deve convertire a questo.

La Vita Romualdi insieme agli altri scritti e all’intensa attività nella prima parte della sua vita testimoniano lo sforzo di realizzare tale programma. Attraverso l’esempio offerto dal santo Pier Damiani presenta il “suo” Romualdo, campione dell’eremitismo che per il giovane agiografo è già la forma più perfetta di esperienza di vita cristiana.

Jean Leclercq notava che la vita di Romualdo «est entourée de mystère» e si interrogava su quanto l’opera di Pier Damiani non fosse innanzitutto una testimonianza sull’autore stesso, non essendo rimasto alcuno scritto di Romualdo, né citato, né conservato dai suoi contemporanei. L’opera può e deve essere letta anche sulla base dell’incessante gioco di specchi che si costruisce tra agiografo e “agiografato”. In essa è presentato e proposto il Romualdo secondo Pier Damiani, il santo protagonista e l’agiografo sono una coppia inscindibile.

La spiritualità e l’idea religiosa di Romualdo, muto nella parola scritta, emergono potenti dalle sue fondazioni e dai suoi discepoli, tra i quali Pier Damiani spicca come il massimo erede. Egli dà voce e vita al maestro che si è scelto attraverso la sua biografia agiografica e il suo progetto di continuatore della riforma monastica e eremitica, all’interno della quale la figura di Romualdo diventa paradigma grazie alla sua indefessa opera di fondatore di nuovi centri di vita religiosa e di riformatore del monachesimo, mediante la proposta di una rinnovata spiritualità, il cui fulcro è costituito dall’attenzione alla dimensione spirituale e interiore della preghiera.

Umberto Longo

Glauco Maria Cantarella (a cura di)
I castelli della preghiera
Il monachesimo nel pieno Medioevo (secoli X – XII)
Carocci, 2020
Saggi di: Glauco Maria Cantarella, Guido Cariboni, Nicolangelo D’Acunto, Umberto Longo, Giorgio Milanesi, Francesco Renzi, Enrico Veneziani.
Per maggiori informazioni: scheda del libro

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