Le donne misteriose dell’arazzo di Bayeux

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L’arazzo di Bayeux è una graphic novel dell’anno Mille e racconta la vita quotidiana di un popolo di guerrieri, re e regine, che seppe creare regni e dinastie, dai freddi mari del nord all’assolato sud d’Italia e in Terrasanta.

La prima scena ricamata sul panno di Bayeux raffigura re Edoardo il Confessore e Aroldo Godwinson a Winchester

L’arazzo, anche se in realtà si tratta di un panno ricamato, racconta la storia di un avventuriero che divenne il conquistatore dell’Inghilterra, ma anche delle donne che realizzarono questo lungo panno in filo di lana con l’uso di otto colori naturali su uno sfondo lasciato scarno, con forme in rilievo e un risultato molto simile ad un intaglio o a un bassorilievo.

In un rotolo di lino lungo 70 metri sono rappresentati gli eventi compresi nel periodo che va dal 1064 al 1066, cioè fino alla battaglia di Hastings (nella parte mutila forse era rappresentata l’incoronazione di Guglielmo: vi sono raffigurate 623 persone, 505 animali di specie differenti, 202 cavalli e bestie da soma, 55 cani, 41 imbarcazioni e 49 alberi (leggi anche: L’arazzo di Bayeux).

L’arazzo fu tessuto tra il 1070 e il 1077 per volere del vescovo Oddone, fratellastro di Guglielmo il Conquistatore, raffigurato nella tela in più di una scena (vi compare in misura minore rispetto al duca normanno, ma più di altri personaggi). Il luogo di produzione del manufatto è stato indicato in Canterbury, dove si trovava una rinomata scuola di tessitori. La presenza del vescovo Oddone fa pensare che sia stato proprio lui a dare quell’omogeneità ideativa del disegno per tutti i 70 metri della lunghezza, mentre il lavoro di tessitura dovette essere affidato a una squadra di donne. Quelle donne misteriose di cui non si conosce il nome, pur conoscendo la loro abilità artigianale.

Un’altra tradizione popolare narra che il compito di ricamare il tessuto, realizzato a pezzi e poi unito, spettò alla regina Matilde, moglie dello stesso Guglielmo, nel Kent o a Winchester nell’Hampshire, mentre attendeva il ritorno del consorte dalle imprese belliche sul suolo inglese. Quella che è, ormai, considerata una leggenda trovava una sua base sulla reputazione delle donne anglosassoni per sofisticati lavori di tessitura, così come narrato da Guglielmo di Poitiers e dalle cronache che riportano episodi di mogli intente a confezionare tessuti commemorativi delle gesta degli eroici mariti.

Oddone, con il bastone di comando in mano, alla battaglia di Hastings, incoraggia le truppe dopo la ritirata

Le origini e gli influssi Oddone ebbe modo, inoltre, appena preso possesso della contea del Kent, già famosa per il talento dei suoi ricamatori, di ammirare gli arazzi e le tessiture che ornavano le chiese e ne prese spunto per raccontare la conquista dell’Inghilterra, per glorificare se stesso e il fratello divenuto re, attraverso un elemento estremamente semplice e comprensibile da tutti.

Nell’arazzo, continueremo a chiamarlo così per comodità, si rintracciano varie influenze sia stilistiche sia iconografiche, come la produzione tessile delle isole britanniche, il collegamento alla produzione miniaturistica dell’isola, specialmente nell’uso degli alberi e della vegetazione nel suddividere le scene, nella disposizione dei personaggi e nell’uso degli alberi contorti come separazione. Un esempio rappresentativo è il Vangelo di Sant’Agostino di Canterbury, conservato al Corpus Christi College di Cambridge. Non mancano richiami alle influenze celtiche e scandinave come nel Salterio di Winchcombe, nell’uso di ornamenti di ricamo nei bordi del tessuto o nelle decorazioni delle barche. La maestria delle mani che crearono un simile capolavoro è testimoniata anche dal fatto che un punto usato per realizzare l’arazzo, è denominato punto di Bayeux.

Importante anche l’attenzione ai dettagli dell’abbigliamento, nella rappresentazione delle opere architettoniche, come il castello di Hastings, la città di Arras e Mont Saint Michel, senza dimenticare i segni distintivi dei popoli raffigurati: i normanni sempre a cavallo, in armatura o ricche vesti e perfettamente rasati, segno di cultura superiore, mentre gli inglesi appaiono pelosi, con i baffi e in armi come semplici pedoni.
Pur essendo realizzato da donne, manca tuttavia la rappresentazione del mondo femminile. Le donne vi compaiono solo tre volte, per lo più come figure marginali in un mondo tutto maschile: Elfia, la figlia di Guglielmo e promessa sposa di Aroldo, la regina Editta, moglie di Edoardo il confessore e una donna senza nome, vittima delle rappresaglie di guerra.

L’arazzo racconta Il racconto dell’arazzo si apre con il re Edoardo il Confessore che convoca, nel 1064, Aroldo Godwinson e gli conferisce l’incarico di recarsi in Normandia, dal duca Guglielmo, per avvisarlo che in mancanza di un erede diretto, ha deciso di nominarlo successore.
Aroldo raggiunge cavalcando con i suoi fedeli la costa meridionale dell’Inghilterra. Porta con sé i cani, come se si recasse ad una battuta di caccia, e un falco, segno di nobiltà, visto che è duca di Wessex.

Conoscendo i pericoli della traversata Aroldo si ferma a pregare in una chiesa a Bosham, in compagnia di uno scudiero, per impetrare una buona navigazione.
Giunto al palazzo signorile, Aroldo e i suoi banchettano nella sala d’onore in attesa della partenza, bevendo da una coppa, mentre gli amici suonano il corno.
Arriva un servitore che avverte il gruppo della marea montante, momento propizio per partire. Aroldo e i suoi si tolgono i calzari e si imbarcano.

Nel 1064 il conte Aroldo sbarca, trascinato dalle correnti, sulle terre del conte Guido I di Ponthieu

La nave si imbatte in una tempesta, va alla deriva e non approda in Normandia, ma nelle terre del conte Guido di Ponthieu. Dalla nave spiaggiata una vedetta nota avvicinarsi una schiera armata. Aroldo tenta di spiegare al conte chi sia, il suo rango e quale missione deve adempiere, ma il nobile Guido, notate le vesti sontuose dei naufraghi, l’importanza della nave e volendo prendere ostaggi gli uomini e impadronirsi di quel che resta delle nave stessa e del suo carico, dà ordine ai suoi uomini di catturare Aroldo, che viene circondato da due piccardi e viene portato via ancora scalzo.

Guido di Ponthieu fa portare i prigionieri nel suo castello di Beaurain e seduto sul trono, con la spada alzata, si appresta ad annunciare ad Aroldo l’entità del riscatto preteso per la sua liberazione.
Aroldo accompagnato dallo scudiero è impaurito, conscio di non poter pagare il riscatto senza l’aiuto del duca Guglielmo. Alla scena assiste un servitore, nascosto dietro ad una colonna. Quel servitore poi corre ad avvertire Guglielmo.
Il duca normanno, sospettando cosa potesse essere accaduto, aveva già inviato due emissari, i quali parlano con il conte che è appoggiato ad un’ascia da guerra. Un servo dice a Guido di prestare attenzione alle condizioni poste da Guglielmo. Anche i cavalli tenuti alle briglie dal nano Turoldo mostrano il nervosismo che permea la scena.
I due messi del duca galoppano verso il castello di Guglielmo. Uno dei due riferisce al duca quanto richiesto dal conte per liberare Aroldo; Guglielmo invia subito due uomini d’arme con l’accettazione delle richieste per liberare Aroldo: un castello e le terre ai confini del ducato. Guido allora cavalca verso le terre di Guglielmo e le due scorte armate si incontrano al confine.

Aroldo è ospite di Guglielmo a Brionne e parlano a lungo, del naufragio e dell’offerta della corona. Guglielmo offre in matrimonio ad Aroldo la figlia Elfia, rappresentata sotto un portico mentre riceve uno schiaffo simbolico da un chierico: con questo gesto veniva data la conferma del fidanzamento. È la prima figura femminile che compare nell’arazzo. Poi Guglielmo e Aroldo corrono in aiuto di Rivaion di Dol e con l’esercito passano sotto Mont Saint Michel, i cavalieri indossano cotta di maglia ed elmo con nasale, i fanti una sola tunica.

Nei pressi di Mont-Saint Michel, attraversando il fiume Couesnon, uomini e cavalli affondano nelle sabbie mobili

Nell’attraversare il fiume Couesnon, Aroldo compie un valoroso gesto cavalleresco, salvando due armati che rischiavano di annegare. Poi i normanni preparano l’assalto alla città, ma il ribelle Conan ha lasciato il castello calandosi da una finestra e lasciando una serie di scudi sugli spalti per far credere che fossero presidiati. Conan e i bretoni hanno lasciato la città, quindi, raggiungono Rennes, ma devono ripiegare a Dinant. Gugliemo pone l’assedio alla cinta di legno, mentre due soldati appiccano le fiamme e Conan deve arrendersi, consegnando le chiavi su una punta di lancia.
Guglielmo consegna gli stemmi di cavaliere normanno ad Aroldo, adesso è un suo fedelissimo, vincolato dal giuramento di vassallaggio. Poi si recano a Bayeux, dove si svolge un episodio fondamentale: Guglielmo riceve il giuramento di Aroldo, sulle sacre reliquie dei martiri, di prestare assistenza politica e materiale al legittimo successore del re d’Inghilterra.

Aroldo torna in Inghilterra su una nave normanna che viene avvistata da una vedetta con i curiosi che si affacciano alla finestra.
Aroldo raggiunge re Edoardo e racconta le sue avventure.

La scena nella quale Edoardo, in fin di vita, viene trasportato a Westminster

Seguono le scene con il funerale del re a Westminster, appena consacrata come testimonia la mano di Dio che appare in cielo.
Qui appare la seconda donna, Editta o Edith del Wessex (sorella di Aroldo), che piange, nascosta ai piedi del letto funebre, il marito morto. La scena con Edoardo in punto di morte che lascia il regno ad Aroldo è descritta dopo il funerale il re. Vista la committenza normanna dell’arazzo, è intuibile che si sia voluto sottolineare l’usurpazione del trono da parte di Aroldo che non poteva essere stato scelto dopo la morte del re.

Il racconto riprende con Aroldo che accetta la corona offertagli dai notabili inglesi, con i vassalli che rendono omaggio con la spada alzata. In cielo appare la cometa di Halley, vista come funesto presagio. E Aroldo immagina l’arrivo di una flotta nemica, come descrivono le navi disegnate sotto il trono.
Dei viaggiatori riportano al duca Guglielmo la notizia della morte di Edoardo e della consacrazione di Aroldo. Allora il normanno ordina subito la costruzione di una flotta per punire lo spergiuro Aroldo.

La costruzione della flotta

I boscaioli abbattono gli alberi, i falegnami piallano le assi e i carpentieri incavigliano il fasciame delle navi. Dopo pochi mesi la flotta per l’invasione è pronta e le imbarcazioni vengono varate attraverso un complesso sistema di gomene e pulegge.
Armi e vino vengono trasportati alle navi a piedi o su carri, le cotte di maglia, dal peso di quindici chili, vengono portate da due servitori su assi di legno infilate nelle maniche. Nell’agosto del 1066 la flotta è radunata in attesa del vento favorevole. Solo il 27 settembre il vento del sud permette di sciogliere le vele verso l’Inghilterra.

Guglielmo è imbarcato sulla Mora, la nave fatta costruire dalla moglie Matilde (seppur nominata non compare nell’arazzo), l’albero maestro porta al culmine la croce benedetta da papa Alessandro II. Quattrocento navi con 10mila uomini attraversano la Manica (non tutti combattenti). Il 28 settembre i normanni sbarcano a Pevensey. Nessun soldato di Aroldo contrasta lo sbarco in quanto sono stati ritirati dalla costa pensando che la stagione fosse troppo avanzata per la navigazione, cosa che avrebbe indotto Guglielmo a rimandare. In realtà sappiamo che Aroldo era impegnato a respingere un’invasione norvegese a Stamford Bridge.

La prima nave da sinistra è la Mora, con il vessillo di papa Alessandro II. Porta a bordo Guglielmo

I normanni fanno razzia nelle campagne che appaiono disabitate. Wadard è un intendente e gestisce i rifornimenti, mentre due cuochi preparano il cibo che altri servono ai tavoli. Al tavolo d’onore il vescovo Oddone benedice i cibi, al suo fianco ci sono il duca Guglielmo e Ruggero con la barba, valoroso combattente ad Hastings.

Dopo il pranzo si riunisce il consiglio di guerra, si decide di costruire un campo fortificato. Un messaggero avverte che Aroldo ha appena sconfitto i norvegesi a Stamford Bridge e marcia verso Hastings.
Guglielmo fa distruggere una casa che può ostacolare le operazioni belliche. Una donna fugge, è la terza donna raffigurata nell’arazzo, dopo la figlia di Guglielmo Elfia e la regina Editta, moglie di Edoardo. Raffigura il popolo non combattente che subisce le violenze della guerra.

Guglielmo si prepara alla battaglia indossando la cotta di maglia, poi impugna il gonfalone e attende il suo cavallo da battaglia, dono del re Alfonso d’Aragona.
Nei pressi di un bosco la cavalleria normanna si riunisce dietro i gonfaloni. Per evitare la battaglia Guglielmo manda un monaco a ricordare ad Aroldo il giuramento e proponendo una singolar tenzone. Aroldo rifiuta affermando che Edoardo gli ha lasciato il regno.
Guglielmo impugna il bastone di comando, un cavaliere galoppa per avvertire il duca dell’avvistamento delle truppe di Aroldo. All’opposto una vedetta di Aroldo fa lo stesso, individuando i normanni.

Il duca Guglielmo arringa le truppe e le esorta a combattere eroicamente

All’alba, dopo la messa all’aperto, Guglielmo arringa l’esercito, ma alcuni cavalieri hanno già spronato alla volta del nemico, con le lunghe lance, seguiti dagli arcieri.
La fanteria inglese dietro la pavesata di scudi resiste. Le perdite sono ingenti, come mostra il registro inferiore. L’ala sinistra normanna rimane impantanata nelle paludi. Aroldo ha rispolverato le tattiche romane, scavando fossati e cospargendo il terreno di chiodi che si infilano negli zoccoli dei cavalli.
I normanni si ritirano, si sparge la voce che Guglielmo sia morto, caduto da cavallo, ma prima Oddone li rianima, poi il duca si erge sulle staffe, si alza l’elmo e mostra il volto ai suoi soldati, mentre il suo portastendardo lo indica agli uomini.
Lo scontro riprende forza e i normanni sfondano lo schieramento inglese. La fanteria sassone si disperde. Resistono solo gli housecarls, le guardie del re. Una freccia penetra nell’occhio di Aroldo che viene finito da un cavaliere normanno. Guglielmo diventa il Conquistatore (leggi anche: La battaglia di Hastings) e l’arazzo termina il suo racconto.

Umberto Maiorca

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