Unni, Avari, Slavi, Ungari, Turchi, Mongoli: in molti miti dei popoli della steppa, i “barbari dell’Est”, si intrecciano le leggende di animali guida e di miracolosi passaggi dei fiumi. Storie fondative e racconti epici, ripetuti di bocca in bocca durante i bivacchi.
Paolo Golinelli in “Un millennio fa. Storia globale del pieno Medioevo” (Mursia) ricorda che il nome stesso della tribù turca dei Selgiucidi vuol dire “piccola zattera” o “piccolo torrente”. E che fu proprio grazie a un pesce che i nomadi Oghuz riuscirono ad attraversare le acque, vaste come il mare, dell’Aral, il grande lago salato Aral che oggi segna la frontiera tra l’Uzbekistan e il Kazakistan.
Nei racconti delle tribù, altri pesci e anche numerose tartarughe formarono un provvidenziale ponte grazie al quale dei pastori nomadi poterono vincere la forza di un fiume nelle desolate steppe cinesi.
Molti animali sacri guidarono i popoli nelle loro migrazioni. I Tabgatch dell’XI secolo seguirono un mitico cavallo. La tribù turca degli Oghuz trovò nuovi paesi da conquistare grazie all’aiuto di un mitologico lupo. Tra gli Unni un lupo grigio guidava e segnalava il cammino della tribù e mostrava anche il luogo dove montare le tende. Una piccola lepre era venerata dai Mongoli. E l’orso ebbe un posto particolare nelle saghe delle genti ungro-finniche e della vecchia Russia.
Per i popoli delle steppe, gli animali possedevano poteri magici. Dalla Cina alle porte dell’Europa, venivano utilizzati anche per le pratiche divinatorie. La più diffusa fu la scapolomanzia: era infatti grazie alle ossa degli animali scelti per il sacrificio che l’indovino prediceva il futuro.
Il cane era presente nei sacrifici di molti popoli nordici. In alcuni riti funerari, l’animale veniva ucciso affinché accompagnasse il defunto nell’oscuro viaggio verso l’aldilà.
Lo stesso compito, in altri popoli, era affidato al cavallo. Già Erodoto descriveva questa abitudine parlando degli Sciti (V-IV secolo a.C.). Il rituale fu analizzato con cura tra il nono e decimo secolo nelle note di viaggio di Ibn Fadlan, ambasciatore del califfo Abbaside Muqtadir presso il re dei Bulgari del Volga. Il diplomatico spiegò che anche tra i nomadi Khazari il cavallo accompagnava simbolicamente il defunto in paradiso.
L’archeologia ha trovato molte prove in epoca altomedievale della sepoltura di uomini insieme ai cavalli, dalla Russia meridionale fino al Caucaso. La pratica fu diffusa in Occidente nei secoli VI e VI dal popolo degli Avari, come dimostrano le ricerche compiute nell’area danubiana e intorno al lago ungherese Tisza.
Nove fosse comuni a uomini e cavalli, simili alle sepolture dei lontani uomini delle steppe, sono state trovate a Vicenne, in Molise, in una necropoli vicina al villaggio di Campochiaro, nel cruciale punto di incontro dei tre principali tratturi usati dai pastori abruzzesi per raggiungere i pascoli della Puglia.
Una straordinaria scoperta archeologica. Anche perché dai tumuli, insieme alle bardature e alle briglie decorate con borchie di bronzo e d’argento, sono emerse anche delle staffe, simili a quelle usate dagli Avari. Risalgono al VII secolo sebbene gli studiosi collochino la loro diffusione in Europa nel secolo VIII. Date a parte, il ritrovamento conferma che le staffe sono arrivate in Occidente proprio grazie ai popoli della steppa. Quelle metalliche cambiarono il modo stesso di cavalcare. E portarono alla nascita della cavalleria pesante.
Federico Fioravanti