La tragica storia di Amalasunta

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La morte del re degli Ostrogoti Teodorico (454 – 526) aveva lasciato molte cose incompiute. Come sempre accade alla scomparsa di un uomo tanto impegnato nell’arte del governo e della guerra vi erano alcuni progetti che il sovrano non era riuscito a portare a termine.

Amalafreda, la sorella di Teodorico, aveva sposato in seconde nozze il re dei Vandali, il riflessivo e moderato Trasamundo, ma era stata uccisa alla morte del marito nel 523 dal successore al trono Ilderico. Con Amalafreda erano stati sterminati anche alcune migliaia di soldati goti che il fratello aveva inviato in Africa insieme alla sorella perché la proteggessero e diventassero una copertura militare nei confronti di un possibile attacco imperiale bizantino dal Meridione.

Trasamundo aveva ricevuto come dote da parte della moglie il Promontorio di Lilibeo in Sicilia che costituiva una base strategica di grande importanza. Tuttavia la morte di Trasamundo distrusse questo ennesimo disegno strategico di Teodorico. Il successore sul trono dei Vandali, di nome Ilderico (457-533), era figlio di Unnerico e nipote di Genserico, il pirata e conquistatore dell’Africa e della principessa romana Eudocia, figlia a sua volta dell’imperatore Valentiniano III e quindi nipote di Galla Placidia.

Il nuovo Re dei Vandali e degli Alani, come il monarca africano prese a farsi chiamare, sconfisse la regina e vedova Amalafreda che si era alleata con le tribù dei Mauri del deserto. La sorella di Teodorico fu imprigionata e fatta morire d’inedia, suscitando sentimenti di vendetta da parte del fratello.

Medaglione con il volto di Teodorico, ca. 500 d.C.

Per un re come Teodorico il valore della famiglia come strumento di costruzione di alleanze era una certezza da cui non si poteva prescindere e la morte della sorella era un gesto sacrilego sia nei confronti del sovrano che del suo popolo d’origine.

Forse per le sue ascendenze latine Ilderico praticò una politica di tolleranza nei confronti dei cattolici, anche se i Vandali, oltre che pirati, rimanevano degli ariani convinti e intolleranti. La sua politica nei confronti di Costantinopoli fu accomodante: non poteva essere altrimenti, vista la parentela di Ilderico con la prestigiosa famiglia di Teodosio il Grande.

Il nuovo re dei Vandali si allontanò pertanto dall’alleanza anomala stipulata dal suo predecessore con Teodorico e gli Ostrogoti in quanto l’inimicizia tra Goti e Vandali era secolare e aveva già dato luogo a scontri e massacri reciproci nelle terre d’origine del Centro Europa e in seguito nella Penisola Iberica all’inizio del V secolo.

Teodorico aveva deciso di vendicare la morte della sorella con un grande impiego di uomini e di mezzi. Nei porti della Sicilia era stata approntata una flotta di un migliaio di navi che avrebbero dovuto trasportare in Africa un grande esercito ostrogoto e farla finita una volta per tutte con la minaccia dei Vandali e i loro intrighi con Bisanzio. Anche se la forza principale dell’esercito di Teodorico risiedeva nell’esercito e nella cavalleria armata di lancia, non bisogna sottovalutare la capacità marinara dei popoli germanici.

I regni germanici nel 526, l’anno in cui morì Teodorico

Nel III secolo i Goti delle grandi pianure dell’odierna Ucraina si erano spinti su agili navi fino alle coste della penisola anatolica e avevano devastato sia il litorale del Mar Nero che quello del Mare Egeo.

La morte del re degli Ostrogoti nell’estate del 526 pose tuttavia fine ai progetti di una guerra contro i Vandali. Prima di morire Teodorico aveva convocato a Ravenna il Consiglio della corona, il così detto Consistorium, formato dai più nobili degli Ostrogoti e davanti a loro aveva nominato suo successore il nipote Atalarico che aveva solo dieci anni: l’erede al trono portava il nome del grande re e giudice dei Visigoti che nel 382 aveva stretto il primo foedus di alleanza con l’imperatore Teodosio. Un nome così importante stava a significare quante speranze e aspettative fossero state riposte nel ragazzo da parte del nonno e dei genitori.

Atalarico venne nominato re senza attendere la convalida della sua scelta da parte di Costantinopoli. I rapporti con l’imperatore Giustino (518-527) e il suo successore designato, il nipote Giustiniano, erano diventati pessimi anche per gli antichi motivi di attrito tra gli ariani e i cattolici e non era possibile lasciare il regno ostrogoto senza un successore certo:

Quando il re Teodorico giunse all’età della vecchiaia, sapendo che da lì a poco avrebbe abbandonato questo mondo, convocò i conti goti e i più nobili tra la sua gente. Nominò pertanto re dinanzi a loro il piccolo Atalarico che aveva appena dieci anni, figlio di Amalasunta e orfano del padre Eutarico. Tra le altre disposizioni e le sue ultime volontà, Teodorico raccomandò i nobili di onorare il loro re, di mantenere dei rapporti improntati al rispetto con il Senato e il Popolo romano e infine di considerare come benevolo e propizio, subito dopo Dio, l’imperatore d’Oriente.

Jordanes, Storia dei Goti (LIX, 304)

Una donna sul trono

La morte del grande re suo padre portò la regina Amalasunta a dovere assumere la reggenza del regno e la tutela del figlio Atalarico. Il ragazzo venne affidato alle cure e all’educazione di alcuni nobili goti di alto lignaggio che potessero insegnare al piccolo re i fondamenti della tradizione del suo popolo.

Questi tre saggi, cui vennero affiancati alcuni precettori latini, esercitarono per i primi anni un positivo ruolo educativo. Molti personaggi della corte ostrogota erano rimasti affascinati da tempo dal modo di vivere dei Romani e desideravano comportarsi come i Latini, coltivando la letteratura e l’arte degli antichi e godendosi gli agi di abitazioni facoltose e ricche di comodità.

Si trattava comunque di una minoranza di privilegiati, perché il popolo ostrogoto, di lignaggio più modesto, viveva nelle campagne coltivando le terre di cui si era impadronito dopo la spartizione elaborata dal prefetto romano Liberio su incarico di Teodorico e alla morte di Odoacre nel 493. Gli scavi archeologici hanno rinvenuto piccoli e molteplici insediamenti gotici in corrispondenza di Villae romane in disuso: villaggi formati da abitazioni di modesto tenore, poco più che capanne, edificati spesso in luoghi facilmente difendibili in cui venne praticata una forma di agricoltura diretta del contado anche attraverso l’impiego di una numerosa manodopera servile oppure di schiavi.

I Goti vivevano di solito in insediamenti fortificati, circondati da muri oppure palizzate difensive che non facevano che segnare un confine ben delimitato con il mondo esterno e permettevano alle comunità ostrogote, formate da insediamenti al massimo di poche centinaia di persone, di esercitare la loro egemonia sui Latini che vivevano intorno a loro, i quali per legge non potevano portare armi.

Un capo villaggio goto esercitava la giustizia e dirimeva le liti ricevendo i suoi sottoposti nella sala delle udienze dell’edificio principale, seduto su di un piccolo trono ligneo sul cui capo, appesa al soffitto, si offriva agli sguardi dei presenti una corona in bronzo, simbolo del potere regale che egli esercitava in quel luogo per interposta persona. In caso di necessità i capi famiglia e tutti gli uomini abili della piccola comunità indossavano le armi che custodivano presso il loro domicilio e correvano a radunarsi sotto le insegne del re e dei suoi generali.

Amalasunta ritratta in una scultura

Vetrata neogotica che rappresenta santa Clotilde, nella chiesa di Saint-Martin a Florac, in Occitania

Un esercito di popolo

Davano pertanto luogo a un esercito di popolo: una compagine di armati che aveva conquistato con innumerevoli sacrifici e dedizione la terra d’Italia che ora li ospitava e che pensava di dovere difendere con coraggio davanti a chiunque volesse impadronirsene. Un sovrano dei Goti era comunque e sempre un capo militare che doveva essere in grado di condurre l’esercito in battaglia e mostrarsi valoroso e strategicamente abile contro ogni nemico. La nomina al trono regale era fatta attraverso “l’elevazione ad arma” del più degno da parte dei migliori tra i guerrieri, ma i vari dux dei Goti pretendevano dal loro capo, liberamente eletto, un comportamento coraggioso in guerra e saggio in tempo di pace. Eventuali gravi sconfitte subite nei confronti del nemico, oppure un comportamento poco nobile e dignitoso potevano non essere perdonate: in quel caso il re veniva allontanato dal trono oppure ucciso per incapacità guerriera e indegnità di ruolo e poi sostituito con un capo militare di maggiore autorità.

Amalarico (502-531), re dei Visigoti di Spagna e Provenza, figlio di Alarico II e nipote di Teodorico, condusse una politica improvvida nei confronti dei potenti vicini, il bellicoso popolo dei Franchi dei quali aveva sposato l’unica figlia del re Clodoveo di nome Clotilde. La regina rimase cattolica anche dopo il matrimonio e ogni tentativo di conversione alla fede ariana, desiderato dal marito e seguito con fedeltà dai Visigoti, rimase senza esito. Anzi, la regina dovette subire molteplici angherie da parte del coniuge che comportarono il suo appellarsi all’aiuto dei fratelli. Anche in questo caso si era oltraggiato un patto matrimoniale, cosa che rimaneva un’offesa insanabile per la cultura germanica di cui sia Visigoti che i Franchi facevano parte.

Lo storico Gregorio di Tours (538-594), nella sua Historia Francorum (III, 10), raccontò con dovizia di particolari le angherie cui fu soggetta la regina cattolica Clotilde. Nonostante la fine infelice di Amalarico, ucciso dai suoi stessi soldati per indegnità di ruolo, le condizioni del Regno dei Visigoti, diviso tra la Spagna e la Settimania al di là dei Pirenei, erano favorevoli per esercitare il governo di quelle ricche terre nel modo migliore possibile.

Inoltre all’inizio del regno di suo cugino Atalarico in Italia fu restituito ai Visigoti il tesoro della corona che era entrato nelle disponibilità personali di Teodorico a partire dall’anno 508 ed era stato trasferito a Ravenna dopo la sanguinosa sconfitta subita dai Visigoti a Vouillé. Teodorico aveva assunto per circa quindici anni anche il titolo di re dei Visigoti e aveva inviato al governo della Settimania, che corrispondeva all’odierna Linguadoca-Rossiglione, il fidato prefetto Liberio (465-555) delegando il potere sulla Spagna visigota al generale Teudi (531-548), che sarebbe poi subentrato nel possesso di tutto il regno ad Amalarico nel 531.

Lo scudo dell’arianesimo

Con la morte di Amalarico si estinse l’altra nobile casata dei Goti, quella dei Balti, che aveva regnato a lungo sui Visigoti e aveva dato i natali ad Alarico I, il conquistatore di Roma e al suo successore Ataulfo, lo sposo di Galla Placidia. Nonostante il lungo contatto con i Romani e la cultura classica, sia i Visigoti che gli Ostrogoti rimanevano una popolazione barbarica, forse più incline a godere delle comodità della civiltà latina rispetto ai Franchi e ai bellicosi Burgundi e più rispettosa delle leggi e del diritto a paragone dei Vandali, ma pur sempre un’etnia germanica in cui contava per prima cosa l’abilità guerriera e la lealtà personale. Senza queste qualità nessun sovrano poteva essere autorizzato a regnare e la capacità di governare il proprio popolo e fargli attraversare indenne i pericoli e le guerre fino alla conquista di terre ricche e promettenti era la maggiore, se non l’unica qualità che importasse all’assemblea dei nobili e dei guerrieri che esprimeva e nominava il re.

Mosaico della cupola del Battistero degli Ariani, Ravenna (foto: José Luiz Bernardes Ribeiro)

Secoli di migrazioni dal Mar Baltico alle grandi pianure sulle rive del Mar Nero avevano consolidato questo modo di vivere e di governarsi che rendeva l’ingerenza e l’influsso dei costumi dei romani un qualcosa che occorreva tenere lontano dalla tradizione gotica. Lo strumento principale con cui i Goti si sforzarono di mantenere integra la loro omogeneità etnica e culturale, separandola il più possibile dall’universo latino che li circondava, fu la religione e con questa la pratica dell’Arianesimo. L’eresia ariana costituì un punto di forza e allo stesso tempo il motivo più importante, se non il principale, della debolezza politica del popolo dei Goti.

La regina isolata

Amalasunta era una donna intelligente che aveva ricevuto una raffinata educazione classica: oltre la propria lingua d’origine, conosceva bene sia il greco che e il latino. Se pensiamo al fatto che sua madre Audofleda fosse una principessa franca, è facile arguire che anche la lingua del popolo del re Clodoveo, suo nonno materno, non fosse estranea alla figlia di Teodorico.

Troppa sapienza, verrebbe da dire, rende sospettosi gli uomini. Il popolo guerriero degli Ostrogoti iniziò a nutrire dei sospetti non più eliminabili nei confronti della propria regina. Si trattava di incomprensioni legate alla distanza che la cultura classica di cui Amalasunta era imbevuta sapeva erigere come una barriera tra lei e i capi del suo popolo. Era troppo latina per piacere alla sua gente, ma ancora saldamente legata all’origine germanica per essere accolta dalla schizzinosa e un po’ fatua classe senatoria romana. Amalasunta era nata in anni che non erano pronti ad accoglierla, come a riconoscerne l’intelligenza e la diversità. Procopio di Cesarea riconobbe le virtù di questa donna, le cui capacità e la complessa visione del mondo erano superiori alle ristrettezze umane e alle invidie della sua gente e dei molti nemici che la circondavano:

Amalasunta resse lo stato anche come tutrice del figlio [Atalarico], mostrandosi dotata di una grande saggezza e di un alto senso della giustizia e dando prova di grande energia, anche di tipo virile. Per tutto il tempo che rimase a capo del suo regno non inflisse delle pene corporali ad alcun cittadino romano, né confiscò gli averi dei Latini. Non cedette alla volontà dei capi dei Goti che volevano tenere oppressi i loro sudditi romani, anzi restituì ai figli di Simmaco e di Boezio il patrimonio dei loro padri che era stato confiscato insieme a una ingiusta condanna a morte. Desiderò che suo figlio divenisse del tutto simile nell’educazione e nel comportamento ai nobili romani e avviò pertanto Atalarico alla frequentazione di una scuola di retorica. Scelse inoltre tre anziani appartenenti al popolo dei Goti, uomini saggi e di onesti costumi, che volle dividessero il loro tempo con il piccolo re Atalarico

Procopio di Cesarea, La Guerra Gotica (I, 2)

Orecchini ostrogoti in stile policromo (Metropolitan Museum of Art di New York)

Il potere di Tuluin

Amalasunta si appoggiò nella sua opera di governo a uno dei migliori generali di Teodorico, il dux Tuluin della famiglia degli Amali, che si era distinto nelle guerre contro i Franchi e i Burgundi per la sua saggezza e la capacità di non sacrificare inutilmente i propri soldati. Tuluin venne nominato magister militum praesentalis, il più alto grado di comando dell’esercito romano. Di conseguenza, ricevette il titolo di patrizio e di senatore, una carica che lo indicava in Occidente come la seconda autorità dello stato, inferiore soltanto al proprio re e all’imperatore di Costantinopoli. In questo modo il generale si poneva in una posizione di competizione mal celata con il trono degli Ostrogoti e la sua stessa regina. 

Alla corte di Ravenna si erano formati due opposti partiti. Uno più incline a una politica di accordo con Bisanzio, era formato da esponenti della classe senatoria romana e da alcuni collaboratori goti del defunto re Teodorico. Una seconda fazione era invece di natura più intransigente: ne facevano parte molti dei nobili ostrogoti del Comitatus regio e alcuni esponenti romani dell’alta gerarchia di governo, come il referendarius Cipriano che era stato uno dei più stretti collaboratori del re ed era incaricato di esaminare le proposte di leggi e le suppliche dei cittadini. Con lui c’era anche suo fratello Opilone.

Cipriano era stato il maggiore accusatore del senatore Albino e del suo incauto difensore Boezio, contribuendo non poco a far condannare a morte i due romani. Era un fervente filogermanico, tanto da arrivare a parlare discretamente la lingua gotica che aveva fatta insegnare anche ai suoi figli.

Una casta di guerrieri

Come spesso si verifica durante un’occupazione straniera, il popolo della Penisola nutriva dei sentimenti contrastanti nei confronti degli Ostrogoti. Al regno di Teodorico si poteva e si doveva riconoscere la promozione di una duratura pace sociale interna che aveva contribuito a risanare le strutture della convivenza tra le diverse componenti sociali. Tuttavia i Romani e gli Ostrogoti continuavano a essere due entità separate dalla religione e dai diritti. Il fatto che i Latini non potessero praticare il mestiere delle armi aveva reso i Goti una casta di guerrieri tanto orgogliosi quanto di numero limitato: un esercito efficiente ma che non sarebbe riuscito a compensare sul campo di battaglia le perdite inflitte da un numero superiore di nemici. Avversari che si trovavano appena fuori dai confini del regno e che se si fossero coalizzati e li avessero aggrediti avrebbero reso problematica l’esistenza stessa della nazione gotica.

Chiuso tra due grandi potenze, i Franchi a Occidente e l’Impero Romano a Oriente, il Regno degli Ostrogoti mancava drammaticamente della capacità di implementare il proprio esercito e la difesa del territorio in caso di necessità. Fu questa miopia politica, perseguita negli oltre trent’anni di regno di Teodorico, a rendere fragile la costruzione del regno d’Italia: uno stato che appariva forte e splendido nella sua molteplice ricchezza culturale, governato anche con sapienza diplomatica, ma che non sarebbe stato capace di reggere a una crisi di dimensioni epocali quale quella che si andava preparando.

I re Ostrogoti in Italia

Teodorico 476-526

Atalarico 526-534

Teodato 534-536

Vitige 536-540

Ildibaldo 540-541

Erarico 541

Totila 541-552

Teia 552-553

In questa dialettica tra le grandi potenze del tempo, l’autorità di Amalasunta appariva reggersi sulla fama e le virtù del padre, piuttosto che sulle proprie capacità che pure erano notevoli e sulla diplomazia che sapeva esercitare con un’accortezza non priva di alcune decisioni spregiudicate.

La fazione non dichiaratamente filogotica della corte era andata nel tempo perdendo capacità di attrazione e di peso politico. La chiusura dello scisma tra Roma e Bisanzio legato al credo monofisita protetto dall’imperatore Anastasio I Dicoro (morto nell’anno 518) aveva provocato un riavvicinamento inevitabile tra il papa e l’imperatore Giustino I e il suo successore designato, il nipote Giustiniano. Il senato di Roma, che pure era stato ricoperto di onori da Teodorico e continuava a essere rispettato da Amalasunta, si interrogava da tempo sulla possibilità di una riunificazione con le rinnovate energie dell’Impero che parevano essere state preparate a Oriente.

I ricchi senatori si ingannavano, perché la separazione amministrativa e giuridica tra i due imperi, quello Occidentale e quello Orientale, iniziata alla morte di Teodosio I nel 395, aveva creato importanti differenze nella struttura sociale e perfino linguistica delle due parti del mondo antico.

La disgregazione dell’Occidente nei Regni Romano-Barbarici aveva comportato la nascita di alcune realtà che attraverso una visione moderna chiameremmo oggi nazionali. In realtà si trattava di entità statali completamente diverse dalle antiche province romane, ma di cui condividevano la lingua ufficiale che veniva utilizzata per ogni contatto tra le Chiese locali e le diverse autorità politiche.

Estensione del regno degli Ostrogoti

Monete fatte coniare dal re dei Vandali Ilderico

Il latino, legame fra le etnie

Soltanto il latino rimaneva come un tessuto connettivo profondo che teneva insieme le molteplici etnie europee. In latino si pregava e si scriveva in Occidente e i re guerrieri dei nuovi regni dovevano necessariamente affidarsi ad alcuni funzionari e intellettuali di lingua latina per potere applicare le leggi e governare i propri territori.

Nonostante Giustino I e Giustiniano fossero due imperatori che si definivano come latini, l’elemento linguistico greco iniziava a essere prevalente a Oriente e buona parte dell’esercito imperiale era stato reclutato tra popoli che parlavano la koiné, la lingua greca derivata dall’antica parlata attica che le conquiste di Alessandro Magno avevano diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo Orientale.

Non era solo la lingua a porre degli ostacoli a un riassorbimento organico dell’Occidente nel grande stato multinazionale che era stato un tempo l’Impero Romano, perché gli interessi politici e commerciali tra le due parti del mondo antico si erano ormai divaricati. La percezione di un’autorità transnazionale che governasse tutto l’universo umano doveva confrontarsi sulla frontiera orientale con il secolare nemico persiano, l’unico potere che fosse in grado da sempre di combattere alla pari con i Romani e fosse capace di proporre un modello alternativo di monarchia e di governo alla conoscenza delle potenze minori del bacino del Mediterraneo.

I regni romano barbarici erano governati da etnie germaniche gelose da sempre della propria indipendenza e libertà: comunità di uomini che in quanto legati alla difesa del popolo di origine sentivano questo dovere come una componente ineliminabile dell’esistenza.

Il modello romano, che i barbari avevano affrontato e indebolito nei secoli fino alla caduta dell’Impero d’Occidente, rimaneva l’esempio di un potere difficilmente contrastabile a Oriente ma comunque lontano, privo dell’empatia che scaturiva da una presenza vicina e dal sacrificio per una causa comune, fascinazioni che l’oro di Costantinopoli non poteva comprare.

In Italia la situazione era differente. La vicinanza con la frontiera balcanica e quella marittima con Bisanzio era evidente e illudeva che si potesse tentare una riunificazione sconfiggendo quel popolo ostrogoto di invasori che in modo tanto deciso aveva allontanato la popolazione latina dalle armi e da una pari dignità di ruoli. Non tutti i maggiori esponenti della corte di Ravenna nutrivano queste illusioni. Il saggio Cassiodoro sapeva come certe velleità dei senatori si manifestassero nella loro irrealtà. Oltre quattro decenni di permanenza degli Ostrogoti in Italia avevano reso questo popolo padrone del territorio.

L’autosegregazione ariana

Il solo limite a questo dominio era dato dalla relativa lassità del tessuto demografico germanico, causato dalla autosegregazione che gli Ostrogoti avevano finito con l’imporsi e il cui motivo principale era stato ancora una volta l’elemento religioso, quella fede ariana che aveva segnato in modo indelebile quasi tutte le etnie germaniche e impedito la possibilità di una vera integrazione tra i Latini ed i loro dominatori. Con i Franchi il problema non si era posto. La conversione di Clodoveo al cattolicesimo e il suo battesimo, dopo l’abbandono della originaria religione politeistica germanica nell’anno 496, aveva messo questo popolo in una condizione di privilegio. I Franchi erano stati così elevati a dei veri e propri Defensores fidei e possibili alleati naturali dell’imperatore di Costantinopoli. Iniziò in questo modo il percorso che li avrebbe portati a diventare il popolo prediletto della Chiesa romana.

Il pretesto per togliere il giovane Atalarico dalla tutela della madre Amalasunta fu fornito da una condizione prevedibile. Una parte dei comes ostrogoti accusò la regina di aver permesso che il giovane re fosse sottoposto a un’educazione di tipo latino che trascurava le radici germaniche del vivere e operare del suo popolo. Il grande Teodorico, suo nonno, non avrebbe mai permesso una cosa del genere, affermarono i nobili ostrogoti e lui stesso ne aveva dato l’esempio, rifiutandosi di farsi influenzare dai costumi dei Latini e di adottarli in modo invadente. Davanti a un’accusa del genere, che era strumentale ma capace di portare con sé discredito e sminuire l’autorità della regina, Amalasunta acconsentì a che il figlio fosse tolto dalle cure dei grammatici per essere affidato all’esempio e alla complicità di giovani goti di età solo di poco maggiore che lo iniziarono ai piaceri della vita, mentre altri compagni si occuparono di fornirgli un’educazione paramilitare con tutte le durezze che l’accompagnavano.

Pare però che il ragazzo preferisse di gran lunga i piaceri alla rude vita dei soldati. La possibilità di trascorrere gran parte del suo tempo nei divertimenti senza misura e controllo lo portò nel giro di pochi anni a una lenta consunzione.

La consuetudine di strappare dalle cure materne un giovane re per educarlo virilmente non era infrequente nelle popolazioni germaniche. Ne avremmo avuto un altro esempio alcuni secoli dopo, quando il fanciullo di soli tre anni Ottone III fu sottratto alla tutela della madre, l’imperatrice vedova Teofano e a quella della nonna Adelaide di Borgogna, per essere allevato dal duca di Baviera Enrico il Litigioso (951-995) e riconsegnato infine alla famiglia di origine grazie al sollevamento dei grandi nobili dell’Impero tedesco davanti alla pochezza di un simile atto.

Ottone III non morì a causa di questa scelta. Invece la sorte di Atalarico fu quella del decesso prematuro. Possiamo supporre che lasciato senza freno a trascorrere il tempo tra orge e stravizi, il ragazzo, di fragile costituzione, si sia ammalato di una malattia a lenta progressione come la tubercolosi, anche se non abbiamo elementi certi a sostegno di questa teoria. Lo storico Jordanes in proposito evita di entrare nei dettagli, forse per una forma di rispetto verso la casata di Teodorico (LIX, 305). Procopio di Cesarea si dilunga invece in una descrizione accurata:

Pertanto, congedati i vecchi maestri, furono dati ad Atalarico come compagni in ogni momento della giornata alcuni ragazzi che non avevano ancora raggiunto il limitare della gioventù ma erano tuttavia più avanti di lui per età. Questi compagni lo spinsero al bere e ad apprezzare la compagnia delle donne e lo fecero senza misura, tanto che Atalarico divenne fin da ragazzo un essere arrogante e dedito al vizio, abbandonando completamente ogni insegnamento materno. Per questi motivi il giovane re non fu in grado di prendere le difese della madre che venne minacciata dai nobili goti più autorevoli che intendevano scacciarla dalla reggia. Amalasunta non si lasciò intimidire dalle minacce dei nobili, né si piegò ai voleri di questi uomini, ma conservando la propria autorità di regina scelse tre uomini tra i più in vista dei capi ostrogoti, forse i più accaniti nel cospirare contro di lei e ordinò loro di recarsi ai confini del Regno d’Italia e il più lontano possibile l’uno dall’altro, assegnando a costoro la missione di difendere il Paese dalle mire nemiche. La lontananza tra i congiurati non fu sufficiente, perché i complici continuarono a complottare tra di loro contro Amalasunta grazie alla collaborazione di amici e parenti

Procopio di Cesarea, La guerra Gotica (V, I, 2)

L’aiuto di Giustiniano

Amalasunta si sentì accerchiata, sola ed esposta a possibili aggressioni. Decise di chiedere aiuto all’imperatore Giustiniano inviando un ambasciatore di sua fiducia a Bisanzio. Invocò il fatto di essere l’erede diretta di Teodorico e di come questi avesse occupato a suo tempo l’Italia in qualità di ex-console romano e in seguito a un preciso mandato dell’imperatore Zenone. La sua famiglia si era dimostrata fedele all’impero e ora lei, come regina, chiedeva ospitalità e protezione.

Giustiniano diede ordine di preparare per la regina un palazzo nella città di Epidamno, l’antica Durazzo e si rallegrò perché sapeva che Amalasunta avrebbe portato con sé buona parte del tesoro reale di Teodorico, vale a dire una grande quantità d’oro che avrebbe rafforzato il potere di Costantinopoli. Un tesoro che era frutto di oltre un secolo di guerre e di saccheggi da quando gli Ostrogoti avevano lasciato la loro terra d’origine sul Mar Nero.

Amalasunta diede ordine a una nave di caricare una quantità considerevole d’oro dello stato a Ravenna e di salpare alla volta di Durazzo, il porto in cui avrebbe dovuto attraccare senza tuttavia sbarcare il prezioso carico. Allo stesso tempo la regina mandò dei sicari a uccidere i tre congiurati suoi nemici. Ma non appena seppe che le tre esecuzioni avevano avuto buon esito, rassicurata sul mantenimento del potere, decise di restare a Ravenna e richiamò indietro la nave.

L’ascesa dell’ambiguo Teodato

Questi fatti avvenivano nell’ottobre del 534, un anno cruciale per il destino di Amalasunta. La regina, spinta dall’insicurezza che le condizioni di salute del figlio le suggerivano, si era riavvicinata da qualche tempo al figlio di sua zia Amalafrida, la sorella di Teodorico. Suo cugino Teodato, duca della Tuscia, l’odierna Toscana, era un goto che amava la cultura classica e faceva sfoggio della sua conoscenza di Platone, mentre allo stesso tempo accumulava ricchezze considerevoli taglieggiando i grandi proprietari terrieri latini del suo dominio di cui era solito incamerare i patrimoni estendendo sempre di più la superficie delle terre di sua proprietà.

Teodato era un individuo ambiguo, detestato sia da suo zio Teodorico che dagli altri nobili ostrogoti, oltre l’astio che le sue angherie sui romani avevano provocato. Lentamente, Teodato era diventato il vero e proprio sovrano della Tuscia, un piccolo regno all’interno del più grande stato ostrogoto.

Teodato raffigurato in una moneta

La sua ricerca dell’oro e dei beni materiali era incessante nonostante il contrasto evidente con la filosofia che diceva di amare. Il duca della Tuscia aveva fatto di peggio e aveva scritto in gran segreto all’imperatore Giustiniano offrendogli l’intero suo territorio in cambio di un palazzo a Costantinopoli, del titolo di senatore e di un cospicuo appannaggio annuo. Si può quindi ipotizzare come Teodato avesse accolto con disappunto una richiesta simile che Amalasunta aveva avanzato a Giustiniano. Inoltre, proprio in quel cruciale anno 534 aveva subito una condanna da parte di sua cugina Amalasunta che l’aveva costretto a restituire una parte del denaro che aveva sottratto con la consueta prepotenza agli abitanti della Tuscia.

La morte di Atalarico

Nei primi giorni di ottobre del 534 Atalarico morì, consunto dalla vita dissoluta che aveva condotto. È probabile che la madre si sia sentita ulteriormente indebolita nella sua posizione di comando davanti all’aristocrazia ostrogota più conservatrice e tradizionalista. Presso le popolazioni barbariche dei Visigoti e degli Ostrogoti vigeva inoltre con particolare forza e osservanza il principio della vendetta privata per i delitti di sangue che coinvolgevano un familiare. Amalasunta conosceva bene il fatto che ordinando l’esecuzione dei tre nobili goti che avevano cospirato contro di lei poteva avere messo in azione un meccanismo vendicativo inesorabile che prima o poi l’avrebbe raggiunta.  La vendetta privata veniva esercitata per i fatti di sangue con una certa regolarità e aveva segnato molti episodi della storia del popolo dei Goti, sia tra i Visigoti che tra gli Ostrogoti. Anche i re ne erano stati colpiti, come Ataulfo, il sovrano dei Visigoti che nell’anno 415 era stato pugnalato a morte da un sicario prezzolato dal dux Sigerico, fratello del generale Saro a sua volta ucciso dallo stesso Ataulfo. Anche Teodorico non transigeva sull’applicazione di questo principio della vendetta privata: se la morte non lo avesse fermato avrebbe scagliato una grande flotta e un forte esercito contro il regno africano dei Vandali, il cui re Ilderico aveva condannato a morte la regina ostrogota Amalafreda, sorella di Teodorico e madre del duca Teodato.

Amalasunta in un codice medievale

Un matrimonio fatale

Fu per questo motivo e per tacitare le istanze della fazione antiromana della sua corte che Amalasunta decise di invertire clamorosamente la sua linea politica, chiedendo al cugino Teodato di sposarla e di dividere con lei il trono. In questo modo la regina avrebbe messo a tacere le rimostranze dei partigiani dell’integralismo gotico e avrebbe potuto continuare a esercitare il potere regale, una condizione questa in cui era cresciuta e da cui non desiderava distaccarsi. Amalasunta aveva sottovalutato la personalità infida e doppiogiochista del cugino. Elevandolo al trono degli Ostrogoti aveva posto un appartenente alla casa reale degli Amali, quale era anche Teodato, nelle condizioni di esercitare un potere che lei non sarebbe stata in grado di controllare e nella capacità del cugino di potersi vendicare delle umiliazioni che lo zio Teodorico e sua cugina e ora regale consorte lo avevano sottoposto per anni.

Così mentre Amalasunta, soddisfatta e rassicurata dal matrimonio, inviava degli ambasciatori a Costantinopoli per annunciare a Giustiniano la composizione delle vertenze che avevano destabilizzato il regno italiano, Teodato brigava per liberarsi di quella moglie che invece detestava:

Teodato, appena ottenuto il sommo potere di re, iniziò a comportarsi in modo esattamente contrario a quanto Amalasunta aveva sperato, disattendendo le promesse che aveva fatto alla regina prima del matrimonio. Si guadagnò l’appoggio dei familiari di quei nobili goti che erano stati fatti assassinare dalla moglie, dignitari numerosi e di rango elevato tra il popolo degli Ostrogoti e inoltre mandò rapidamente a morte diversi tra i fedeli e i sodali di Amalasunta. Subito dopo fece rinchiudere anche la stessa regina in prigione, prima che tornassero da Bisanzio gli ambasciatori che lei aveva inviato a Bisanzio. Vi è nella regione della Tuscia un lago di nome Bolsena, dentro il quale si eleva dalle acque una piccola isola [l’isola Martana] su cui sorge una fortezza ben costruita. In quel luogo Teodato confinò la moglie Amalasunta, mettendola sotto stretta sorveglianza

Procopio di Cesarea, La guerra Gotica (V, I, 4)

Un delitto di stato

Giustiniano aveva inviato in Italia nelle stesse settimane un uomo di sua stretta fiducia, il comes Pietro, con l’incarico di trattare segretamente, ma con pieni poteri, la cessione della Tuscia all’impero dietro un forte compenso in oro e perfino quella dell’intero Regno d’Italia, nel caso anche Amalasunta avesse deciso di rifugiarsi a Costantinopoli come in precedenza concordato. Tuttavia quando Pietro arrivò in Italia la fine di Amalasunta era già stata decisa. I parenti delle persone che lei aveva fatto sopprimere si erano recati con il beneplacito del re Teodato sull’Isola Martana e avevano ucciso la sfortunata regina degli Ostrogoti, applicando il principio della vendetta di sangue (Procopio di Cesarea, La Guerra Gotica, V, I, 4). Era il 30 aprile dell’anno 535. Anche lo storico Jordanes concorda relativamente in questa versione dell’odioso delitto (LIX, 306), raccontando di come Amalasunta fosse stata strangolata in bagno direttamente dalle guardie di Teodato.

La versione di Procopio

Le cose non sono mai troppo semplici, tanto meno quando si tratta di delitti di stato. Infatti lo stesso Procopio nel suo “Storie segrete”, un feroce libello in cui svergognava i potenti che era costretto ad adulare, si premura di fornirci una versione alternativa di questo assassinio, incolpando direttamente del fatto l’imperatrice Teodora, la moglie di Giustiniano, che lo storico originario di Cesarea, in Giudea, detestava e che viene messa in cattiva luce e accusata di un ennesimo misfatto. Tuttavia la ricostruzione alternativa di Procopio, pur zoppicante da un punto di vista della precisione cronologica, non è priva di qualche suggestione:

Quando Amalasunta decise di farla finita con i Goti per cambiare vita e trasferirsi a Bisanzio, come ho raccontato nei libri precedenti, Teodora ebbe di che riflettere sul fatto che si trattasse di una donna nobile, una regina e anche di bell’aspetto, pronta a decidere seguendo la sua ferma volontà. Le divennero allora sospetti la determinazione della regina dei Goti insieme alla straordinaria energia che la animava come se fosse un uomo. Teodora temeva allo stesso tempo la volubilità di Giustiniano suo marito, tanto che a quel punto lasciò libero corso alla sua gelosia che indirizzò non verso questioni di poco conto, ma cercando di tendere ad Amalasunta una trappola mortale.

Persuase il marito a inviare in Italia come ambasciatore il retore Pietro [Pietro Patrizio, cittadino di Tessalonica] come suo unico plenipotenziario.

Alla partenza l’imperatore gli diede alcune consegne di cui ho parlato a suo tempo [La Guerra Gotica, V, I, 4] e in una sede in cui, per timore di ritorsioni da parte dell’imperatrice Teodora, non ho potuto rivelare la verità dei fatti.

Lei invece diede un unico ordine a Pietro e questo era di far scomparire al più presto dalla faccia della Terra la donna rivale e gli prospettò una ricompensa elevatissima se avesse compiuto la missione affidatagli.

Il sunnominato Pietro, giunto in Italia, poiché la natura umana non arretra neppure dinanzi all’omicidio quando spera di ottenere grandi onori e ricchezze, riuscì a persuadere Teodato, io ignoro come, a sopprimere Amalasunta. In questo modo pervenne in seguito alla elevata dignità di magister officiorum, ottenendo per sé un altissimo potere e insieme a questo un numero elevato di nemici, quali nessuno mai prima di lui

Procopio di Cesarea, Storie segrete, Ἀνέκδοτα, Arcana Historia (XVI, 1-5)

La Guerra Gotica (535 – 553)

Come si può osservare, la verità sulla fine di Amalasunta e sulle circostanze in cui questa maturò risultano meno semplici di quanto potrebbero apparire se si liquidasse l’accaduto secondo le più scontate coordinate interpretative. Alla fine il risultato non cambiò. Giustiniano ebbe il pretesto per scatenare la guerra di riconquista dell’Italia che aveva in mente da tempo. Teodora si liberò comunque di una rivale pericolosa che avrebbe potuto condizionare la vita di corte di Costantinopoli e magari sottrargli l’interesse esclusivo dell’imperiale marito.

Il generale Mundo, il nipote di Attila che prestava servizio da tempo nelle armate imperiali, ricevette l’ordine di attaccare il Regno degli Ostrogoti partendo dall’Illirico e dalla costa della Dalmazia. Allo stesso tempo salpò alla volta della Sicilia una seconda armata al comando del generale Belisario che venne nominato comandante in capo della spedizione di riconquista dell’Italia. Iniziava in questo modo la Guerra Gotica che sarebbe durata circa diciotto anni (535-553) e avrebbe devastato l’intera Penisola, provocato carestie e un impoverimento generale, causando infine la scomparsa dallo scenario storico dell’intero popolo degli Ostrogoti. Questi erano degli effetti che nella tarda primavera dell’anno 535 non potevano essere prevedibili. Presto i Romani avrebbero rimpianto la dominazione tollerante e tutto sommato sopportabile dei Goti e avrebbero appreso come fosse più difficile sottrarsi agli esattori delle tasse di Bisanzio che ai tributi relativamente leggeri della corte di Ravenna.

Dicono che nelle fredde e ventose notti invernali i pescatori e i rari naviganti che solchino le acque scure e inquietanti del lago di Bolsena possano sentire alcuni suoni simili a lamenti alzarsi dalle rive della piccola Isola Martana. Il lago di Bolsena è un antico cratere vulcanico. L’isola in cui trovò la morte Amalasunta è un picco di roccia che emerge netto dalle acque con la sua forma semilunare, residuo di un antichissimo fenomeno eruttivo. Ignoriamo se il fantasma della defunta regina degli Ostrogoti si lamenti della propria sorte e della morte violenta che ricevette. Di certo la fine tragica della figlia di Teodorico non fu un presagio fausto per il destino di quello che era diventato il più importante e florido di tutti i regni romano-barbarici. Forse l’omicidio a tradimento del maturo patrizio Odoacre con cui Teodorico aveva inaugurato il suo regno aveva richiesto una giusta compensazione. Gli anni e gli avvenimenti che seguirono lo dimostrarono oltre ogni ragionevole dubbio.

Federico E. Perozziello

Fonti antiche

Gregorio di Tours, L’Histoire des rois francs, Gallimard, Paris 1968.

Jordanes, Storia dei Goti, Città Nuova Editrice 2016.

Procopio di Cesarea, Le Guerre, Persiana, Vandalica, Gotica, Res Gestae, 2017.

 

Da leggere

Azzara C., L’Italia dei barbari, il Mulino 2002.

Beck H.G., Lo storico e la sua vittima. Teodora e Procopio, Laterza 1988.

Cardini F., Cassiodoro il Grande. Roma, i barbari e il monachesimo, Jaca Book 2009.

Ellul J., Storia delle Istituzioni. Il Medioevo, Mursia 1976.

Heather P., La caduta dell’Impero romano, Garzanti 2005.

Perozziello Federico E., Il lungo addio da Roma. 117-1118 d.C., LEG Edizioni 2020.

Ravegnani G., Soldati e guerre a Bisanzio. Il secolo di Giustiniano, il Mulino 2009.

Sirago V.A., Amalasunta. La Regina, Jaca Book 1998.

Tabacco G., La Storia politica e sociale, dal tramonto dell’Impero romano alle prime formazioni di Stati regionali, in: Storia d’Italia, vol. I, Einaudi 1974.

Toynbee A., Costantino Porfirogenito e il suo mondo, Sansoni 1987.

Wolfram H., Storia dei Goti, Res Gestae 2021.

I Goti. Catalogo della mostra, Electa 1994.

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