Il nome fa ancora sognare. La Legenda Aurea, costellata di meraviglie e miracoli, è uno dei grandi capolavori del Medioevo. Celebrata per tre secoli e poi dimenticata per quasi quattrocento anni, fonte di ispirazione per generazioni di artisti ma incompresa nel suo significato più alto e profondo, l’opera letteraria di Iacopo da Varagine (ca. 1228-1298) ha attraversato nel tempo episodi di alterna fortuna. E oggi, in ultima analisi, è ritenuta un documento di originalità straordinaria, modellato per esprimere, in tutta la sua ricchezza e complessità, una componente insostituibile della società umana: il tempo.
Una monumentale antologia di storie di santi corredata da un ricco repertorio di immagini, che ha esaltato l’estro di pittori, scultori e intagliatori. In centosettantotto capitoli, vergati in uno stile vivido e immaginifico, raccoglie biografie di uomini eccezionali, santi e reprobi, tanto che la sua lettura è stata definita sufficiente per poter spiegare quasi tutti i bassorilievi e le vetrate leggendarie delle cattedrali gotiche. Storicamente, è classificata come fonte agiografica e utilizzata come chiave di lettura per l’iconografia cristiana.
Fu il più grande successo editoriale del Medioevo dopo la Bibbia. Scritta in latino nell’ultimo terzo del XIII secolo, venne presto diffusa con un numero e una varietà di edizioni e traduzioni da fare invidia a un best seller dei nostri tempi: divulgata in italiano, alto e basso tedesco, francese, inglese, ceco e neerlandese, in epoca medievale ha conosciuto 69 diverse versioni manoscritte, seguite da altre 77 nei primi sessant’anni di diffusione della stampa.
Ma se per trecento anni beneficiò della fortunata congiunzione tra il diffondersi della lingua volgare, l’alfabetizzazione del pubblico laico e la diffusione della stampa, dal XVII secolo la sua popolarità subì un drastico arresto, principalmente ad opera dei grandi specialisti moderni dei santi, i padri bollandisti, che la screditarono catalogandola nel genere letterario dei “leggendari medievali” e la destinarono all’oblio. “Questa istituzione di gesuiti” osserva Jacques Le Goff, “che si era data il compito di offrire una presentazione dei santi scientifica e sgombra delle fantasticherie della credulità medievale, rischiò di far uscire dalla conoscenza del Medioevo quest’opera che, adesso lo sappiamo, è uno dei grandi capolavori di quest’epoca”. L’ultima episodica edizione, in vernacolare italiano, è del 1631. E poi, per oltre trecento anni, la Legenda Aurea venne dimenticata.
La grandezza dell’opera è stata riscoperta solo nel Novecento, quando il suo significato si è rivelato molto più articolato e profondo di quanto appaia ad una analisi superficiale, una semplice compilazione di vite di santi. Per comprenderla, bisogna considerare la missione e la levatura intellettuale dell’autore.
Iacopo da Varagine (ora Varazze, in Liguria) fu un domenicano della stessa generazione di San Tommaso d’Aquino. Come quest’ultimo, entrò nell’ordine nel 1244, quando i primi discepoli di San Domenico avevano già edificato conventi fino alle propaggini dell’Europa, dalla penisola Iberica all’Ungheria e alla Polonia. Iacopo passò gran parte della vita nel nord Italia, a Genova, dove si formò culturalmente, e nella provincia della Lombardia, estesa dalle Alpi all’Adriatico. Negli ultimi anni della sua vita tornò a Genova dove, a coronamento della carriera ecclesiastica, venne nominato arcivescovo.
Un colto teologo dunque, ma prima di tutto un predicatore, in un tempo in cui la conquista dei fedeli era una posta fondamentale della missione della Chiesa. Nell’Europa di fine Duecento, il lavoro dei parroci raccoglieva in sé molte funzioni e la parola di Cristo riusciva difficilmente a calamitare l’attenzione delle folle, anche per il dilagare dei movimenti contestatari (catari, poverelli, valdesi), che ostacolavano la comprensione dell’insegnamento cristiano. Era necessario uno strumento di predicazione che potesse fornire spunti per catturare l’interesse delle masse. E, per conquistare spiriti e cuori, i santi erano alleati formidabili. Iacopo da Varagine attinse criticamente dalla letteratura esistente (in gran parte dai leggendari dei domenicani Giovanni da Mailly e Bartolomeo da Trento) per offrire nella sua opera un lavoro enciclopedico serio, autentico e ambizioso.
Compito dei predicatori era anche spiegare ai fedeli il senso delle feste, che ritmano l’anno liturgico e rimandano ai grandi eventi della vita di Cristo e della Vergine: Natale, Circoncisione, Epifania, Pasqua, Assunzione. Così, Iacopo distribuì le vite all’interno del ciclo liturgico, in uno straordinario susseguirsi di racconti che si intrecciano sul canovaccio del calendario ecclesiastico e impostò la Legenda Aurea come un vero e proprio manuale di cultura religiosa ad uso dei predicatori. Costruì l’opera come un potente strumento di predicazione da mettere nelle mani dei pastori, quasi un’arma forgiata allo scopo di parare i colpi di eretici e indisciplinati.
Ma la grande originalità del domenicano non sta solo in questo. Tra il susseguirsi delle vite e il ciclo dei riti liturgici, si scopre che l’oggetto principale del testo di Iacopo da Varagine è il tempo, considerato secondo diverse modalità e infine descritto nella sua totalità. La Legenda Aurea abbraccia il divenire nella sua completezza, per fornire una risposta alla grande questione che tutte le civiltà e le religioni si pongono da sempre.
E infatti, come fa notare l’ultimo grande revisionista del significato di quest’opera (Jacques Le Goff, Il tempo sacro dell’uomo. La “Legenda Aurea” di Iacopo da Varazze. Editori Laterza), il testo inizia così: “La totalità del tempo della vita terrestre si divide in quattro”. Tre di questi tempi sono narrati nell’ordito del testo: il tempo santorale che scorre lineare, scandito dalle vite e dalle gesta dei santi, il trascorrere temporale, che con i suoi riti liturgici compie un ciclo e poi ricomincia, e il tempo escatologico, l’essenza più sfuggente del divenire, di cui il cristianesimo costruisce il cammino affinché l’umanità si diriga in modo retto fino al Giudizio Universale. Il quarto e ultimo modo del tempo è il totale, fornito dalla somma dei primi tre.
Ed è in questa complessa considerazione del tempo, nella sua totalità e nei suoi differenti modi di scorrere che sta la stupefacente grandezza della Legenda Aurea. “In questa visione”, dice Le Goff, “i santi sono veri e propri marcatori del tempo, che servono a mostrare come solo il cristianesimo ha saputo strutturare e sacralizzare il tempo della vita umana per condurre l’umanità alla salvezza. Poiché il tema della Legenda Aurea non è un tempo astratto, è un tempo umano, voluto da Dio e sacralizzato, o santificato, dal cristianesimo”.
Daniela Querci
N.d.r.: Oggi sono in commercio molte versioni della Legenda Aurea (spesso italianizzata per assonanza in Leggenda Aurea). L’ultima, disponibile in eBook, è della Casa Editrice SISMEL – Edizioni del Galluzzo, con testo e commento a cura del filologo Giovanni Paolo Maggioni.