Il papa stregone

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Che cosa significa essere marginali? Quali sono i meccanismi che in una società determinano inclusioni ed esclusioni? Generalmente pensiamo a fattori economici, politici, identitari, religiosi, culturali, che tuttavia nella storia hanno avuto un peso differente secondo le circostanze. Nel nostro Medioevo, il fattore discriminante è stato quello religioso: nella cultura di quel periodo, infatti, la difformità di fede difficilmente era consentita e anzi era percepita quale alterità, mentre si mostravano atteggiamenti più mediati e accomodanti, spesso persino inclusivi, nei confronti degli umili, dei malati, dei bisognosi, degli stranieri. Marina Montesano, docente di Storia medievale all’Università di Messina, nel libro “Ai margini del Medioevo. Storia culturale dell’alterità”, Carocci editore, indaga, sulla lunga durata, le ragioni di questo “carattere originario” della nostra cultura. Ecco la storia del processo per eresia che Filippo il Bello fece imbastire post mortem contro il suo avversario, il pontefice Benedetto Caetani, salito al soglio di Pietro con il nome di Bonifacio VIII.


Subito dopo la morte di Bonifacio VIII, Filippo il Bello fece imbastire un processo per eresia contro il suo avversario, in primo luogo per dimostrare il proprio zelo contro un papa eretico, riprendendo così le accuse che già alcuni settori della società italiana (in particolare i francescani spirituali di Iacopone da Todi) gli avevano mosso quando, nel 1294, Celestino V aveva abdicato e Benedetto Caetani era salito al soglio pontificio.

È da ciò che nasce la necessità di «arretrare nel tempo le accuse portate contro Bonifacio VIII. Più esse erano antiche, più avrebbero giustificato lo “zelo” del re a intervenire contro Bonifacio».

Manno Bandini da Siena, Statua di Bonifacio VIII, Museo civico medievale, Bologna. Dettaglio. Foto di Paolo Monti, 1974

Le prime accuse compaiono nel 1303 formulate da Guglielmo di Nogaret e Guglielmo di Plaisians. Nel discorso del primo si trova soltanto la generica affermazione «Bonifacio è eretico manifesto» con la quale Nogaret presenta una categoria giuridica ben definita qual è appunto quella dell’hereticus manifestus, mentre Plaisians declina i capi d’accusa in modo più preciso; il testo si chiude con l’adesione formale del re di Francia e dei prelati. Per quanto riguarda l’accusa di eresia, nei 28 articoli si spiega prima di tutto perché «eretico perfetto»: non crede all’immortalità e all’incorruttibilità dell’anima, corruttibile come il corpo; di conseguenza non crede nella vita eterna e nella salvezza dell’anima e neppure nella presenza del corpo e del sangue del Cristo nell’eucarestia.

Sarebbe stato inoltre nepotista e simoniaco, dilapidatore dei beni della Chiesa, fomentatore di guerre. Torna sulla questione nel 1306 Pietro Colonna, membro della famiglia aristocratica romana ch’era stata acerrima nemica di Bonifacio VIII e che da lui aveva subito una crociata nei primi anni di pontificato; Colonna cita i medesimi articoli di accusa di Guglielmo di Plaisians intervallandoli con una serie di dicta che Bonifacio VIII avrebbe pronunciato in diverse occasioni a proposito della negazione dell’immortalità dell’anima; afferma anzi che spesso il papa avrebbe accusato di stoltezza coloro che vi credevano e tristi coloro che, nella speranza della vita eterna, non godevano di quella terrena.

Pietro Colonna riporta che il pontefice ripeteva di frequente che preferiva soddisfare i propri desideri mentre era in vita e che gli piaceva moltissimo udire buoni auguri come «Dio ti conceda lunga e buona vita» e «Dio ti conceda vita eterna», il che trova riscontro in un passo dell’invettiva di Iacopone da Todi contro il pontefice nella quale scrive che Bonifacio VIII pensava «per augurio la vita perlongare». Secondo Paravicini Bagliani «la parola ‘augurio’ significa qui infatti ‘pratiche magiche’. E siccome proviene da un poeta che conosceva bene Bonifacio VIII, questa testimonianza ha grande importanza».

Nel biennio successivo, 1308-09, le accuse contro Bonifacio VIII non fecero che aumentare, con un certo numero di elementi aggiuntivi che confermano una svolta e l’inizio di una nuova fase nella strutturazione dell’accusa.

L’arresto di Bonifacio VIII in una miniatura della Nuova Cronica di Giovanni Villani

Gli articoli, il cui autore è presumibilmente Guglielmo di Nogaret, sono tredici. Nove di questi riguardano le opinioni eretiche sostenute da Bonifacio VIII riguardo ai sacramenti, la fine dei tempi, l’incarnazione e la morale sessuale. Si dice inoltre che avesse favorito gli eretici dando loro consigli, aiuti e denaro e che avesse ostacolato il lavoro degli inquisitori facendone persino incarcerare alcuni e lasciando che uno di questi morisse rinchiuso in una cella.

Tra il 5 aprile e il 17 maggio 1310 vennero raccolte le deposizioni di ventiquattro testimoni; sette fra queste riferiscono di una disputatio avvenuta a Napoli nella residenza dell’allora cardinale Benedetto Caetani fra lui e un chierico nel quale il futuro pontefice avrebbe sostenuto la superiorità dei dogmi musulmani rispetto a quelli cristiani; altrove vengono messe in dubbio l’Eucaristia, la resurrezione dei morti, l’esistenza di una vita dopo la morte, l’Incarnazione e la Trinità.

Papa Bonifacio VIII in un ritratto di autore anonimo

Come scrive Paravicini Bagliani, sembra strano che un acuto stratega come Bonifacio VIII «abbia commesso l’errore di negare pubblicamente e in maniera così categorica i principali dogmi della religione cristiana»; inoltre, in queste testimonianze «le date e i luoghi sono veridici, ma i testimoni dipendono gli uni dagli altri e seguono degli schemi unitari; il che toglie loro credibilità».

Fra le accuse, numerose riguardano il ricorso alla magia demoniaca, evidentemente equiparata all’eresia.

Bonifacio VIII risulta essere «la prima persona nel Medioevo a essere accusata, quando era ancora in vita, di possedere uno spirito familiare e, quel che è più grave, racchiuso in un anello magico».

È una novità evidentemente in linea con i tempi, anche se straordinariamente grave poiché rivolta a un pontefice.

Secondo le accuse mosse da Pietro Colonna i demoni che agivano presso il pontefice sarebbero stati tre, “passatigli” da altrettanti esperti di negromanzia, una donna e due uomini dei quali si fanno i nomi; egli avrebbe inoltre ricevuto un anello da tale Guido Novello: nel tesoro pontificio v’era un certo numero di anelli papali ricchi di immagini che avrebbero potuto ricordare anelli magici.

Uno di essi aveva un cammeo, in mezzo al quale due figure di uomini circondavano una terza figura che giaceva nel mezzo. In un altro anello era montato un grande cammeo: vi si vedevano due figure, di cui una più grande; si trattava di una donna che teneva per mano un bambino. I quattro smeraldi incastonati in un altro anello pontificale erano disposti in cerchio «secondo la forma della luna piena».

Il pontefice era accusato anche di aver compiuto evocazioni e suffumigi con mirra e aloe, inginocchiandosi e chiamando a gran voce il demonio, che con le arti magiche avrebbe sottomesso alla sua volontà. Come per le accuse di eresia, anche per quanto riguarda quelle di demonolatria è possibile riscontrare un’evoluzione nel corso del tempo, con delle progressive modifiche e aggiunte. È esattamente ciò che si può notare nel passaggio dal commento di Pietro Colonna del 1306 agli articoli d’accusa contro Bonifacio VIII del 1308-0938. Con le ultime fasi, quelle del 1310 e del 1311, si descrive la tracciatura di un cerchio con una spada e il sacrificio di un gallo al suo interno: anch’essi rituali di evocazione demoniaca.

Compare inoltre l’accusa inerente al possesso di un idolo nefasto al cui interno era rinchiuso uno spirito diabolico donato al papa da Taddeo Alderotti, professore di medicina all’Università di Bologna e maestro di un altro medico che fu per certo al servizio di Bonifacio VIII, ovvero Guglielmo da Brescia; secondo un testimone il papa chiedeva che venisse scostata una tenda di seta dorata fissata al muro della stanza, nel quale era presente un’apertura: «Dopo aver tolto la cortina, il papa si sarebbe tenuto in piedi per ben un’ora in adorazione davanti a questa finestra»; avendo chiesto delucidazioni a riguardo, il testimone si sarebbe sentito rispondere che vi era una maestà malevola, insomma l’idolo di un demone.

Papa Bonifacio VIII, opera del 2018 dell’artista Letizia Cucciarelli in creta cruda con inserti di bottoni, pietre dure e perle

Il riferimento ai medici non è casuale; Guglielmo da Brescia era divenuto medico del papa nel 1297, «una funzione che egli continuerà a esercitare sotto Clemente V e Giovanni XXII»; non era l’unico medico che prestò servizio presso Bonifacio VIII, che anzi si servì di «almeno sei o sette medici personali, ai quali si aggiungevano poi altri celebri esponenti della medicina del tempo, con i quali egli intrattenne relazioni». Tra questi il più celebre è stato Arnaldo da Villanova. Tale medico ricopre un ruolo significato nelle vicende di Bonifacio VIII poiché, in seguito alla stesura di un trattato dai toni apocalittici sulla venuta dell’Anticristo, fu accusato di eresia. In seguito all’intervento del papa le accuse a carico di Arnaldo vennero mitigate e lo stesso, trasferendosi nel castello di Sgurgola, nel frusinate – che apparteneva alla famiglia Caetani –, prestò servizio come medico. Egli, per curare il pontefice che soffriva spesso del cosiddetto “male della pietra” – calcoli renali – gli prescrisse un sigillo astrologico. Si tratta del “sigillo del Leone”, la cui ricetta «era stata interpolata, forse a Montpellier verso il 1300, in un trattato di magia più antico, il famoso Picatrix» e poi aveva iniziato a circolare anche in modo indipendente.

Che un pontefice coltivasse interessi del genere oggi può apparire insolito, ma all’epoca il limite fra medicina e magia naturale era molto più labile, mentre le pratiche negromantiche delle quali è accusato appartengono a un ambito differente, demoniaco, «a tal punto che la bolla Super illius specula ne sembra quasi un riassunto a posteriori».
Oltre alle accuse di eresia e demonolatria, vi erano infine quelle relative alla condotta sessuale: sodomia, rapporti con concubine, figli illegittimi, molte le voci a suo carico.

Il processo contro Bonifacio VIII terminò comunque con un sostanziale nulla di fatto, almeno sotto il profilo pratico. Il nuovo pontefice Clemente V provava evidentemente imbarazzo e sentiva la pressione per quel castello di accuse; pretese che il processo si concentrasse solo su quelle di eresia, facendo sparire le altre; reagì chiedendo al re di lasciare la questione della colpevolezza di Bonifacio al concilio di Vienne, che si riunì nel 1311, ma allo stesso tempo chiese che fossero sottoposti a controllo zelo e buona fede di Filippo il Bello.

Nel frattempo, però, si era aperto un altro caso, che avrebbe giocoforza costretto il papa e il re di Francia a trovare un accordo: il processo contro i Templari.

Marina Montesano

Marina Montesano
Ai margini del Medioevo
Storia culturale dell’alterità
Carocci, 2021
Per maggiori informazioni: scheda del libro

Da leggere:
Agostino Paravicini Bagliani, Bonifacio VIII, Einaudi, Torino 2003.
Agostino Paravicini Bagliani, Il papato e il demonio. Per una rilettura di alcune lettere pontificie del Due e Trecento, in AA.VV, Il diavolo nel Medioevo, CISAM, Spoleto (PG) 2012, pp. 101-15.

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