Il Medioevo e i luoghi segreti in Italia

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Luoghi segreti, sconosciuti, oppure difficilmente raggiungibili, velati di quel fascino misterioso collegato all’Età di mezzo. E ancora episodi di caccia che coinvolgono re e duchi, oppure storie d’amore all’ombra di una torre o di un convento. Residenze famose, tipo Castel del Monte, e romitori isolati e sconosciuti. Tutto questo lo si trova in “Alla scoperta dei luoghi segreti del Medioevo” di Mario Galloni ed Elena Percivaldi (Newton Compton editore). Il libro è stato presentato in occasione del Festival del Medioevo di Gubbio e quella che segue è la trascrizione di una chiacchierata con l’autrice nel lungo viaggio in Italia alla scoperta della sconvolgente bellezza della Penisola e della sua storia.

 

Elena Percivaldi al Festival del Medioevo a Gubbio

Elena Percivaldi al Festival del Medioevo a Gubbio

Alla scoperta dei luoghi segreti del Medioevo, segreti in quanto inaccessibili o mai visitati oppure perché nascondono leggende e misteri?
«I luoghi di cui abbiamo scelti di parlare nel testo sono luoghi legati alla storia medievale, ma non notissimi al vasto pubblico e ai non “addetti ai lavori”. Abbiamo, in altre parole, selezionato tra i tantissimi castelli, borghi, abbazie e monumenti quelli che a nostro giudizio (perché li abbiamo studiati direttamente) ci sembravano meritevoli di essere raccontati. Alcuni – molti, per la verità – racchiudono leggende affascinanti: le abbazie di San Pietro in Valle a Ferentillo (Terni) e San Pietro al Monte di Civate (Lecco), ad esempio, sono legate a cacce “miracolose” da parte di principi o duchi longobardi; ci sono storie romantiche, come quella di Lotario e Imelda a Santa Croce al Chienti (Fermo), leggende dietro le quali si nascondono però significati ben più profondi. Ci sono poi storie intriganti che vedono protagonisti manoscritti, affreschi, capitelli e reliquie, ma anche città medievali di fatto scomparse, come Alessandria e Lodivecchio, le cui poche vestigia magari sfuggono allo sguardo disattento del turista (e spesso anche a chi ci abita da sempre….), ma custodiscono gioielli mozzafiato che vale la pena di ammirare. Un luogo, però, fa eccezione ed è un’eccezione voluta: Castel del Monte. Abbiamo scelto di includerlo anche se è un luogo notissimo perché, purtroppo, negli ultimi decenni è stato oggetto di tante speculazioni e letture spericolate senza alcun fondamento scientifico, al punto da essersi paradossalmente trasformato, di fatto, in un luogo poco noto. Da qui l’esigenza di ri-raccontarlo, fonti alla mano e lasciando perdere i facili esoterismi tanto popolari anche a livello mediatico. Castel del Monte è un luogo straordinario per il solo fatto di essere quello che è: un castello, simbolo in pietra della regalità sveva. Non ha certo bisogno di essere travisato per sprigionare il suo enorme fascino!».
Qual è il filo che lega questi luoghi dalle Alpi alla Sicilia?
«Non c’è un vero e proprio fil rouge se non, appunto, la volontà di raccontare luoghi magari poco conosciutin ma ricchi di storia, di bellezza e di memoria, che conosciamo bene e di sui ci siamo a vari livelli “innamorati”, e accompagnare i lettori alla loro scoperta o riscoperta. Di ciascuno di essi abbiamo cercato di individuare le particolarità e raccontarle con uno stile chiaro e avvincente. Speriamo che il libro possa avvicinare e catturare anche chi non ha una conoscenza approfondita del Medioevo ma ne è affascinato e vorrebbe saperne di più».

 

Presentazione del libro a Gubbio

Presentazione del libro a Gubbio

Cos’è il Medioevo italiano a livello artistico e architettonico, come lo potremmo descrivere?
«E’ impossibile anche solo pensare di definire mille anni di storia come un periodo omogeneo, quindi anche artisticamente direi che pretendere di definire gli stessi mille anni con pochi aggettivi sia quantomeno riduttivo se non privo di senso. Non esiste un Medioevo ma, forse, più “Medievi”, sempre ammesso che si possano definire tali: troppe le varianti, troppe le contaminazioni e i dialoghi, gli incontri e gli scontri, per poter classificare in maniera schematica l’arte che vi vede complessivamente la luce. Se ci atteniamo alla partizione cronologica tradizionale, nel “Medioevo” trovano spazio sia l’iconografia ieratica e simbolica di ispirazione bizantina che il “realismo” giottesco. Ci sono le decorazioni zoomorfe e geometriche di matrice barbarica, i simboli inquietanti dei capitelli romanici, la scenografica grandiosità gotica. Cos’è il Medioevo italiano? Provocatoriamente, direi, tutto e nulla. Volendo invece dare una risposta posata: è un mosaico coloratissimo, creato da tante mani diverse, in cui si coglie un anelito comune verso l’assoluto e dove riecheggia, nelle sue infinite varianti, un’accecante e sconvolgente bellezza».
Com’è nato questo volume?
«Il libro è nato direttamente dalla direzione editoriale di Newton Compton, che mi ha proposto di lavorare a questo titolo, dopo “La vita segreta del Medioevo” e “Gli antipapi” che con Newton ho pubblicato rispettivamente nel 2013 e nel 2014. Ho accolto, devo dire, subito l’idea con entusiasmo perché in questi anni mi sto occupando, per il mensile Medioevo, di analizzare e raccontare alcuni luoghi che costituiscono importanti vestigia medievali ma che risultano “nascosti” oppure, anche se noti (ma non notissimi!) sono talmente belli e complessi da meritare un’approfondita analisi storica e iconografica. In Italia per fortuna c’è solo l’imbarazzo della scelta. Nella prima bozza dell’indice i luoghi erano oltre 120, ma il lavoro rischiava di essere monumentale oppure, dovendolo contenere in un certo numero di pagine, troppo superficiale, quindi abbiamo operato una selezione. E’ stata dura: alla fine abbiamo deciso di trattare una sessantina di luoghi rappresentativi di tutta la penisola. Ma speriamo davvero, se i lettori ci premieranno e l’editore lo vorrà, di poter dare un seguito al lavoro con un secondo volume. Poi chissà…».
Il libro è scritto a quattro mani, come vi siete divisi i compiti?
«Diciamo che il testo è stato concepito globalmente come un viaggio alla scoperta della bellezza nascosta. Lo abbiamo fatto insieme io e Mario Galloni, che è mio marito, quindi ogni testo naturalmente è stato discusso e rivisto da entrambi. Però è naturale che ciascuno di noi due abbia voluto improntare le parti che ha scritto con il proprio punto di vista particolare, frutto delle proprie conoscenze e della propria sensibilità, che per forza di cose sono diverse. Dal punto di vista pratico, posso dire che io, essendo una storica di formazione e da sempre interessata agli aspetti legati all’arte e all’iconografia, mi sono cimentata nella stesura dei capitoli e delle parti che privilegiavano questi argomenti. Mario, che è un cronista di lunga data, ha invece usato la sua penna per raccontare i personaggi e le storie. Il mix di registri alla fine ci è piaciuto e speriamo che risulti efficace e stimolante anche per chi avrà la pazienza di leggerci».
Di tutti i luoghi di cui hai scritto in questo volume, ce n’è uno al quale sei più legata e perché?
«Più di uno per la verità… ed è anche per questo che li ho scelti. Si tratta di Castelseprio e di Cividale del Friuli, due formidabili luoghi della memoria legati ai Longobardi, un altro tema a me particolarmente caro sin dai tempi ormai lontani dell’Università. Ricordo con un pizzico di nostalgia quando, agli inizi degli anni Novanta, avevo chiesto a mio padre di portarmici per “verificare sul campo” e toccare con mano le conoscenze che andavo acquisendo via via sui libri. Allora era tutto diverso e più complicato: non c’era internet, trovare le informazioni non era semplicissimo, molti libri si trovavano solo nella biblioteca dell’Università ma forse proprio per questo il piacere della scoperta di questo straordinario patrimonio fu enorme, come un libro che si rivelava una pagina dopo l’altra. All’epoca, oltretutto, il “boom” longobardo, era ancora lontano: sarebbe cominciato nel 2001 con la grande mostra di Brescia per poi esplodere dopo il 2011 con l’ingresso nel patrimonio Unesco del sito seriale “L’Italia dei Longobardi”, e da allora molto – a cominciare da quanto aveva scritto G. P. Bognetti sulla stessa Castelseprio – è stato scritto, studiato, rivisto, corretto…. Omaggiare quei luoghi, così come gli altri che hanno visto i Longobardi protagonisti (Monza, Benevento, Pavia, per non citarne che alcuni) è stato un po’ come ritrovare e rivivere l’entusiasmo e i ricordi di quegli anni, e rinfocolare una passione che ho sempre coltivato fino ad oggi. Si tratta di luoghi straordinari, dove l’espressione artistica ha raggiunto vette assolutamente memorabili: basti pensare alla teoria di sante in stucco del Tempietto longobardo di Cividale, ieratiche e fuori dal tempo, all’altare di Ratchis con le sue figure stilizzate che costituiscono un vertice dell’espressività “barbarica” in chiave cristiana, oppure all’eccezionale ciclo pittorico di Santa Maria Foris Portas di Castelseprio, opera di un anonimo artista orientale la cui qualità ed espressività pittorica non ha nulla da invidiare a quella di un Giotto. Spero tanto che il libro riesca, nel suo piccolo, a trasmettere tutto l’amore e la passione che ho sempre provato nei confronti del Medioevo e che spinga il lettore ad avvicinarsi a quest’epoca, a torto tanto bistrattata, con occhi del tutto diversi. Se ciò avvenisse anche solo in minima parte, ne sarei estremamente orgogliosa».

Umberto Maiorca

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