Ebstorf, il mappamondo perduto

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EbstorferIl Mappamondo di Ebstorf è la più grande carta geografica conosciuta del Medioevo. Un capolavoro di tre metri e mezzo di diametro, scoperto nel 1843 nel monastero benedettino della cittadina sassone di cui porta il nome e attribuito a un cartografo che operò in Germania nel tredicesimo secolo, Gervasio di Ebstorf.

Oggi, della grande mappa restano soltanto una serie di fotografie in bianco e nero scattate nel 1891 e numerosi facsimile a colori perché, esattamente un secolo dopo il suo ritrovamento, l’originale andò perduto ad Hannover nel corso di un bombardamento degli Alleati.

Dipinta su trenta pelli di capra cucite insieme, era una elaborata e splendida versione delle numerose mappae mundi tripartite a T e O dell’epoca, chiamate così perché mostrano i tre continenti Asia, Europa e Africa separati da un Mar Mediterraneo a forma di T, mentre l’oceano che circonda le terre emerse è disegnato come una grande O.

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Il fatto che in questo tipo di mappe ci fosse solo la parte conosciuta dell’emisfero settentrionale, circondato dalle acque, ha alimentato la falsa credenza che l’uomo medievale ritenesse la Terra piatta. In realtà, le mappae mundi medievali sono rappresentazioni geografiche di convenienza, con scopi molto diversi da quelli associati alla moderna cartografia. Non erano pensate per essere usate come riferimento durante i viaggi e non avevano la pretesa di mostrare le terre e le acque in maniera proporzionata. Servivano invece come schemi per illustrare diversi concetti.

Quelle più semplici, spesso inserite all’interno di trattati e opere enciclopediche, erano utili per illustrare dati scientifici come la sfericità della Terra, i continenti conosciuti e le diverse zone climatiche. Le carte più grandi avevano anche spazio per descrivere e spiegare i punti cardinali, i territori lontani, la flora e la fauna, le storie della Bibbia e gli eventi storici e mitologici. Nella loro forma più completa, come quella di Ebstorf, le mappae mundi erano vere e proprie piccole enciclopedie della conoscenza medievale.

Nel capolavoro di Gervasio, il centro cadeva sulla città di Gerusalemme e il punto cardinale Est era rivolto verso la parte superiore della carta. C’era Cristo, raffigurato con la testa in alto, le mani ai lati e i piedi in basso, mentre la città di Roma era rappresentata con la figura di un leone. Tutto intorno alla mappa il cartografo compilò una fitta e dettagliata legenda che, oltre alla definizione dei termini usati sulla carta, forniva descrizioni di animali, il racconto della creazione del mondo e una breve descrizione del tipo di cartografia usato, con la spiegazione del perché l’emisfero venisse raffigurato diviso in tre parti. La mappa includeva anche storie e simboli, sia pagani che biblici.

La geografia affascinava molto l’uomo medievale. Solo di mappae mundi ce ne sono arrivate più di mille, la maggior parte come illustrazioni a corredo di manoscritti e altre come carte a sé stanti. Rappresentazioni meravigliose, che variano in grandezza e complessità da piccoli schemi di pochi centimetri a grandi mappe, come il Mappamondo di Hereford, di un metro e mezzo di diametro. E i mappamondi non erano le uniche tecniche geografiche utilizzate per descrivere la Terra. Nel corso del Medioevo, e solo nell’Europa occidentale, convissero altri due generi di cartografie completamente distinti dalle mappae mundi: i portolani e i planisferi tolemaici. Per non parlare del Medio Oriente, dove si produssero altre splendide carte e notevolissime rappresentazioni geografiche del pianeta.

Daniela Querci

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