Il maledetto “musaicista” Consilio Dardalini

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Orvieto, Palazzo Comunale, decorazione della sala del Consiglio, particolare della decorazione ottocentesca raffigurante Monteleone

Tutti, a Monteleone e dintorni, lo chiamavano Stopario. Un soprannome misterioso. Almeno quanto il personaggio. Consilio Dardalini era un “maestro di vetri”. O meglio, un “musaicista”. Così bravo da emergere per qualche decennio fra tutti gli altri superbi artigiani che concorsero alla costruzione della facciata del Duomo di Orvieto.

All’inizio Consilio, insieme ad alcuni suoi compaesani, faceva le “linguacce”: lunghe liste di paste vitree dorate o argentate, prodotte nelle fornaci di Monteleone e di Piegaro, dove abbondava un tipo particolare di terra rossa. Nei boschi rigogliosi del contado orvietano era anche facile trovare molta buona legna per ottenere la combustione perfetta che serviva per far nascere i vetri colorati e le tessere da mosaico.

Nell’Umbria medievale la lavorazione del vetro era iniziata alla fine del XIII secolo grazie a un gruppo di emigranti che arrivarono da Venezia. Nel 1292 il governo della Serenissima aveva bandito dalla città tutte le fornaci: troppo alto era il pericolo di esplosioni e incendi a ridosso delle case. La maggior parte degli artigiani si trasferì nella vicina isola di Murano. I veneziani tentarono di garantire i segreti dei maestri con la nascita di corporazioni organizzate e statuti, via via sempre più severi. Molti vetrai però lasciarono la laguna, in cerca di mercati con meno concorrenza. A Piegaro e a Monteleone gli artigiani veneti trovarono una accoglienza calorosa. E molta considerazione. Tanto che alcuni di loro si imparentarono con le famiglie più abbienti della zona.

L’arte del vetro appariva misteriosa, quasi magica. E quasi un illusionista dovette sembrare ai suoi compaesani l’intraprendente Consilio Dardalini che a Monteleone aprì una sua fornace. Nella vicina Orvieto stava nascendo la grande fabbrica del Duomo nella quale per oltre tre secoli decine di artisti impegnarono le loro migliori energie. L’immenso cantiere celebrava in modo plastico il nuovo e strategico ruolo della città nello scacchiere politico e culturale della Penisola.

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La replica ottocentesca del mosaico raffigurante la Natività di Maria. L’originale dell’opera, realizzata da Consilio Dardalini su cartone di Ugolino di Prete Ilario, è oggi conservata presso il Victoria and Albert Museum di Londra

L’architetto Lorenzo Maitani nel 1310 aveva iniziato a sovrintendere ai lavori e garantiva commesse sicure sia a Piegaro che a Monteleone. Una decina di anni dopo (1321), anche per evitare le difficoltà legate ai trasporti dei fragili tasselli, il capomastro del Duomo decise di aprire una vetreria proprio a Orvieto, nei pressi della porta del vescovado. E ne affidò la direzione a mastro Consiglio Dardalini. Sulla Rupe, insieme allo Stopario, secondo le cronache di Luigi Fumi (“Il Duomo di Orvieto e i suoi restauri”, 1891) si trasferirono anche altri tre monteleonesi: Ghino di Pietro, Cola di Pietrangelo e Nuto da Monteleone.

Un quartetto di “maghi del vetro”. Ma Consilio Dardalini era il leader riconosciuto. Fumi lo descrive come un “industrioso fabbricatore” che guidava in prima persona i lavoranti nell’arte di stendere nel modo giusto le foglie d’oro e le pezze di argento battuto.

Niente offuscò la sua fama. Nemmeno lo scandalo di un fattaccio di cronaca nera: una condanna infamante a seguito di un saccheggio che nel 1327 sconvolse San Casciano a Bagni, la città a sud del Monte Cetona, spesso contesa tra i senesi e gli orvietani.
Le cronache dell’epoca glissano sui particolari. Di certo, Consilio si distinse nelle rapine. E fu tra il manipolo di violenti e facinorosi che si accanirono contro i civili. L’assalto non aveva niente di militare e non era stato autorizzato dal governo orvietano. All’imbarazzo seguì presto la voglia di una punizione esemplare, vista anche la notorietà del personaggio.
Dardalini, il bravissimo artigiano che di giorno frequentava gli angeli dipinti sulla facciata del Duomo e la notte inseguiva i suoi demoni fu imprigionato e processato. La condanna fece scalpore: fu cacciato dalla fabbrica del Duomo e bandito da Orvieto.

Ma il castigo durò solo pochi mesi. Senza l’artista “maledetto” di Monteleone, i lavori sugli splendidi mosaici intorno al rosone del Duomo si bloccarono. Né Tino d’Assisi, né Angioletto da Gubbio, né Meuzzo Sanese e nemmeno Lello da Perugia riuscirono ad assicurare la stessa qualità di Consilio.
Lorenzo Maitani capì: Dardalini era indispensabile. E allora, caldeggiato dai suoi collaboratori, chiese ai governanti di Orvieto che venisse riabilitato. In nome della bellezza delle sue creazioni. Perché “per la sua assenza, veniva danno all’Opera, non trovandosi chi potesse meglio di lui lavorare il musaico per la facciata”.
La Signoria dei Sette, l’organo dei supremi magistrati, per la gloria di Orvieto, seguì la ragion di Stato e riaprì il processo. Il verdetto cambiò: con 31 voti favorevoli, Consilio il “musaicista” fu assolto.

Giuseppe Bolletti nel suo “Notizie istoriche di Città della Pieve”, stampato a Perugia nel 1830, ricorda nei particolari il clamoroso episodio. E specifica che due emissari del governo orvietano furono inviati al castello di Monteleone per richiamare Dardalini al suo prezioso lavoro.
I messi condirono la buona notizia con un atto impregnato di cinismo amministrativo: Stopario poteva tornare al suo lavoro, libero da tutte le accuse ma doveva tagliare di un terzo la sua “solita paga”. Consilio manifestò pentimento per la sua condotta infamante e acconsentì subito all’invito, “in devozione di Maria Santissima”.

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Duomo di Orvieto, particolare della facciata

I registi della grande fabbrica dell’Opera del Duomo documentano che Dardalini fu pagato per le sue preziose forniture di vetri anche nel 1335, 1338 e nel 1339. Il suo nome riemerge tra i documenti circa un ventennio dopo: nel 1358, collaborò con il pittore Ugolino di Prete Ilario per la costruzione di una vetrata nella cappella del SS. Corporale. E l’anno successivo insieme a Andrea di Cione detto l’Orcagna e suo fratello selezionò le tessere più belle per i mosaici che sulla splendida facciata del Duomo servirono a raffigurare la Natività della Vergine.
L’ultima sua fornitura documentata “di vetri colorati e dorati” risale alla fine del 1363. Proprio quell’anno si persero le sue tracce. Forse Consilio si ritirò e tornò a Monteleone. Forse morì poco dopo. Del resto, doveva essere abbastanza vecchio se si pensa che erano passati più di 40 anni dall’apertura della sua prima vetreria ad Orvieto.

Il tempo e le intemperie hanno cancellato i mosaici fissati sulla stupefacente facciata del Duomo. L’opera di Consilio Dardalini e altri celebri artisti come Giovanni Bonini, l’Orcagna, Ugolino d’Ilario, Giovanni Leonardelli e David del Ghirlandaio è andata perduta. Via via, nei secoli, le tessere originali sono state sostituite, in modo comunque mirabile.

Nel 1790, quinto centenario del Duomo, alcuni mosaici originali furono staccati e offerti in omaggio a papa Pio VI. Solo uno non è andato disperso: è proprio il quadro della Natività della Vergine di Ugolino di Prete Ilario su cui si esercitò anche l’arte paziente di Consilio Dardalini. Dal 1891 è conservato al Victoria and Albert Museum di Londra, insieme alla memoria del maledetto musaicista di Monteleone d’Orvieto.

Federico Fioravanti

Articolo pubblicato su MedioEvo N° 259 di agosto 2018

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