Il lavoro delle donne

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Dagli studi più recenti sul lavoro femminile medievale che stanno fiorendo in tutta Europa su basi rigorosamente documentarie, emerge un quadro completamente diverso dagli stereotipi tradizionali: non donne chiuse in casa a svolgere soltanto mansioni domestiche, o filatura, tessitura e cucito, ma attivissime in tutti i settori (compresi i più pesanti, come l’edilizia o il lavoro in miniera), e a tutti i livelli, dalla manovalanza all’imprenditoria, riuscendo spesso a mantenersi da sole e persino ad aiutare familiari in difficoltà.

Pittrice, immagine da un manoscritto del De mulieribus claris (G. Boccaccio)

La rigorosa analisi dei documenti, e il raffronto delle ricerche specifiche su contesti geografici anche molto lontani tra loro, hanno cioè messo in evidenza realtà e linee di comportamento comuni a tutte le donne d’Europa (secc. XIII – inizio XVI), ben diverse da quelle che la tradizionale storiografia sull’argomento, senza supporti documentari, continua da decenni a ripetere.

A prescindere dalle teorizzazioni generali, avulse da qualsiasi riscontro documentario, l’analisi dei singoli microcosmi consente dunque di percepire, nella concretezza e nella peculiarità delle situazioni, il modo di pensare e di agire delle donne medievali. Tra le caratteristiche comuni a vasti ambiti cronologici e geografici emerge in primo luogo il fortissimo spirito di corpo e la capacità organizzativa che portavano le donne, un po’ dovunque in Italia e in Europa, ad integrarsi perfettamente nella vita economica, sociale e politica delle loro città, arrivando talvolta a trattare direttamente con le autorità municipali, ottenendone il consenso (Bilbao, Valencia, Basilea, Rouen).

L’imprenditoria femminile Nonostante la sua capillare diffusione c’erano settori, come quello tessile, in cui il lavoro femminile prevaleva, dando vita a ben organizzate manifatture gestite da donne. Persino nella filatura della lana esistevano delle imprenditrici autonome: a Barcellona alla fine del ‘300 alcune di loro davano vita a piccole aziende in cui assumevano apprendiste, e giungevano fino a commercializzare direttamente il prodotto, vendendolo al mercato settimanale sulla piazza cittadina.

Cicli di produzione tutti al femminile caratterizzavano alcuni settori dell’imprenditoria, come quello tessile

Tre settori esclusivamente femminili erano caratterizzati da notevoli ed autonome capacità organizzative: le fasi preliminari alla filatura serica; la filatura dell’oro; la confezione di veli e cuffie/acconciature di seta e di cotone. Articoli, questi ultimi, destinati alle donne e che richiedevano un gusto prettamente femminile nell’ideazione. Perciò in tutta Europa veniva lasciata loro la gestione dell’intero ciclo produttivo (dalla realizzazione dei modelli, alla tessitura e alla commercializzazione), compreso il conferimento del capitale necessario ad avviare l’attività. Donne imprenditrici dotate di propri capitali commissionavano ad altre donne che lavoravano a domicilio (spesso, a loro volta, con delle allieve), la tessitura dei manufatti.

Nella maggior parte delle attività erano coinvolte le nobildonne come finanziatrici e come imprenditrici: nella Venezia d’inizio ‘500 le aristocratiche avevano fatto un business persino della confezione dei merletti, prodotto raffinato e di semplice manutenzione, destinato ad avere successo. Molte di loro poi, come “mercantesse pubbliche”, controllavano tutto il ciclo di lavorazione dell’oro filato (secc.XIV-XV) o partecipavano in prima persona a società commerciali per l’esportazione dei tessuti in tutta Europa.

Donne costruttrici, da La città delle Dame (Christine de Pizan, 1404-1405)

Altre operavano nella nascente arte della stampa (fine sec.XV), firmando come editrici le pubblicazioni: la nobildonna greca Anna Notaras aprì una tipografia a Venezia all’inizio del ‘500 per diffondere nella città lagunare la cultura della madrepatria. Altre ancora, a Roma soprattutto (come Vannozza Cattanei, madre di Lucrezia Borgia), erano attivamente impegnate nella gestione di alberghi e locande, vere miniere d’oro negli anni santi, oppure armavano navi (a Marsiglia nel ‘300 e nel ‘400) e assoldavano pescatori per cercare il corallo nel mare della Sardegna, facendolo poi lavorare e foggiare in perle da manodopera femminile alle loro dipendenze.

Anche Lucrezia Borgia era un’abilissima imprenditrice agricola impegnata in lavori di bonifica e in svariate attività, tra cui la produzione di mozzarelle di bufala (di cui tra l’altro era golosa). Non raramente finanziava i suoi affari vendendo i propri gioielli: sacrificando una catena d’oro costruì l’argine di un fiume. Analogamente la madre di Lucrezia con la vendita dei propri monili finanziò la ristrutturazione di un albergo nel centro di Roma, garantendosi in tal modo una cospicua rendita.

Donne che costruiscono le mura di Messina, dal manoscritto della Nuova Cronica di Giovanni Villani (manoscritto Chigiano L VIII 96, Biblioteca Vaticana)

Edilizia e miniere Le donne medievali erano attivissime anche in compiti molto faticosi, nell’edilizia e nelle miniere: a Siena e a Pavia scavavano acquedotti e canali (dei 640 lavoratori reclutati nel 1474 a Pavia, 284 erano donne, tra cui anche alcune bambine); in Francia e Spagna partecipavano come manovalanza alle costruzione delle cattedrali (secc.XIV-XV); a Messina costruivano le mura cittadine (sec.XIII). In Francia le donne occupavano un ruolo notevole nelle miniere di sale. In quelle di Salins (Jura), tra il ‘400 e il ‘600 le operaie svolgevano compiti di primaria importanza come maestranze specializzate, occupando ruoli chiave all’interno del contesto produttivo, con incarichi di fiducia tramandati di madre in figlia.

Nelle loro mani si trovava la maggior parte dell’attività, e godevano (alla pari degli uomini), di indennizzi in caso di infortuni o di malattia, e di una pensione d’invalidità o di vecchiaia accordata dal consiglio direttivo della salina, su richiesta dell’interessata che avesse lavorato a lungo (38-40 anni) e fosse ormai troppo debole e anziana o impossibilitata a lavorare. Così, nel 1476, un’operaia ormai attempata che lavorava da 38 anni chiese e ottenne la pensione settimanale che “era consuetudine assegnare ai lavoratori della salina”.E come lei molte altre di circa 60 anni che lavoravano da circa 40. Non tutte chiedevano però la pensione: alla fine del ‘400 , un’operaia di 80 anni lavorava ancora insieme alla figlia. Sorprendente poi la longevità delle impiegate nelle saline: alcune raggiungevano i 110/112 anni, e non si trattava di casi isolati.

Neppure in questo settore mancava l’imprenditoria femminile: negli anni ’90 del ‘400 la nobildonna romana Cristofora Margani, vedova del mercante pisano Alfonso Gaetani, gestiva in prima persona le importantissime miniere di allume di Tolfa (Civitavecchia), occupandosi sia del lavoro dei minatori, sia dei rapporti col mondo mercantile.

Uno dei pannelli dipinti del soffitto di santa Maria de Mediavilla a Teruel (1285): donne musulmane che lavorano in cantiere

I finanziamenti La prassi abituale per mettersi in affari per le donne di ogni ceto sociale era quella di autofinanziarsi con la propria dote, o con la vendita di abiti e monili preziosi (pratica a cui fece ricorso, come accennato, anche Lucrezia Borgia). Talvolta utilizzavano i propri capitali, anziché in prima persona, per finanziare operazioni di microcredito, soprattutto a favore di aziende femminili. La cosa era tanto diffusa che, fra ‘300 e ‘500 ovunque (da Roma, alla Spagna, alla Germania), esistevano apposite figure professionali, le “imperlatrici”, dotate delle competenze tecniche necessarie a valutare i preziosi che altre donne cedevano in pegno, per ottenere somme da investire in attività manifatturiere.

Donne e corporazioni Contrariamente a quanto si pensa, nel Medioevo non erano le corporazioni a rifiutare l’accesso alle donne, ma succedeva il contrario. Motivi di carattere economico (evitare la concorrenza sleale e i furti), o di tutela della collettività (impedendo il commercio di alimenti scadenti), portavano – solo quando strettamente necessario -, le istituzioni cittadine e le associazioni professionali a esigere che anche le donne fossero sottoposte alla giurisdizione corporativa, in cui esse non avevano alcun interesse ad entrare. Far parte di una corporazione non era cioè un privilegio, ma una costrizione e un sistema per controllarle.

Le donne preferivano invece organizzarsi da sole, cosa che consentiva loro di lavorare in nero, evitando le tasse, e di non avere obblighi di alcun tipo. Talvolta, pur invitate a iscriversi alle corporazioni, rifiutavano. Tutto questo poteva scatenare liti feroci con la corporazione: nel 1306 le autorità cittadine e corporative veneziane si diedero a cercare casa per casa le sarte, per obbligarle a pagare le tasse e a lavorare nel rispetto dei regolamenti. Esse naturalmente non volevano farsi trovare, e tanto meno iscriversi alla corporazione: se scoperte, adducevano pretesti di ogni tipo, soprattutto quello di confezionare esclusivamente capi per la famiglia.

I documenti mostrano insomma – in tutta l’Europa medievale – una realtà ben diversa da quella a cui siamo abituati, sottraendo alla polvere del tempo uno straordinario brulicare di attività femminili del tutto impensate.

Maria Paola Zanoboni

Consigli di lettura:
Maria Paola Zanoboni, Donne al lavoro nell’Italia e nell’Europa medievali (secc.XIII-XV), Milano, Jouvence, 2016, e la bibliografia ivi citata, tra cui:
La donna nell’economia (secc.XIII-XVIII), Atti della XXI Settimana di Studio dell’Istituto Internazionale di Storia Economica F.Datini (aprile 1989), Firenze, Le Monnier, 1990.
G. Piccinni, Le donne nella vita economica, sociale e politica dell’Italia medievale, in Il lavoro delle donne, a c. di Angela Groppi, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp.5-46.
P. Delsalle, Le travail des femmes sur les chantiers et dans les métiers du bàtiment aux XVe, XVIe et XVIIe siècles, in L’edilizia prima della rivoluzione industriale: secc. XIII-XVIII, atti della trentaseiesima Settimana di studi, 26-30 aprile 2004, a cura di Simonetta Cavaciocchi, Firenze, Le Monnier, 2005, pp.861-887.
Donne, lavoro, economia a Venezia e in Terraferma tra medioevo ed età moderna, a cura di Anna Bellavitis e Linda Guzzetti, fascicolo monografico di «Archivio Veneto» serie VI, fasc.3, 2012.
A. Esposito, Perle e coralli: credito e investimenti delle donne a Roma (XV- inizio XVI secolo), in Dare credito alle donne. Presenze femminili nell’economia tra medioevo ed età moderna, a cura di G. Petti Balbi e P. Guglielmotti, Atti del convegno internazionale di studi Asti, 8-9 ottobre 2010, Centro Studi Renato Bordone sui Lombardi, sul credito e sulla banca, Asti, 2012, pp.227-237.
I. Ait, Donne in affari: il caso di Roma (secoli XIV-XV), in Donne del Rinascimento a Roma e dintorni, a cura di Anna Esposito, Roma, Fondazione Marco Besso, 2013, pp.53-84.
I. Ait, Interessi, solidarietà e crescita economica: il finanziamento delle attività produttive a Roma nel XV secolo, in Reti di credito. Circuiti informali, impropri, nascosti (secoli XIII-XIX), a c. di M.Carboni e M. G. Muzzarelli, Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 91-108.
M. P. Zanoboni, Il lavoro delle donne nel medioevo, in “Storia Economica”, XX (2017), fasc. 2, pp.425-435.

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