I Templari e la Calabria, una storia da riscoprire

da

I Templari in Calabria, tracce e storie che si perdono nei secoli e che Giovanni Vittorio Pascale ha pazientemente scovato e ricostruito, senza indulgere in fantasie e misteri. Un lavoro lungo e preciso che ha portato alla riscoperta dei luoghi templari a Mileto, Seminara, Catona, Motta San Giovanni, Belcastro, Andali, Rocca Angitola, Cirò, Squillace. Oppure al legame tra la Calabria e il castello templare di Athlit, in Israele vicino Haifa, dove sono stati trovati reperti ceramici provenienti dalle magioni calabresi. Ne abbiamo parlato con l’autore al Festival del Medioevo 2018.

A quale epoca risale la prima testimonianza di presenza templare in Calabria?

«Fino all’uscita del mio testo, il più antico documento riguardante la presenza di possedimenti templari in Calabria era un atto di donazione, datato maggio 1210, con il quale Roberto de Say, conte di Loritello, concede a Guglielmo de Oreliana (Guillaume d’Orleans), Maestro delle “domus” templari di Sicilia, la coltivazione e lo sfruttamento della tenuta di Santa Barbara, vicina all’omonima chiesa, situata nel tenimento di Mileto (ne parlo nel capitolo dedicato a Mileto e Seminara). Ho però avuto la fortuna di incontrare, nel corso delle mie ricerche, un atto conservato presso la Biblioteca Comunale di Palermo che anticipa di sedici anni tale presenza. Si tratta della copia di un documento greco del 2 marzo 1194, accompagnato da una traduzione latina eseguita nel 1763 da Giuseppe Vinci, protopapa dei greci a Messina. Sostanzialmente si tratta di una permuta tra religiosi. Il presbitero Balcaes Nicipho e i suoi fratelli concedono «… nostrum agrum, quem habemus in Petrizi…» alla badessa Mabela di Sant’Euplio in Calabria, in cambio di un podere detto “del sacerdote Filippo”. Il particolare rilevante, e qui rispondo alla domanda, è che il terreno ceduto alla badessa confinava con dei vigneti “Tempureorum “ (τεμπουρεων): cioè dei Templari e si trovava nel territorio del Comune di Petrizzi il “fiore di pietra”, collocato nell’entroterra del Golfo di Squillace, sul versante ionico delle Serre catanzaresi. Delle vigne templari e dei terreni oggetto della permuta ho potuto estrapolare purtroppo solo una planimetria indicativa, presente nel testo. A onor del vero esiste una missiva di papa Alessandro III inviata tra il 1161 e il 1179 agli arcivescovi, vescovi e prelati di Capitanata, Apulia e Calabria concernente le modalità di sepoltura di frati e prelati presso le chiese templari, riguardante quindi anche i Templari di Calabria, riportata (la prima riguardante l’argomento) nel Regesto Vaticano per la Calabria di padre Francesco Russo, ma si tratta di un flebile indizio».

Cosa rimane oggi dei templari in Calabria: torri, magioni, castelli?

«In Calabria, in questo momento, non esiste una sola pietra, sulla quale si possa dimostrare documentalmente che essa abbia avuto attinenza con l’Ordine del Tempio, per cui, dal punto di vista archeologico e quindi strettamente “visivo” non abbiamo reperti, vestigia o ruderi che possano essere ricondotti con certezza ai templari. Nel mio libro tratto anche di alcune località (chiese) in cui si continuano a svolgere delle cerimonie, ritenendole per tradizione templari, ma che con la “Militia” non hanno alcun collegamento documentato. Rimangono invece molti indizi e documenti (processo, lasciti, atti notarili ecc.) che riguardano la presenza dei templari in Calabria. Elementi che ho cercato di raggranellare e mettere insieme in questo mio lavoro, per far avere al lettore una visione d’insieme, anche in Calabria, della presenza templare in circa duecento anni di vita dell’Ordine».

Qualcosa della Calabria è stato trovato in Terrasanta ?

«Sì, dedico proprio un capitoletto a questo argomento nel quale si parla della Protoceramica calabrese a Chateau Pelerin. Il castello templare, detto anche di Athlit, fu costruito tra il 1217 e il 1220, anno in cui ebbe il suo battesimo del fuoco con un attacco del Sultano di Damasco respinto dalla fortezza, che rimase sempre inespugnata fino al ritiro dalla Terrasanta. Era anche un carcere di “Massima sicurezza” perché confluivano prigionieri da tutte le province dell’Ordine. Nel 1229 Federico II si insediò nella fortezza ma i templari fecero di tutto per mandarlo via. Veniamo al punto. Una missione archeologica inglese, negli anni Trenta dello scorso secolo, condusse degli scavi aprendo un sito proprio nella zona di Athlit. Gli archeologi ipotizzarono che alcuni dei resti ceramici ritrovati potevano provenire da fornaci dell’Italia meridionale. Un ulteriore autorevole studio ha attestato che il 2% di questi reperti ceramici poteva provenire dalla Calabria. La datazione della ceramica ricade nell’intervallo storico riguardante il periodo di “vita” del Castello che va dal 1217 al 1291, anno in cui il castello fu abbandonato per motivi contingenti. La caduta di Acri nel mese di maggio aveva infatti messo fortemente in discussione la presenza crociata in Terrasanta, per cui anche la gloriosa e “invicta” roccaforte fu definitivamente abbandonata. Il tipo di ceramica calabrese ritrovata (protomaiolica a smalto povero) e il periodo di riferimento risultano compatibili con la produzione presente nello stesso periodo a Gerace e Tropea. Risulta difficile per ora azzardare ipotesi su come e perché la protomaiolica calabrese sia giunta in Terrasanta e specificatamente ad Athlit, ma lo scarso quantitativo deporrebbe per una presenza “occasionale” e non commerciale dei manufatti da essa ricavati. Verosimilmente costituiva parte dell’equipaggiamento personale di cavalieri, pellegrini o mercanti che dalla Calabria (dal Meridione) si recavano “Outremer” e facevano poi tappa a Chateau Pelerin».

Quali sono stati i rapporti dei templari con i Normanni e poi gli Svevi?

«Tutto dipendeva dai rapporti del papato con normanni e poi svevi. I templari erano l’altro braccio armato del Papa al quale erano immediatamente soggetti e a nessun’altra gerarchia esterna. Furono invece proprio i normanni ad attuare il disegno di latinizzazione del meridione d’Italia e della Calabria, combattendo contro bizantini e arabi. È bene inoltre considerare che i Normanni in generale (e quelli che attecchirono nel Sud Italia particolarmente) erano uomini molto inquieti e dinamici, dediti a viaggi continui per i più svariati motivi, lungo l’asse nord-sud dell’Europa, per cui non è da escludere (e qui scatenerò qualche ira) che l’Ugo“meridionale” sia poi lo stesso attestato nei diplomi d’oltralpe. Ma siamo agli albori del Tempio. I rapporti con gli svevi dipenderanno poi dagli altalenanti rapporti del Papa con Federico II (prima con Innocenzo III ed Onorio III e poi Gregorio IX che lo scomunicò due volte, nel 1227 e nel 1239). Lo stesso Federico II, nel 1239, giustificava la mancata restituzione dei beni confiscati ai Templari, e il freno imposto loro per acquisti di nuovi possedimenti con il timore che essi in breve tempo avrebbero comprato e acquisito tutto il Regno di Sicilia, che ritenevano essere fra le regioni del mondo quella per loro più adatta. Un episodio molto grave minò i rapporti già tesi tra l’Imperatore e il Tempio. Il trattato di Jaffa (18 febbraio 1229) stipulato tra Federico e Al-Kamil, con la cessione di Gerusalemme ai cristiani, non aveva messo in buona luce il Sultano d’Egitto nel mondo arabo; neanche il Papato esultava per lo strabiliante risultato ottenuto dallo svevo. Il trattato aveva però intensificato i già ottimi rapporti tra i due sovrani: li legava un sentimento di rispetto e stima reciproci oltre che l’amore comune per la Conoscenza. Federico II aveva in animo (dopo l’armistizio) di recarsi, senza scorta armata in pellegrinaggio al fiume Giordano. Geroldo, il Patriarca di Gerusalemme,e papa Gregorio IX non potevano perdere la succosa occasione e invitarono con una missiva segreta AL-Kamil a tendergli un agguato supportato dai templari. Con gli angioini i rapporti furono buoni perché lo stato maggiore templare, nel meridione d’Italia e quindi in Calabria, fu quasi sempre di origine francese in tale periodo».

Quando ci furono, alla fine, le accuse di eresia e gli arresti, ci sono stati processi ai templari in Calabria?

«Altra fonte importante in questa mia ricerca è stata effettivamente quella giudiziaria. Abbiamo infatti notizia di nove templari arrestati e consegnati al castellano di Barletta nel 1308. Tra questi tre erano sicuramente calabresi e precisamente Andrea da Cosenza, Bartolomeo da Cosenza e Oliverio da Bivona insieme a Giovanni da Neritone che era il precettore della “domus”di Castrovillari. Il processo venne poi celebrato a Brindisi e come sede del Tribunale ecclesiastico venne scelto un ameno luogo della campagna brindisina, in cui sorgeva una piccola cappella dedicata alla Vergine, vicino alla costruenda chiesa di Santa Maria del Casale. Gli atti riguardanti la Calabria, custoditi nell’Archivio Segreto Vaticano, sono riportati nel mio testo in appendice documentale insieme alla loro trascrizione e traduzione integrale. In essi troviamo notizia dell’allestimento a Brindisi, tra maggio e giugno del 1310, di una importante macchina processuale che portò poi sostanzialmente all’interrogatorio di solo due Templari e in veste esclusivamente di testimoni: Ugo de Samaja e Giovanni da Neritone. Quest’ultimo, precettore della “domus” templare di Castrovillari, fu arrestato e condotto a Cosenza dove venne rinchiuso nel castello della città bruzia. Da lì fu trasferito a Barletta e poi a Brindisi dove si è celebrato,a quel che si sa a oggi, uno dei due processi ai Templari del Regno di Sicilia. L’altro fu quello che si svolse a Lucera. Tra le preziose notizie che si possono cogliere dalle carte processuali, viene fuori anche un personaggio, la personalità di Giovanni da Neritone, con dei risvolti a volte anche umoristici. Sappiamo anche che le magioni templari in Europa dovevano assicurare la produzione continua di ogni tipo di mercanzia per sovvenzionare il “fronte” di Terrasanta ed a questa regola non si sottraeva la “domus” di Castrovillari. Infatti Giovanni nel rispondere alla domanda sul perché non avesse provveduto a correggere gli errori dei quali i confratelli si erano macchiati, ad un certo punto dell’interrogatorio si descrive alla commissione giudicatrice come una persona semplice, di campagna e poco influente nell’Ordine Templare, come lo erano d’altra parte molti dei precettori al di qua del mare».

Quando si parla di templari si corre sempre il rischio di sconfinare nella leggenda, perché?

«La risposta è molto semplice. L’argomento “templari” è diventato nei secoli, fino ai giorni nostri, così vasto e complesso che prima di iniziare una dibattito, una discussione o uno scambio di vedute, anche tra due persone solamente, non necessariamente in un convegno, bisogna premettere necessariamente da quale angolatura vogliamo vedere il fenomeno, altrimenti si apre un oceano nel quale si rischia di naufragare. Parliamo di storia? Parliamo di esoterismo e Via Tradizionale? Parliamo di templarismo massonico e non? E questo riguarda anche la lettura o l’acquisto di un libro. Cosa mi può dire quell’autore sui templari e da che punto di vista me ne sta parlando? Cosa mi voglio sentir dire? Ma anche dall’altra parte per chi scrive un libro le domande dovrebbero essere uguali. Cosa voglio dire, a chi mi voglio rivolgere? Comunque è una foresta, si spazia dal rigore documentale alla pura farneticazione. Il mio lavoro in particolare è concepito come una ricerca storica sulla presenza dei Templari in Calabria avente come corollario dello stesso tenore una breve digressione sulle vicende generali della “militia”. Tratto orientativamente il periodo che va dal 1120 anno di fondazione dell’Ordine, al 18 marzo 1314 giorno in cui venne messo al rogo de Molay».

Umberto Maiorca

error: Tutti i contenuti di questo sito web sono protetti.