I doveri verso i poveri all’alba del Medioevo

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“La Provvidenza ha istituito gradi e ordini distinti affinché gli inferiori (i minores) testimonino deferenza nei confronti dei superiori (potiores) e se i superiori si preoccupano degli inferiori si crea la vera concordia e la sintonia, a partire dalla diversità”.

Lazzaro alla tavola del ricco (folio 78r del Codex Aureus Epternacensis, sec. X)

Questo passo, presente in una lettera di papa Gregorio Magno del 595, evidenzia quelle che sono le diverse condizioni di vita e le funzioni degli uomini nel VI secolo.

I minores da tutelare sono i più bisognosi, i poveri. Ma chi sono i poveri in questione? Quali tutele hanno nel periodo della tarda Antichità?
I poveri sono una categoria sociale che include al suo interno i bambini, le donne e tutti gli uomini che vivono nel bisogno e nella privazione.

La povertà, nel mondo antico, così come in tutte le epoche storiche, è un fenomeno difficile da definire, e il suo status non può essere determinato unicamente dal reddito, ma si associa anche ad altre situazioni di disagio, come l’oppressione dei potenti.

Nelle fonti questo gruppo sociale è indicato come miserabiles personae e comprende gli orfani, i malati, le vedove e i poveri; ma abbiamo anche altri termini che denotano la loro condizione come miser, miserabilis, pauper, e indigens. Oltre al dato economico, quindi, anche altri fattori concorrono a definire questo stato di debolezza, come le disuguaglianze sociali e gli elementi culturali e religiosi.

Targa sulla elemosiniera della chiesa di Santa Maria in Porta Paradisi a Roma

Lo stato di emarginazione, causato dalla condizione di straniero, povero e ammalato, da una parte è legato all’incapacità del soggetto di adeguarsi ai modelli preposti dal gruppo dominante, dall’altra è il risultato dell’oppressione di questo gruppo.

I temi della povertà e della ricchezza assumono diversi aspetti già nell’Antico e nel Nuovo Testamento, dove viene evidenziato come il tema della povertà, da situazione negativa, connessa anche alla malattia (chi è malato non può godere di buona salute e quindi lavorare) si evolva e diventi la caratteristica degli eletti di Dio, il mezzo attraverso cui è possibile avvicinarsi a lui.

La ricchezza, invece, è considerata come lo strumento che permette agli uomini di godere dei benefici che Dio ha in serbo per loro e di assicurarsi la salvezza nell’aldilà tramite l’esercizio della carità.

È stato questo insegnamento cristiano, di amore verso il prossimo, che ha poi portato in epoca tardoantica ad un più profondo modo di vivere la caritas, la pietas e la misericordia, spingendo tutti ad agire secondo carità e in maniera più concreta.
Il problema delle miserabiles personae diventa interesse, successivamente, dei Padri della Chiesa, che sviluppano i princìpi generali della “dottrina” sulla povertà e sui poveri in tre punti: l’uguaglianza tra il ricco e il povero, il dovere dell’elemosina per i cristiani e il diritto dei poveri all’uso dei beni della Chiesa.
Il punto centrale del loro pensiero non è la condanna a priori della ricchezza, ma il suo cattivo uso.

Distribuzione delle elemosine (sec. XV), Sala del Pellegrinaio, Ospedale di Santa Maria della Scala, Siena

È nel IV secolo che si sviluppano le prime forme di assistenza, conseguentemente all’azione degli Imperatori Costantino e Teodosio; il primo, con l’editto di Milano nel 313, riconosce la libertà di professare la religione cristiana, e il secondo con l’editto di Tessalonica nel 380, rende il cristianesimo religione ufficiale dell’Impero. Grazie a questi atti la fede cristiana acquista maggior vigore, creando le basi per una rete di comunità cristiane più vivaci. I vescovi acquisiscono un ruolo crescente garantendo le funzioni tipiche della tradizione romana.

Questa continuità è evidente in alcuni istituti di assistenza ai poveri, come le diaconiae (luoghi in cui si provvede alla registrazione e distribuzione di aiuto ai poveri); le matriculae (una lista di poveri che hanno diritto ad essere assistiti); gli xenodochia (originariamente ospizi per stranieri, e successivamente luoghi per le persone in difficoltà).

L’attività delle diaconiae, matriculae e xenodochia non è sempre distinta e nelle fonti è possibile trovare, per indicare la stessa struttura, termini diversi. A Roma, ad esempio, è attestato lo Xenodochium Aniciorum, della famiglia degli Anici, il quale testimonia l’interesse delle famiglie senatorie per le opere di assistenza ai poveri.

Cristo soccorre il povero (Luca della Robbia, museo del Louvre, Parigi)

Grazie all’attività congiunta dell’imperatore Costantino e della Chiesa si avvia un nuovo indirizzo politico, volto a tutelare i più bisognosi. Già una legge del 315 stabilisce che, se il genitore presenta alla pubblica autorità neonati ed infanti, dichiarando di non essere in grado di allevarli, questi devono allora ricevere il necessario, vestiti e alimenti a spese del fisco. (De alimentis quae inopes parentes de publico potere debent). Interventi simili vengono ribaditi in un’altra legge del 329, dove viene poi specificato che tutti coloro che posseggono sufficienti ricchezze devono metterle a disposizione delle necessità dei poveri (Cod. Thed. 16.2.6).

L’attività imperiale fornisce quindi un sostengo a quella ecclesiastica, grazie a dei precisi strumenti pratici e giuridici, affinché quest’ultima possa svolgere al meglio la sua missione caritativa. Vengono accordati protezione, benefici e immunità di vario genere.

A sostegno della causa dei miseri, viene emanata nel 333 una norma, tramandata poi dalle Costitutiones Sirmondianae, dove si predispone per loro uno specifico sostegno: porre fine alle ingiustizie all’interno dei processi e avere rapide sentenze. In questa disposizione viene disciplinata la validità del giudizio del vescovo in forma definitiva e di legge all’interno dell’ordinamento giudiziario imperiale.

Tuttavia, l’Imperatore non vuole delegare interamente la tutela dei pauperes all’azione episcopale. Ed è per questo che l’anno successivo, nel 334, legifera un’altra norma (Cod. Thed.1.22.2), il cui punto centrale è la giustizia da rendere alle vedove, agli orfani, agli ammalati e agli invalidi. Ai miserabiles viene concesso di sottoporre senza alcuna limitazione i propri problemi all’autorità imperiale, così come la possibilità di celebrare il processo nel proprio paese d’origine, dove è più agevole reperire testimonianze e strumenti di difesa.

In precedenza la prassi è sempre stata quella di chiedere l’aiuto dei potenti, cedendo in cambio della protezione i propri diritti.
Con questa norma il favor processuale concesso ai deboli si concretizza mediante l’intervento sia dell’imperatore che della Chiesa.

L’indirizzo politico avviato da Costantino è confermato anche dai suoi successori e dai concili ecclesiastici che si susseguono nel V secolo.

Nel 400 è il concilio di Toledo che stabilisce la pena della scomunica per i potentes che incuranti degli ammonimenti, usano violenza verso gli inermi; mentre, nel 401 è il concilio di Cartagine che, considerando la grande richiesta di persone che si rivolgono al clero, chiede agli Imperatori l’istituzione di un defensor, una figura che ha lo scopo di proteggere i poveri dalla tracotanza dei ricchi.

La legge di Costantino del 334 rimane il punto di partenza per le norme successive, come testimoniato dalla Lex Romana Wisigothorum, una raccolta di leggi fatta compilare da Alarico II nel 506, dove viene ribadito che i miserabiles possono vedere celebrati i processi nella loro provincia d’origine, con l’intento di godere di una più facile raccolta di prove e testimonianze, e dove viene concesso anche a queste persone la facoltà di convocare i propri adversarii politici alla presenza del princeps.

San Gregorio Magno, Antonello da Messina (1470-75), Palazzo Abatellis, Palermo

Il VI secolo vede anche come protagonista principale papa Gregorio Magno. Il pontefice esprime più volte le sue preoccupazioni per coloro che si sono impoveriti, perché, oltre alla povertà, sono costretti a subire la vergogna del mendicare. Dal suo epistolario ricaviamo importanti notizie riguardo all’istituto del diritto d’asilo, la possibilità che viene data all’imputato di rifugiarsi in un luogo sacro nell’attesa, e nella speranza, di un processo e di un equo giudizio.

Gregorio Magno definisce la natura di questi luoghi come ecclesiastica refugia. Questo diritto viene usato quando ci si trova innanzi ad un’azione giudiziaria ritardata o iniqua che riguarda sia le vertenze pecuniarie che quelle criminali, ed è esteso a schiavi, liberi, autorità ecclesiastiche o civili.

Il problema della povertà affligge anche il mondo contemporaneo. Sempre più larghe sono le distanze tra chi ha troppo e chi ha troppo poco. In questo momento storico è imperante la necessità di un nuovo umanesimo e una nuova convivenza civile, fondata sullo spirito di reciprocità personale e sociale, solidale e responsabile, dove l’interesse per il povero costituisca un passaggio importante.

Come ricorda papa Francesco “l’incontro con il povero permette all’uomo di immergersi nel movimento della storia e di riscoprire la memoria della propria identità”.

Daniele Lamberti

Da leggere:
Albini G., Poveri e povertà nel Medioevo, Roma 2016.
Bergoglio J. M., La necessità di un’antropologia politica. Un problema pastorale in Non lasciatevi rubare la speranza, a cura di J. M. Bergoglio, Città del Vaticano 2013, pp. 302 – 305.
Corbo C., Imperatori e poveri nel diritto tardoantico, alcune linee di lettura, in Il privilegio dei “proprietari di nulla”: Identificazione e risposte alla povertà nella società medievale e moderna. Convegno di studi, Napoli 22 – 23 ottobre 2009, a cura di A. Cernigliaro, Napoli 2010, pp. 41 – 58.
Giordano L., Gregorio Magno e il diritto d’asilo: il Codex Iustianiani nel Registrum Epistolarum, in «Vetera Christianorum», 37, I, (2000), pp. 391 – 406.
Mara M. G., Ricchezza e povertà nel cristianesimo primitivo, Roma 1980.
Natalini C., Per la storia del foro privilegiato dei deboli nell’esperienza giuridica altomedievale, Bologna 2012.

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