Gubbio, i luoghi del potere

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Vista dall’alto della città di Gubbio

Abbandonata la Città romana, che si estendeva a ventaglio in un’area pianeggiante nei pressi e a valle del torrente Camignano, l’abitato di Gubbio, progressivamente, si contrae verso le pendici del “Monte”.

Questo processo si intensifica in epoca altomedioevale e poi soprattutto nel XII secolo, periodo che rappresenta una svolta decisiva nella storia civile e religiosa della Città.
A partire dalla seconda metà del XII secolo, infatti, Gubbio viene ricostruita in posizione di altura, sopra un’alta scarpata, dove, per l’appunto, si edificano i luoghi strategici dell’esercizio del potere e della vita spirituale, la cattedrale e il palatium communis, l’antico palazzo comunale o Palazzo della Guardia.
Proprio in cima al Monte, inoltre, alla fine del XII, o più probabilmente all’inizio del XIII secolo, viene trasportata, traslata, la reliquia più venerata della comunità, il corpo incorrotto del patrono, Sant’Ubaldo.  È un’operazione apparentemente inspiegabile, audace e provocatoria, ma sottolinea con forza la volontà di riattualizzare il valore sacrale e cultuale del colle che da ora in poi diverrà il riferimento ideale di ogni componente della Città e pertanto eletto ad emblema araldico del Comune.

Nel XIII secolo l’ampliamento della cinta muraria e l’erezione delle maggiori chiese cittadine determinarono localizzazione e morfologia dell’attuale nucleo urbano: tali nuove costruzioni delineano, infatti, un impianto urbanistico cruciforme, e fissarono la suddivisione della Città in quartieri.
L’antico centro amministrativo, allora, posto a monte della Città, non è più in grado di rispondere ai requisiti di centralità e alle nuove e pressanti esigenze amministrative del Comune, in forte crescita economica e demografica.

È per questo motivo che nel 1321 gli eugubini decidono di costruire due nuovi palazzi in sostituzione dell’antica residenza comunale.
Per il nuovo complesso monumentale venne scelto un luogo centrale, in modo che le fabbriche fossero risultate tangenti a tutti i quartieri.

Il complesso monumentale dei palazzi pubblici eugubini è formato da una triade di costruzioni in rapporto strettissimo tra di loro: il Palazzo del Popolo (poi detto dei Consoli), la Platea Comunis (Piazza Grande) e il Palazzo del Podestà (o del Comune).
Il progetto unitario per la costruzione del Palazzo del Popolo, del Palazzo del Podestà e di Piazza Grande tendeva pertanto a configurare il nuovo centro cittadino come nucleo direzionale amministrativo.
Proprio le delibere comunali del tempo impongono infatti che il Palazzo dei Consoli doveva essere eretto tangente ai quartieri di San Giuliano e San Martino, mentre il Palazzo del Podestà ai restanti quartieri di Sant’Andrea e di San Pietro.

gubbio-foto-dallalto-piazza-quaranta-martiriQuattro strade, una per quartiere Anzi, secondo recentissimi studi, il complesso monumentale doveva essere raggiunto da ben quattro strade, una per ogni quartiere. Secondo questa ipotesi, la rampa porticata del Palazzo dei Consoli (prospetto sud), interrotta, che scende inclinata verso la sottostante e attuale via Baldassini (nel Trecento detta via di fosso), doveva proprio consentire l’accesso alla Piazza dalla parte bassa dell’abitato.

Questa soluzione architettonica, per di più, doveva essere replicata, sempre secondo questa ipotesi, presso il Palazzo del Podestà: un’analoga rampa di accesso, simmetrica a quella del Palazzo del Popolo, avrebbe dovuto collegare, senza soluzione di continuità, l’attuale via Savelli alla Platea Comunis.
Questi concreti atti amministrativi pongono in essere, di fatto, la scelta di costruire, nel centro geometrico della Città, la nuova sede del governo cittadino rispondendo all’esigenza di dare consistenza al nuovo baricentro urbano, il fulcro della Città-Stato.

Si spiega allora la concezione architettonica del complesso, che doveva ispirarsi a criteri di estrema monumentalità affidati all’esaltazione delle altezze e dei volumi. Si intese pertanto realizzare un imponente e audace centro urbano quale simbolo della civitas.
Insomma, la costruzione degli edifici di governo è, a Gubbio, l’impresa edificatoria più importante del XIV secolo e costituisce l’ultimo grande sforzo di trasformazione della Città.

L’antico Palazzo del Popolo era il luogo emblematico del governo cittadino medioevale. Presso la Sala dell’Arengo, l’imponente aula maggiore, erano convocati i consigli popolari, il Consilium Generale Populi, che deteneva il potere legislativo in applicazione alle norme dello Statuto del 1338. Dal 1909 ospita il Museo Civico.

Tra 1321 e 1332, anno in cui prendono avvio i veri e propri lavori di costruzione, si datano una serie di operazioni preliminari propedeutiche all’edificazione vera e propria: la sistemazione delle strade a monte della valle del fosso (l’attuale via Baldassini) e lo scavo delle fondamenta. L’immane sforzo costruttivo, iniziato sotto la direzione dell’architetto Angelo da Orvieto, si protrasse, a ritmo serratissimo, fino alla metà del XIV secolo. Angelo da Orvieto è attivo in Umbria nella prima metà del Trecento ed è citato per la prima volta in un documento che ne testimonia la presenza a Perugia nel 1317 come consulente per i lavori di restauro all’acquedotto del 1277. Lavora anche in altri luoghi dell’Umbria settentrionale, come a Città di Castello, dove realizza il Palazzo del Comune o dei Priori.

Grazie ai documenti archivistici sappiamo che la prima lunga fase di costruzione del Palazzo dei Consoli si sviluppò tra 1332 e 1342 quando l’edificio si alzò di oltre venti metri dal livello di via Baldassini.

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La facciata di Palazzo dei Consoli

La firma di Angelo da Orvieto Di certo tra 1336 e 1337 i lavori arrivarono al portale maggiore: su di esso, infatti, sono scolpite due lunghe epigrafe di grande importanza storica, recanti le date di inizio lavori (1332), di quando “fu posta questa pietra” dell’architrave (1336) e il nome dell’architetto Angelo da Orvieto.

Sta di fatto che nel 1338 si riunisce nel Palazzo, per la prima volta, il Consiglio generale. A questa data l’edificio è dunque parzialmente agibile e, a definizione dell’aula maggiore, venne realizzato un importante dipinto murale: la Vergine col Bambino in trono tra San Giovanni Battista, antico protettore che gli eugubini onoravano secondo una remota consuetudine, e Sant’Ubaldo, massima ragione di gloria della città.

È fin troppo evidente la finalità civica di questo dipinto a partire dalla posizione prescelta per la sua realizzazione, un punto sopraelevato ben visibile nella sala delle adunanze dei consigli popolari, luogo emblematico del governo cittadino. Secondo altri documenti, inoltre, nel 1341 gonfaloniere e consoli si riuniscono nella sala superiore, allora coperta da strutture provvisorie.
Le vicende politiche che travagliano Gubbio dal 1350 al 1384 impediscono di terminare l’impegnativo progetto che solo alla fine del secolo successivo trova coronamento anche con il completamento di Piazza Grande.

I lavori significativi tra XIV e la fine del XV secolo furono: 1389, conclusione della torre campanaria e mostra dell’orologio; 1480, il Comune delibera di completare la piazza pensile; 1491, il Comune delibera di costruire una scala per collegare la Piazza alla via sottostante, tramite il loggiato o galleria inclinata, al fine di portare a termine le sostruzioni della stessa Piazza (progetto molto ambizioso e rimasto incompiuto); 1494, si appalta il parapetto merlato.

Nel 1534 i magistrati eugubini, temendo che possa cadere il vecchio tetto del Palazzo, convocano tre dei quattro soprastanti alla fabbrica del nuovo tetto ed alcuni “magistri nomine lombardi, et lignaminis eugubinis” tra cui Mariotto di Paolo Sensi detto il “Terzuolo” (celebre maestro di legname e soprastante ai lavori pubblici di Gubbio), Giacomo Maffei e Cacciarabbia (maestri di legname, titolari di importanti ed attive botteghe di falegnameria).

Interrogato circa l’opportunità “de apontulando dictum tectum usque ad tempus novum”, maestro Terzuolo, evidentemente il più esperto e autorevole dei tecnici convocati, si pronuncia positivamente: a suo avviso devono essere puntellati i monaci e i cavalli del tetto.

Nel 1536 vennero dunque realizzate le volte dell’ultimo piano e nel 1549 la copertura della volta centrale in piombo.
Come è stato notato, la qualità dell’architettura del Palazzo è anche frutto di un assoluto rigore geometrico “semplice nelle relazioni elementari, quanto complessa nel risultato finale”.
La facciate non rispondono, infatti, ad una banale applicazione dei principi di simmetria, quanto piuttosto ad un proporzionamento degli elementi costruttivi “sorretto da più raffinate elaborazioni”.

L’edificio è costruito in conci lapidei, di forma agile e slanciata. Una scalea a ventaglio sale al gotico portale, fiancheggiato da due bifore a pieno centro.
Al di sopra del portale, si trova un’alta parete liscia, tripartita da robusti risalti rettangolari (contrafforti aggettanti come lesene), poi un ordine di sei finestre a pieno centro, accoppiate a due a due e ordinate da una cornice a dentelli che gira sugli archi e li congiunge.

Il motivo a dentelli è per altro assai comune in epoca gotica e contraddistingue molte chiese urbane eugubine duecentesche come la cattedrale, Santa Maria Nuova o San Francesco.
Alla sommità un coronamento di archetti ogivali e un ordine di merli rettangolari, appaltati alla fine del Quattrocento, chiude la parte superiore del complesso.
Sulla sinistra svetta la torretta campanaria. Gli altri lati del palazzo ripetono, nella sostanza, le forme e i caratteri decorativi della facciata principale, ad eccezione del fianco sinistro (lato sud ovest) da dove prende abbrivio, al piano della piazza, un portico ad archi ogivali che scende fortemente inclinato.
Avrebbe dovuto condurre, secondo il progetto originario, mai completato, alla strada sottostante, detta del Fosso, l’attuale via Baldassini. Al secondo piano, infine, vi è una loggia coperta da cui si gode il panorama della Città urbana ed extraurbana.

Secondo alcuni studiosi la parte dell’edificio relativa alle due logge (quelle inferiori inclinate e quelle al livello del piano nobile) doveva “dichiarare un certo distacco” di tale corpo di fabbrica dal Palazzo vero e proprio.
L’altezza di questa parte è infatti inferiore rispetto a quella del Palazzo stesso, ma anche alcuni dettagli architettonici sembrano volersi distaccare dalla costruzione principale, come denunciano i livelli delle cornici marcapiano: nella parte delle logge, infatti, le cornici inferiori sono più alte rispetto a quelle del corpo principale e le superiori più basse.

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Palazzo dei Consoli e gli arconi che sostengono Piazza Grande visti dal basso (via Baldassini)

Palazzo dei Consoli, un grattacielo di 60 metri L’edificio misura circa 60 m, da via Baldassini alla sommità della torre campanaria. La grande campana, detta “Campanone”, pesa 20 quintali ed è un rifacimento del 1769, come apprendiamo da un’incisione che si legge scolpita nella stessa.

La costruzione del palazzo, tranne le travature del tetto, fu interamente condotta a pietra anche per il motivo di evitare il pericolo di incendi; essa fu ricavata dalle cave dei monti vicini.
Il taglio magistrale delle pietre rese possibile una loro connessione così precisa da non ravvisarvi lo strato di cemento.

Secondo una consuetudine tipica degli edifici sacri la lunetta del grande portale presenta un affresco raffigurante la Madonna col Bambino e Santi: si tratta di San Giovanni Battista e Sant’Ubaldo, patroni di Gubbio ed è opera di Bernardino di Nanni dell’Eugenia che lo realizzò nel 1495, anche se la parete venne completamente ridipinta da Benedetto Nucci nel Cinquecento. Sull’architrave sono scolpiti tre stemmi un tempo policromi: quello di Gubbio (contraddistino dal monte a cinque gobbe con lambello e gigli), dello Stato della Chiesa (le chiavi petrine decussate) e del re Roberto d’Angiò (il cui simbolo è il giglio).

Ai lati vi è la seguente iscrizione in lingua volgare: “A.D. 1332 fu chome(n)çata (qu)esta opera / e quando fu posta questa pietra … 1336 del m(ese) dottobre”.
Sulla lunetta dell’ arco leggiamo invece in carattere gotico, i seguenti versi leonini: ANNO MILLENO TERCENTUM TER QUOQUE DENO / AC BINO CEPTUM FUIT HOC OPUS INDEQUE TECTUM / EST UBI COMPLETUS HIC ARCUS LIMINE LETUS / POST CEPTUM CUIUS ANNUS QUIBUS FUIT HUIUS / POST ORTUM CHRISTI NUMERO CREDATUR ET ISTI / STRUXIT ET IMMENSIS HOC ANGELUS URBS-VETERENSIS.
Dal 1800 ai primi del 1900 un orologio pubblico si trovava incastonato sulla facciata sud-ovest; il meccanismo dello strumento era collegato alle campane. Si parla, tuttavia, dell’esistenza di un orologio fin dal 1390. Non sappiamo ancora su quale facciata fossero collocati nelle varie epoche gli orologi che si sono susseguiti.

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Piazza Grande, la Platea comunis, vista dall’alto

La Platea Comunis, straordinaria piazza pensile Non è chiaro se il Palazzo dei Consoli fosse stato originariamente progettato come corpo svettante ed isolato, un grattacielo di 60 m, oppure si prevedesse sin dall’inizio di affiancarlo con l’avanzamento della piazza pensile.

Questo grande slargo, la Platea Comunis, si apre tra i due palazzi pubblici che si fronteggiano e non ha eguali nelle città medioevali e rinascimentali italiane per il prodigio tecnico e strutturale che lo caratterizza e per il respiro monumentale che la distingue.

Dalla sottostante via Baldassini è possibile ammirare la straordinaria perizia ingegneristica con cui la Piazza fu realizzata, essendo sostenuta da quattro enormi “arconi”, divisi da robusti setti murari collegati, a loro volta, da centine a tutto sesto.
Tra il 1475 e il 1480, sotto la signoria di Federico di Montefeltro, il Comune decise di terminare la costruzione della Piazza rimasta fino ad allora incompiuta.

La parte della Piazza realizzata, comunque, doveva essere pavimentata a mattoni. Un documento archivistico del 1452, infatti, testimonia che il fornaciaio Sabatino di Giovanni, assieme al fratello Agostino, fornisce al Comune ben 25.300 mattoni proprio per la pavimentazione di Piazza Grande.

Ad ogni modo, nel 1481 fu stipulato il contratto per l’ampliamento della Piazza preesistente con Battista di Franceschino di Stefano da Perugia.

Secondo il contratto il maestro perugino si impegna a: “fornire li tre speroni incomençati et fornire la piaça cum fondamenti boni et sufficienti de la grosseça començata infino ale poste dele prime volte et da quello in su de piedi doi e meço infino ale poste de le infrascripte quatro volte et quello meno de groseça paresse ala exellentia del signore o ala comunità de dicta cità et supradicti tre muri fundare et fare quatro volte quale piglino dal muro del palaço di consoli in sino al muro presso el palaço del podestà et tirarlo innanci verso la strada del fosso al paro de li dicti palaçi et el prespecto de li muri de dicti speroni verso la strada del fosso sieno de petra quadra de martello spontata et non pontigiata et rempire le dicte volte ale poste de muro sufficientemente ad uso de bono maestro, rempite in tucto li fianchi dele volte alpare del piano dele volte al piano in modo se possa matonare”.

Queste sottocostruzioni vennero realizzate dal 1481 al 1483 dal richiamato mastro Battista di Franceschino da Perugia, ma alcuni non scartano l’ipotesi che suggestioni progettuali potrebbero essere giunte direttamente da Francesco di Giorgio Martini, grande architetto civile e militare di origine senese allora impegnato per la residenza ducale di Federico da Montefeltro.

Come sintetizza efficacemente Sannipoli “l’allineamento definitivo del fronte sud-occidentale della piazza con le corrispettive facciate dei due palazzi trecenteschi, e i grandi archi di notevole impatto stereometrico aperti su via del fosso, permisero di completare quel centro urbano come ‘meraviglia’ immaginata nella prima metà del Trecento”.

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La colonna portante della Sala trecentesca di Palazzo Pretorio

Un solo grande pilastro nel cuore del Palazzo del Podestà La storia costruttiva del Palazzo del Podestà, oggi Pretorio, inizia, come per il Palazzo dei Consoli, nel 1321. I due cantieri, infatti, dovettero procedere di pari passo almeno fino agli anni quaranta del Trecento.

Tuttavia, se nel 1342 il Palazzo dei Consoli può considerarsi quasi completamente agibile, tanto da ospitare le decorazioni pittoriche ad affresco, poco chiaro risulta lo stato di avanzamento dei lavori per la fabbrica prospiciente. La costruzione è ancora in corso nel 1348.

Il Palazzo, di notevoli dimensioni, prevedeva un’ala quadrangolare, quella che si affaccia su Piazza Grande, come residenza del Podestà e come sede degli Uffici Comunali, e un’altra ala (un fabbricato acquisito dalla famiglia Gabrielli, restaurato e collegato al corpo di fabbrica principale) come abitazione dei funzionari locali e forestieri (notai, giudici ecc.). Il complesso era ricadente sui quartieri di S. Andrea e di S. Pietro.

L’ultima fase dei lavori risale al 1349-1350 quando la costruzione si interrompe anche a causa dell’agitazione politica locale.
In particolare nel 1349 il Magistrato, collegio formato dai Consoli e dal Gonfaloniere di Giustizia, ridefinisce i termini contrattuali con le maestranze all’opera: viene modificato il progetto iniziale che prevedeva merli, parapetti ed archetti, e il tetto dovrà essere a due spioventi.

Attorno alla metà del Trecento, dunque, il Palazzo del Podestà appare come un’opera indefinita, insomma, incompiuta.
Il carattere principale della sua architettura era dato dalla scelta tipologica della sala ipostila che si ripete per tre piani. Un solo grande pilastro sorregge infatti quattro ampie volte a crociera formando uno spazio quadripartito. Purtroppo non abbiamo molti elementi per risalire a come doveva essere il “progetto” iniziale del Palazzo del Podestà. La cosa certa è che fu manomesso più e più volte.
Nella seconda metà del XVI secolo, per fare un solo esempio, l’edificio è oggetto di un drastico intervento per la costruzione delle carceri ducali: questi lavori stravolgono l’assetto originario della fabbrica.
Si vengono a creare due piani in luogo dell’unica e maestosa sala a livello di Piazza Grande, che doveva essere alta oltre 8 metri. Si manomettono le grandi finestre, tamponate e sostituite da altre aperture, mentre il pilastro centrale viene occultato dalle tramezzature.

Lo stato di conservazione, per di più, peggiora nel corso del XVII e XVIII secolo, quando sono documentati continui interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, anche dovuti ai terremoti. All’inizio dell’Ottocento il Palazzo del Podestà ospita l’amministrazione giudiziaria e alcuni uffici comunali. E dopo l’unità d’Italia diviene sede definitiva del municipio.

Francesco Mariucci

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