Dai templari al templarismo

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Nel libro “I templari. Storia di monaci in armi (1120-1312)”, pubblicato da Carocci editore (2022), Jacopo Mordenti, ripercorre la storia, lunga duecento anni, dell’ordine templare, a partire dal XII secolo all’indomani della prima crociata, quando nasce l’Oriente latino e si comincia ad avvertire l’esigenza di proteggere i pellegrini lungo gli itinerari della fede.

In pochi decenni una piccola comunità di devoti cavalieri diviene un ordine monastico-militare capace di presidiare la Terrasanta e di ramificarsi in Europa attraverso una capillare rete di commende.

La sua gloria, sempre più invisa, scema mentre l’Oriente latino perde pezzi fino a scomparire; all’inizio del XIV secolo i templari sono vittime collaterali dello scontro fra papa Clemente V e il re di Francia Filippo IV.

Con la soppressione dell’ordine nel 1312 e il rogo dell’ultimo maestro due anni più tardi, al termine di una stagione di processi e accuse infamanti, si conclude la storia dei templari e inizia la saga del templarismo.

Scheda del libro: Carocci editore – I templari

È l’alba del 13 ottobre 1307. Sull’intero territorio del regno di Francia ha luogo un’operazione di vasta portata, fulminea e del tutto inaudita: l’arresto contemporaneo di tutti i membri dell’Ordine templare. Sorpresi nelle magioni del Tempio, i templari non accennano alcuna resistenza mentre vengono tradotti in carcere dai balivi e dai siniscalchi del re, Filippo IV il Bello. Lo stesso maestro templare, Giacomo di Molay, è colto del tutto alla sprovvista: ancora il giorno prima, il 12 ottobre, aveva partecipato in prima fila alle esequie di Caterina di Courtenay, cognata del re; la mattina del 13 ottobre si trova al Tempio di Parigi quando viene raggiunto dal guardasigilli di Francia in persona, Guglielmo di Nogaret, che lo arresta e ne dispone immediata mente la custodia.

Le accuse che pendono sui templari sono gravissime: le voci che sono arrivate a Filippo il Bello raccontano di rituali segreti dove si sputa sulla croce, si rinnega Gesù Cristo, si venera un idolo demoniaco, si predica l’omosessualità; ce n’è abbastanza perché il re, dinnanzi ai tentennamenti di papa Clemente V, prenda in mano la situazione e costringa i templari a chiarire.

Che le accuse nei loro confronti siano false è secondario. Sono verosimili, e tanto basta; del resto i più stretti collaboratori del re di Francia le hanno costruite con cura, innestando l’immaginario demoniaco su quel meccanismo perverso che è il processo per eresia. Non solo: il terreno nel quale vengono seminate, che forse può già chiamarsi “opinione pubblica”, è stato preparato da tempo, almeno da quando anche l’ultimo barlume di Terrasanta, San Giovanni d’Acri, è andato perduto nel 1291.

Con gli arresti dell’ottobre 1307 si apre la drammatica stagione del processo ai templari. O meglio, dei processi, sia perché al procedimento contro i singoli membri dell’ordine si affianca in breve quello contro l’ordine in sé; sia perché la volontà di puntare il dito verso il Tempio si propaga dalla Francia a molti altri paesi d’Europa, benché con risultati a volte sorprendenti.

Le torture, le confessioni, i roghi che occupano la scena nei cinque anni che seguono gli arresti – e che oggi saturano un immaginario che strizza l’occhio all’aspetto granguignolesco della vicenda del Tempio – non devono fare perdere di vista come la partita che si gioca sulla pelle dei templari è quella, tutta politica, che vede Clemente V tentare di parare i colpi di Filippo il Bello: da una parte un papa gravemente malato, alle prese con la spinosa eredità di Bonifacio VIII; dall’altra un re perennemente indebitato, intento a fare della Francia una “monarchia nazionale” accentrata.

Filippo IV il Bello in un dipinto di Jean du Tillet, 1550

Nel 1312 la resa del papa: l’Ordine templare non è condannato, ma è ugualmente soppresso. Due anni più tardi le ceneri di Giacomo di Molay, che in un estremo sussulto di dignità abbraccia la morte sul rogo, suggellano la fine di un’esperienza quasi bicentenaria, e al contempo danno inizio a un’altra vicenda, ben più lunga e fumosa, quella del templarismo, dove la storia cede il posto alla leggenda, la disciplina dei documenti al fascino delle suggestioni. Il trapasso è rapido: già Ferreto de’ Ferreti da Vicenza, nella prima metà del Trecento, racconta di un templare napoletano che, prossimo al rogo, vaticina la morte imminente del papa e del re di Francia, colpevoli entrambi dell’iniqua distruzione del Tempio; del resto sia Clemente v sia Filippo il Bello erano davvero morti a distanza di pochi mesi dal maestro templare, facendo loro mal grado la fortuna del tema della “maledizione templare”.

Un ritratto ottocentesco di Hugues de Payns, fondatore dell'ordine dei templari, conservato a Versailles

Tra Medioevo ed età moderna apologeti e detrattori dei templari continuano ciclicamente a confrontarsi senza particolari fughe in avanti, finché nel Settecento inoltrato il Tempio è oggetto di un rinnovato interesse intellettuale: la neonata massoneria si serve infatti della vicenda dell’ordine quale elemento portante della propria storia, che pretende di essere antichissima. Se già negli anni Trenta del XVIII secolo le logge francesi avevano propugnato la propria derivazione dagli ambienti cavallereschi medievali – e in particolar modo dagli ambienti cavallereschi crociati –, sono le logge tedesche, negli anni Sessanta del Settecento, a esplicitare una loro specifica connessione con i templari. È in questo contesto che viene forgiata l’immagine di un ordine militare che, in virtù della sua permanenza nel Tempio di Salomone, si era trovato ad acquisire una millenaria, straordinaria sapienza che aveva mantenuto occulta: una sapienza sopravvissuta ai roghi dei processi, custodita segretamente nei secoli da un manipolo di adepti e infine ereditata dalla massoneria.

Il mito attecchisce, a tal punto che anche quelli che si pronunciano contro il proliferare delle logge massoniche ritengono credibile questo pluricentenario filo conduttore: è in effetti su di esso che, fra Settecento e Ottocento, finisce per innervarsi il complottismo attraverso cui vengono spesso interpretati gli sconvolgimenti politici che infiammano l’Europa. In questo senso vale la pena menzionare Augustin Barruel, ex abate gesuita in esilio, che negli stessi anni in cui in Francia divampa la Rivoluzione compila la storia di quell’unica, complessiva dottrina antisociale che, sotto una pletora di nomi e protagonisti, a suo dire va dal manicheismo persiano al giacobinismo a lui contemporaneo: un percorso accidentato che passa anche attraverso i templari.

Da questo alle più recenti elucubrazioni intorno al Tempio, passando magari per la produzione ottocentesca di falsi documenti e reperti, il passo è relativamente breve. La divulgazione della storia templare non è insomma una questione di quantità ma di qualità, perché oggi dei templari si parla moltissimo, o meglio si parla moltissimo del loro tesoro, del loro segreto, del fatto che avevano custodito il Graal, venerato un idolo chiamato Bafometto, scoperto l’America ben prima di Colombo e così via. In sostanza si parla di templarismo, che purtroppo, in un XXI secolo che relega la vicenda del Tempio allo scaffale dell’esoterismo – non è una metafora, e per rendersene conto basta concedersi due passi in libreria – non è un vezzo intellettuale sempre e soltanto innocuo.

Occasionalmente esso si presta a distorsioni e a manipolazioni dalle conseguenze perfino tragiche: il caso limite è quello che si è consumato il 22 luglio 2011 sull’isola norvegese di Utøya, quando nel corso di un seminario della sezione giovanile del Partito laburista norvegese il terrorista Anders Breivik ha aperto il fuoco sui presenti uccidendo 69 persone. Trentadue anni, bianco, sano di mente, Breivik è stato condannato al massimo della pena previsto dall’ordinamento norvegese, 21 anni di reclusione. Tra le molte dichiarazioni che ha rilasciato in sede di processo – dichiarazioni mutevoli quando non contraddittorie, che spaziano dall’anti-islamismo al nazionalsocialismo, passando per l’antimarxismo e l’odinismo – c’è quella di essere un cavaliere templare.

Eppure la storia templare esiste davvero, e può affascinare non nonostante, ma proprio perché può essere avvicinata secondo i criteri della scienza storica, a partire dalle fonti e dal confronto critico fra di esse, distinguendo tra ciò che si può sostenere con certezza, ciò che si può solo supporre, ciò su cui non si ha in mano alcunché e su cui allora bisogna tacere. Una storia, quella templare, che per essere compresa chiede di tornare ai primi anni dell’XI secolo, quando sulla scia della prima crociata vengono a combinarsi insieme problemi pratici e prospettive inedite.

Jacopo Mordenti

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