Con i piedi nel Medioevo

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«Nella società medievale — spiega l’autrice Virtus Zallot, studiosa di iconografia sacra che insegna Storia dell’arte medievale e Pedagogia e didattica dell’arte all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia — piedi e calzature erano figure parlanti: caratterizzavano gruppi e personaggi, indicavano gerarchie, ruoli e interazioni, erano protagonisti di gesti ed eventi della quotidianità e del rito, nel consueto o nello straordinario. L’arte ha esplicitato tali valenze attribuendo loro ulteriori significati espressivi (…) raccontando storie e frammenti di storia».

PIEDI DIFFORMI E DEFORMI – Tirannide di Ambrogio Lorenzetti, nell’Allegoria del cattivo governo (1338-1339) del Palazzo pubblico di Siena, è un’orrida donna strabica con zanne e corna. Dalla lunga veste fuoriescono zampe con artigli di rapace: una poggia sul dorso di un caprone, simbolo di lussuria. Le è accanto Frode, una bella ragazza elegantemente vestita ma con zampe dalle grandi unghie appuntite che allertano sulla sua falsità.

PIEDI CHE SOFFRONO – Tra tante disgrazie, un malanno meno grave e un miracolo meno clamoroso riguardano donna Prassede, che il piede se l’era rotto cadendo per un capogiro. Un piede seriamente malato è, invece, protagonista del miracolo di beata Umiltà vivacemente narrato da Pietro Lorenzetti in due degli episodi della Vita figurata della santa (1335-1340 circa). Nel primo un monaco, steso a letto con il saio alzato a svelare la gamba, ascolta avvilito e per nulla convinto il responso del medico che, rivolgendosi a due confratelli visibilmente affranti, proclama la sua sentenza: il piede va amputato.

SCALZI E CALZATI – Francesco, che aveva ricominciato a portare le scarpe per nascondere le stimmate, nelle immagini le toglie per esibirle. Più raramente indossa calzari, che le incorniciano senza coprirle. I suoi piedi nudi, de­potenziati del significato pauperistico, sono espositori degli straordinari segni che li rendono conformi a quelli di Gesù. Le stimmate, più che trafiggerli, li adornano come delicati tatuaggi o regolari bottoni, “decoro e ornamento, come pietruzze nere in un pavimento candido”.

LAVARE I PIEDI – Quanto più lo scarto sociale tra i protagonisti si accentuava, tanto più il gesto esprimeva l’abbassamento di colui che lo eseguiva, sino a configurarsi come volontaria autoumiliazione. L’esempio di massima asimmetria si realizzava quando un re lavava i piedi ai poveri. Luigi IX il Santo (1214-1270) esercitava il servizio in segreto, non solo per modestia ma anche per evitare i rimproveri di coloro che lo ritenevano incompatibile con la dignità regale.

LEVARE I CALZARI, I CALZARI LEVATI – Alcune immagini medievali mostrano calzature deposte accanto al letto di un malato o dormiente che (naturalmente) le ha levate prima di coricarsi. Non tale normalità giustifica tuttavia la loro presenza, poiché compaiono solo in determinate situazioni. Segnalano, in particolare, l’apparizione di un messaggero divino (Cristo, un angelo, un santo) che annuncia al malato o dormiente un importante e prossimo evento destinato a mutargli la vita, oppure a interromperla.

PIEDI CHE CALPESTANO – In altri casi un santo calpesta non lo strumento del martirio ma, direttamente, colui che lo ordinò. L’immagine sembra recuperare l’antica iconografia del trionfo militare, in realtà per ribaltarne la logica. Il martire che calpesta il carnefice nega infatti l’evidenza del racconto (storico, biblico o agiografico) e, con un “falso storico”, trasforma lo sconfitto in trionfatore. Il martirio infatti concede alla vittima vita eterna e gloria, al vincitore il castigo eterno e l’ignominia.

Virtus Zallot
Brevi estratti da sei dei dieci capitoli del libro Con i piedi nel Medioevo
Gesti e calzature nell’arte e nell’immaginario

2018, Il Mulino, 220 pagine con illustrazioni. Prefazione di Chiara Frugoni

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