Chi ha scritto l’Hypnerotomachia Poliphili?

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Una delle copie della Hypnerotomachia Poliphili è conservata nella Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino

Considerato come il più bel volume mai stampato, il romanzo allegorico sull’amore platonico di Polifilo per Polia – uscì nel 1499 dalla tipografia di Aldo Manuzio. Tanti gli enigmi che contiene, dalla strana lingua “mista” in cui è scritto al suo coltissimo autore.

Nel dicembre 1499 veniva pubblicato a Venezia, nella tipografia del celebre stampatore Aldo Manuzio, un testo tanto originale quanto bizzarro, talmente bello da essere considerato il più bel libro nella storia della stampa. Strambo il titolo, creato a tavolino dal greco: Hypnerotomachia Poliphili, letteralmente “Il combattimento amoroso condotto in sogno da Polifilo”.

Misterioso e sfuggente l’autore. I più attenti notarono che le lettere di inizio dei 38 capitoli, lette insieme, davano Poliam frater Franciscus Columna peramavit (ossia “frate Francesco Colonna amò intensamente Polia”), il che ha indotto a vedervi l’acrostico del nome del possibile artefice, Francesco Colonna.

La sua vera identità però è tuttora ignota: forse si trattava di un frate domenicano del convento dei Santi Giovanni e Paolo, forse invece dell’omonimo principe romano signore di Palestrina.

Difficilissimo, ai limiti della comprensibilità, anche il testo, scritto in una lingua ostica completamente inventata mischiando italiano e latino, parole coniate da radici greche e in genere classiche con termini ebraici e arabi, e persino geroglifici egizi (che però, si è poi scoperto, non sarebbero autentici).

Certo è che il volume si presenta come un romanzo allegorico di tipo cavalleresco, genere piuttosto in voga tra le classi aristocratiche del Rinascimento. Il libro è incentrato sul racconto di un sogno fatto nel 1467 dal protagonista, Polifilo (“amante di molte cose”), alla ricerca della donna amata, Polia (“tante cose”, appunto). La trama è però quella di un viaggio iniziatico, una sorta di metafora della trasformazione interiore del protagonista che tende all’amore platonico.

Polifilo, abbandonato dalla sua Polia, si mette sulle tracce dell’amata; durante la ricerca finisce per perdersi in una foresta dove incontra lupi, draghi e misteriose fanciulle e si imbatte in stupefacenti e misteriosi edifici.
Stravolto, si riaddormenta e sogna un secondo sogno all’interno del primo, durante il quale alcune ninfe lo conducono dalla loro regina e gli chiedono di dichiarare pubblicamente il suo amore per Polia. Polifilo obbedisce, al che due ninfe lo accompagnano davanti a una serie di tre porte chiedendogli di sceglierne una: l’uomo opterà per la terza, e proprio lì dietro troverà l’amata.

A quel punto la coppia riunita può essere portata al tempio per il fidanzamento, incontrando lungo la strada ben cinque processioni trionfali che ne celebrano l’unione. I due amanti sono quindi imbarcati verso l’isola di Citèra, trasportati da Cupido in persona. Una volta a terra, contemplano un’altra processione trionfale ma a quel punto la narrazione di Polifilo si interrompe lasciando spazio a quella di Polia, che descrive i fatti dal suo punto di vista. Quando Polifilo riprende a raccontare, Polia lo respinge ma Cupido, apparso in sogno, le ordina di tornare subito dall’amato, che nel frattempo è svenuto ai suoi piedi, e di ridestarlo con un bacio. Non appena l’uomo riprende conoscenza, Venere può benedire la coppia, ma proprio mentre Polifilo si accinge ad abbracciare l’amata, ecco che Polia si dissolve nell’aria. Il romanzo termina con il risveglio di Polifilo.

La fonte di ispirazione della narrazione è un “classico” della letteratura latina, le Metamorfosi di Apuleio. L’intero sostrato è paganeggiante, come mostrano l’assenza di qualunque richiamo cristiano e le frequenti invocazioni alle divinità dell’antica Roma, come “Diespiter” che richiama palesemente Dispater, uno degli appellativi di Giove. Questa circostanza, unita al fatto che tanto il contenuto quanto la forma presuppongono una mente eccezionalmente colta, ha indotto alcuni studiosi a ritenere che il testo sia piuttosto da attribuire o allo stesso Manuzio oppure a Lorenzo il Magnifico, al celebre architetto Leon Battista Alberti o a Giovanni Pico della Mirandola, uno dei più grandi intelletti del Rinascimento.

La certezza assoluta sull’autore, per quanto i più, come detto, accettino il misterioso Colonna, non esiste. Così come resta ignoto anche l’autore delle 169 bellissime xilografie che illustrano le architetture incontrate da Polifilo durante il sogno, realizzate con tecnica eccellente e una chiara e netta ispirazione classica: dai contemporanei vennero attribuite a Benedetto Bordon, ma qualche critico le ritiene opera nientemeno che di Andrea Mantegna, anche per la perfezione con cui si sposano agli splendidi e nitidissimi caratteri del testo, incisi appositamente da Francesco Griffo.

Elena Percivaldi

Articolo pubblicato su BBC History n. 112 (agosto 2020). ©Elena Percivaldi / Sprea ed. – Riproduzione vietata.

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