Bouvines, la domenica che cambiò l’Europa

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La battaglia di Bouvines, tratta da una edizione dell’opera Grandes Chroniques de France (1335-1340), Londra, British Library.

Giorno del Signore 27 luglio 1214, campagna nei dintorni di Bouvines, nelle Fiandre, tra Lille e Tournay.

L’aria è calda e ferma. I cavalieri e i fanti francesi di Filippo Augusto (1180-1223) sono in posizione, schierati in linea, tre fronti su due file ciascuno. Alle loro spalle il ponte di Bouvines e il territorio del Sacro romano impero. Di fronte, le truppe dell’imperatore Ottone IV di Brunswick (1198-1218). L’unico modo per salvare la vita e poter tornare a casa è vincere la battaglia che si appresta ad essere combattuta.

Nella terra di Fiandra si gioca il destino di buona parte dell’Europa. In tutto 20.000 uomini in armi che si fronteggiano. Tra i tanti simboli e le innumerevoli insegne che sventolano sul campo, al di sopra di tutto, si ergono due stemmi: i gigli del re di Francia Filippo Augusto, che ha deciso di impugnare l’orifiamma di Saint-Denis e l’Aquila, circondata d’oro, dell’imperatore sassone, scomunicato, Ottone IV di Brunswick. È una calda domenica estiva e si combatte per il destino dell’Europa.

Come si è arrivati a questo momento? Bisogna fare un passo indietro per comprendere la situazione. Le armi che si fronteggiano sono quelle del re di Francia e dell’imperatore, ma una complessa trama politica, con logiche di potere che si dipanano dal Mare del Nord alla Sicilia, coinvolge i veri protagonisti dello scontro. A fianco dei due combattenti, infatti, si scorgono gli uomini, le speranze e le ombre del giovane Federico II di Svevia (1196-1250), re di Sicilia, e la lunga mano di papa Innocenzo III (1198-1216), che ha deciso di sbarazzarsi del poco fidato Ottone IV, confidando sulla promessa del giovane svevo di non unire mai la corona di Sicilia con quella del Sacro romano impero. Legato alle sorti di Ottone c’è re Giovanni d’Inghilterra (1199-1216), il Senza Terra, alleatosi con l’imperatore nel tentativo di conquistare alcuni territori sul suolo di Francia e impegnato in una feroce guerra nell’Anjou e nel Poitou, rivendicando i diritti dell’ava Eleonora d’Aquitania.

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Papa Innocenzo III.

La casa di Svevia, tra conquiste territoriali e politiche matrimoniali è riuscita a concentrare nelle proprie mani i territori europei dell’Impero ed il regno di Sicilia. Alla morte di Enrico VI (1190- 1197), il figlio del Barbarossa, la moglie Costanza aveva assunto la reggenza e affidato la tutela del piccolo Federico al pontefice Innocenzo III. Nel 1208 i baroni e i prelati del regno di Sicilia giurano fedeltà a Federico. Il giovane svevo, però, adesso re di Sicilia, avrebbe potuto trasformarsi in una grave minaccia. Se Federico, infatti, fosse divenuto anche imperatore, avrebbe unificato le due corone e la Sicilia, territorio vassallo della Santa Sede, avrebbe fatto parte dell’Impero. Stringendo il patrimonio di San Pietro in una stretta mortale, più pericolosa di quella Longobarda secoli prima. L’appoggio alla candidatura imperiale di Ottone IV di Brunswick, da parte di Innocenzo III, è, quindi, il passo successivo per evitare che Federico possa vantare diritti sulla nomina imperiale. Una scelta che, però, suscita i sospetti di Filippo Augusto di Francia, che teme un’alleanza tra il futuro imperatore e Giovanni Senza Terra, in chiave anti-francese. A risolvere la situazione, però, ci pensa direttamente lo stesso Ottone, quando decide di muovere alla conquista della Sicilia. Il pontefice scomunica l’imperatore, il 18 novembre 1210. Scomunica che scatena subito la ribellione della maggiornanza dei feudatari tedeschi e la conseguente deposizione di Ottone, designando Federico II di Hohenstaufen nuovo imperatore. Intanto Innocenzo III aveva fatto sposare il diciassettenne Federico con Costanza, sorella di Pietro III d’Aragona. E il giovane imperatore si era impegnato a non unificare mai le due corone.

Un solo particolare non si incastrava nel complesso rompicapo dinastico: per conquistare la corona imperiale era necessario toglierla dal capo di Ottone. Federico, allora, fa il primo passo e stringe accordi con Filippo Augusto di Francia, ben lieto di trovare un alleato potente per contrastare Ottone e Giovanni Senza Terra e immaginare una Francia integra e più vasta territorialmente sotto il suo potere. Nella piana di Bouvines, il 27 luglio 1214, si decide la partita. Due imperatori e due re: il vincitore sarebbe rimasto l’unico pretendente alla corona imperiale, l’alleato sarebbe diventato padrone della Francia.

Ottone aveva radunato il suo esercito, circa 3.000 cavalieri e 6-7.000 fanti, compresi gli alleati inglesi e alcuni vassalli francesi, nei pressi di Nivelles. Il re di Francia, invece, tramite i legami feudali era riuscito a richiamare 1.300 cavalieri nobili e, grazie al denaro e alla coscrizione forzata (l’antico diritto chiamato bannus) circa 1.000 sergenti e 4-5.000 fanti tra le milizie cittadine, concentrandosi a Péronne. I due eserciti si cercarono per giorni, rincorrendosi fino a rovesciare le posizioni, con i francesi a nord e gli imperiali a sud. Avute nuove notizie, alquanto incomplete, circa le mosse del nemico, i due sovrani mossero nuovamente l’esercito. Filippo Augusto salendo ancora più a nord, Ottone seguendolo inconsapevolmente. Quando il re francese seppe che l’imperatore si trovava in marcia dietro di lui, decise di fermarsi e di dare battaglia. Una decisione pericolosa. Alle sue spalle, infatti, si aprivano i territori dell’Impero, del nemico. Bisogna combattere per riguadagnare la sicurezza del territorio francese.

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Lo schema della battaglia di Bouvines.

Quando Ottone giunse sul campo di battaglia, con sua sorpresa, trovò i francesi già schierati. Nonostante fosse venuto a mancare l’effetto sorpresa, l’imperatore decise ugualmente di attaccare e senza pensarci un attimo lanciò i suoi contro il fronte francese. Il primo contatto avvenne sul fianco sinistro imperiale tra i cavalieri fiamminghi e la fanteria di Soissons. L’aria fu squarciata dal grido di guerra di migliaia di uomini; lance, spade, mazze risuonarono sugli scudi, mentre il nitrito umido dei cavalli spezzava il lungo urlo dei fanti. Insegne e stendardi garrivano al vento, mentre trombe e buccine squillavano. Gli armati di Ottone, si lanciarono sul fianco destro dello schieramento francese, tenuto da cavalieri non nobili, detti sergenti, e dai primi gruppi di fanteria mercenaria, il “ceto” professionista della guerra del XIII secolo. Sotto la spinta della cavalleria imperiale l’ala destra francese sembrò cedere, ma l’intervento dei cavalieri francesi, guidati personalmente dal re Filippo, che caricarono a lancia bassa, respinse gli imperiali. Lo scontro si allargò alle altre schiere, e da una parte e dall’altra, tutti i gruppi di armati si lanciarono nel combattimento. Le cariche della cavalleria imperiale vennero respinte dai fanti francesi; la fanteria tedesca ebbe la meglio del centro avversario, ma fu spazzata via dalla carica dei cavalieri francesi. La mischia si protrasse per ben tre ore, quando Ottone tentò il tutto per tutto, puntando con i cavalieri al centro dello schieramento francese, dritti contro il re Filippo. Lo schieramento francese nemico, però, dopo un leggero sbandamento indietro, si compattò dietro le picche della fanteria francese, passando al contrattacco. L’imperatore stesso venne disarcionato, rischiando di finire prigioniero. Fu salvato dall’intervento dei cavalieri sassoni, che lo portarono via dal campo di battaglia, provocando la rotta di buona parte dell’esercito imperiale. Solo il fianco destro, tenuto da Rinaldo di Borgogna, riuscì a tenere il fronte permettendo la fuga del resto dell’esercito. Il conte dispose i picchieri in cerchio (anticipando la formazione di battaglia, a quadrato, dei picchieri svizzeri nel XV secolo) e all’interno i cavalieri, i quali uscivano di formazione per attaccare e poi rifugiarsi di nuovo all’interno del cerchio. La resa avvenne solo quando il conte Rinaldo fu disarcionato e non riuscì a riparare dietro i picchieri.

La battaglia di Bouvines si rivelò un’eccezione anche dal punto di vista delle perdite umane. In un’epoca in cui tra i cavalieri il combattimento era più formale che mortale, in cui si cercava di prendere prigionieri per chiedere un riscatto, gli imperiali lamentarono la perdita di 170 cavalieri (140 quelli fatti prigionieri) e un numero imprecisato di fanti. Per i francesi il bilancio fu molto meno pesante.

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L’esito della battaglia in una edizione delle Grandes Chroniques de France, Parigi, secolo XIV.

Con la fuga dell’imperatore il fronte si ruppe definitivamente in favore di Filippo Augusto che, con questa vittoria, affermò il suo potere sovrano nei suoi confini e in Europa. L’aquila conquistata dai francesi fu portata a Federico II, il nuovo imperatore. Ottone si ritirò in Sassonia, mentre il re Giovanni, sconfitto anche nell’Anjou, dovette rientrare in patria senza nessuna conquista territoriale e politicamente indebolito, tanto che, l’anno successivo, fu costretto a concedere ai nobili la Magna Charta.

Per eccesso si può dire che quella domenica mattina si posero le basi dell’Europa moderna: in Francia si rafforzò una monarchia assoluta durata fino alla Rivoluzione francese, in Inghilterra il re ebbe un potere limitato dalla aristocrazia e poi dalla borghesia, mentre la Germania rimase frammentata fino all’unificazione avvenuta con Bismark.

Umberto Maiorca

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