Armi con l’anima, spade di re ed eroi

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La spada fiammeggiante nella mano del cherubino a guardia dell’Eden accende la notte, scesa per la prima volta sull’uomo dopo il peccato di Adamo ed Eva. La spada fa, così, il suo ingresso nella storia dell’Occidente, oggetto che separa il bene dal male, punisce i malvagi e difende i giusti. Per san Paolo ha due tagli: uno per difendere con sapienza e giustizia; l’altro per offendere, denunciando il peccato. Secondo Alfonso X il savio deve incarnare prudenza, forza, compostezza e giustizia. È anche monito, per Damocle, della caducità della vita.

Carlo Magno con la sua spada, la Gioiasa, in un dipinto di Albrecht Dürer

La spada è, però, l’arma per eccellenza del cavaliere medievale, fedele compagna, parte femminile che lo completa. Spade potenti o magiche, tanto da essere onorate con un nome che ne ricordi la fama, ne testimoniano la crescente importanza militare e sociale. Dalle foreste dei Burgundi ai fiordi scandinavi o alle brulle lande islandesi, c’è sempre un fabbro-mago che forgia una lama invincibile o maledetta, oppure una divinità che lega la spada al destino di un eroe, che sia Volund o san Dustano.

La spada è, soprattutto, segno di regalità e forza. Carlo Magno usa la sua Gioiosa due volte nello stesso giorno: una per decapitare il nemico Corsile, l’altra per nominare cavaliere Ogier che lo ha soccorso e salvato in battaglia. Fabbricata con lo stesso materiale di Durlindana, contiene una reliquia della lancia di Longino e un chiodo della Croce di Cristo, appare ne “Il romanzo di Ogier il danese”, mentre al Louvre è conservata una lama che risale al X secolo (le altre parti sarebbero più tarde). C’è chi sostiene che Gioiosa sia sepolta con l’imperatore, ma le cronache dei lavori del Karlsschrein, voluto da Federico II nel 1215, non riportano alcun ritrovamento.

Una leggenda racconta che in caso di pericolo, un altro regnante, san Venceslao uscirà dal monte Blanik alla testa di un esercito di cavalieri e brandendo la spada di Bruncvík, murata nel Ponte Carlo, decapiterà tutti i nemici.

San Ferdinando III di Castiglia, “l’invincibile paladino di Gesù Cristo” per papa Innocenzo IV, assicurò pace e giustizia alle tre religioni nella Spagna della Reconquista, assiso in trono con il globo crucigero nella mano sinistra e nella destra la spada Lobera, al posto dello scettro tradizionale.

Altri re sono ricordati attraverso le spade cerimoniali conservate nei musei. Edoardo, re d’Inghilterra, è molto adirato con un suo vassallo, la mano scivola sulla spada mentre questo si giustifica. Senza accorgersene il re ha già estratto la spada dal fodero e sta per vibrare il colpo mortale, deviato verso terra solo dall’intervento di un angelo. Da allora Curtana ha la lama spezzata.

Altre armi cerimoniali sono la Spada imperiale, conservata a Vienna, in un fodero con le raffigurazioni di quattordici imperatori; oppure Szczerbiec, utilizzata per l’incoronazione dei re polacchi e scheggiata da un colpo inferto da re Boleslao I alla Porta d’oro nel 1018 (costruita, però, 20 anni dopo) durante la crisi di successione nel Principato di Kiev.

La storia ricorda anche diverse spade di santi, simbolo di forza d’animo e di sacrificio, fino al martirio. Angeli e visioni indicano a Giovanna d’Arco che, giacente in un campo a Sainte-Catherine-de-Fierbois, troverà una spada con cinque croci incise sulla lama, con la quale liberare la Francia dagli inglesi. La leggenda si espande e la spada si trasforma in un ex voto di Carlo Martello per la vittoria di Poitiers. È storia, invece, la spada di Renato D’Angiò, re di Napoli e Sicilia, già compagno d’arme della Pulzella d’Orléans, che reca incisa l’immagine più antica che si conosca della santa francese.

Gioiosa, la spada di Carlo Magno
Spada conservata al Museo del Louvre, forse la Gioiosa

La spada dei santi Cosma e Damiano, o spada di Essen, risale al X secolo e sarebbe un dono di Ottone III per commemorare il martirio dei santi medici decapitati proprio con quell’arma.

Non è santo, ma la spada di Trasamondo II, duca di Spoleto fu trasformata in pastorale dopo che Liutprando lo costrinse a farsi religioso e lasciare il ducato a seguito dell’ennesima ribellione.

Ci sono spade che recano i segni della battaglia, armi che hanno un’anima e una personalità propria. Tizona unisce queste qualità al braccio di Rodrigo Diaz, noto come El Cid. Le capacità militari di Rodrigo e l’acciaio moresco di Cordova risultarono invincibili sui campi di battaglia calcati dall’eroe, tanto da fare di Cid-Tizona-Reconquista un trinomio inscindibile.

E se anche la spada non sempre ha nome, incute ugualmente timore. Maometto II crede che Skanderbeg vinca grazie ad armi stregate. Come pegno per un trattato di pace ne ottiene la spada. Poi la rimanda indietro perché non è la “vera spada che fende e uccide come nessuna altra”. Skanderbeg sorride: “Io gli ho mandato la mia spada migliore, ma non potevo mandargli anche il braccio”.

Spada di Renato d'Angiò
Spada di Renato d’Angiò

La cavalleria teutonica e l’esercito polacco-lituano si fronteggiano da ore, sotto il sole della pianura di Tannenberg. È il 15 luglio del 1410, il Gran Maestro von Jugingen attende che siano i polacchi ad iniziare la battaglia. Ladislao non si muove. Von Jungingen invia gli araldi a Ladislao con un messaggio, riportato dal cronista Jan Dlugosz: “Sua Maestà! Il Gran Maestro Ulrico manda a te … due spade in aiuto affinché … non ritardiate oltre e possiate combattere più coraggiosamente di quanto abbiate mostrato finora … e non posponiate oltre la battaglia”. Sono ricordate come le spade di Grunwald.

Dal campo di battaglia alla tomba. È la storia della spada di Cangrande della Scala. Il 17 luglio del 1921 gli studiosi trattengono il fiato per la nube di polvere alzatasi all’apertura dell’arca di Cangrande e per la sorpresa: poggiata sul corpo del condottiero appare una spada ad una mano, corrosa dal tempo, ma carica di storia e di storie. La ruggine ha intaccato l’arma, con elsa a croce, pomo a disco e manico rivestito di un filo d’argento, lama a doppio filo e a punta stondata. Un’arma da combattimento, anche se le rifiniture sembrano quelle di una spada la cui lama non serviva più a “riparar torti” o a “chietar nimici”.

Anche l’Islam ha le sue spade famose e l’arma che Maometto donò in occasione della battaglia di Uduh al genero Alì, primo convertito all’Islam, organizzatore della cavalleria musulmana, si chiama Zulfiqar, “Quella che fende” (alludendo anche al discernimento tra bene e male). Alì è chiamato leone di Dio, re degli uomini e “non c’è altro eroe che Alì né altra spada che la sua Zulfiqar”. Della scimitarra, però, ne esistono più versioni, ognuna delle quali è, per chi la possiede, quella originale.

Orlando e Durlindana Se la spada di Carlo Magno è misteriosa, quella di Orlando, Durlindana, è leggendaria, che venga da un angelo o dallo stregone Malagigi. Nell’elsa dorata erano conservati un dente di san Pietro, del sangue di san Basilio, alcuni capelli di san Dionigi e un lembo della veste di Maria.

Nella gola di Roncisvalle il paladino Orlando, ormai morente, le parla (“Oh, Durlindana, come sei bella e santa!”), non vuole che cada in mano al nemico, tenta di distruggerla, invano. I segni della spada sulla roccia sono ancora visibili nella “Breccia di Orlando” (al confine tra Spagna e Francia) o a Roma, nella fenditura di un palazzo vicino al Pantheon, nel “Vicolo della Spada d’Orlando”. Un’altra leggenda racconta che il paladino piantò la spada a Rocamadour, in una parete rocciosa verticale. Dove ancora si trova.

Altre spade mitologiche In tema di leggende e paladini possiamo ricordare Balisarda, la spada di Ruggero (forgiata dalla fata Falerina per poter uccidere Orlando, nel racconto di Ariosto); Almace, la spada dell’arcivescovo Turpino; Amadis di Grecia è il cavaliere dall’ardente spada “che fu una delle migliori che mai cingesse cavaliere al mondo, e che oltre alle qualità che ti ho narrate tagliava come un rasoio”, scrive Cervantes; Gramr (anche Nothung o Balmug) è la spada conficcata in un tronco da Odino, liberata (come per Excalibur) da Sigmund e poi utilizzata dal figlio Sigfrido per uccidere il drago Fafnir. Hrunting e Naegling (“Colei che artiglia”) sono le spade di Beowulf: la prima gli viene data da Unferth, ma si rivela inutile nella battaglia contro la madre di Grendel; la seconda viene in possesso dell’eroe (la spada non si acquista, si conquista nella prova) durante la lotta contro la madre del gigante e si spezza nel successivo combattimento con il drago.

Cangrande della Scala
Cangrande della Scala

Volontà del cielo, la spada di Le Loi Il “re pacificatore” Le Loi (1385-1433), il nobile feudatario vietnamita che sconfisse l’impero cinese e cinse la corona imperiale (primo di una dinastia che terminò nel XVIII secolo), impugnava Volontà del cielo, una spada dai poteri magici e invincibile. Le Loi l’aveva ricevuta in dono dal Re drago, il semidio Long Vuo’ng, proprio per unificare il Vietnam e scacciare l’invasore cinese. Compiuta la missione la spada doveva tornare da dove era venuta. Un anno la vittoria sui cinesi Le Loi si trovava in barca sul lago Ho Luc Thuy, quando dalle acque uscì Kim Qui, la tartaruga dal guscio dorato, e iniziò a parlare con voce umana, chiedendo al re di restituire la spada a Long Vuo’ng. Le Loi lanciò la spada alla tartaruga che, afferratala con il becco, scomparve nelle acque di quello che da allora venne chiamato Ho Hoan Kiem, il lago della spada riportata.

Honjo Masamune, la spada scomparsa Il generale Honjo “Echizen no kami” Shigenaga, nel XVI secolo, conquistò la spada forgiata dal maestro Masamune (1264-1323) al termine di uno scontro con il rivale Umanosuke. Con l’elmo spaccato da un colpo di katana riuscì a sopravvivere e uccidere il nemico, dando anche il proprio nome alla spada: Honjo Masamune. La spada passò di mano in mano fino all’ultimo proprietario accertato, Tokugawa Iemasa (discendente dell’omonimo shogunato), il quale la consegnò nel dicembre del 1945 alla stazione di polizia di Mejiro così come ordinato dai vincitori statunitensi allo sconfitto Giappone. La spada fu ritirata da un sergente dell’esercito statunitense (sul cui nome non c’è certezza, forse per un errore di trascrizione fonetico) e da allora se ne persero le tracce, insieme con tante altre lame storiche nipponiche.

Umberto Maiorca

Articolo pubblicato su Medioevo Misterioso n° 19 Novembre-Dicembre 2018 ©

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