Aleksandr Nevskij, “sole della Russia”

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L’eroe russo più amato e popolare è un santo guerriero: Aleksandr Nevskij (1220-1263). Principe di Novgorod, poi gran principe di Vladimir. Ricordato nei secoli come “salvatore”, “difensore della Giustizia” o “Sole della Russia”.

Aleksandr Nevskij nel film storico – epico che racconta le sue gesta (regia di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, 1938)

La sua figura ha ispirato decine di cronache religiose e prodotto una sequela di miti popolari. L’ultimo dei suo figli, Daniele, santo della chiesa ortodossa, diventerà principe di Mosca e darà vita alla dinastia di sovrani che faranno della piccola città sulla Moscova la capitale di un granducato che poi diventerà nazione.

Nevskij fu il più intelligente e tenace dei principi della sua generazione.
Un grande capo militare. Paladino della chiesa ortodossa. Ma anche capace, per conservare e accrescere il suo potere, di allearsi con i Mongoli e fare guerra a suo fratello, suo zio e anche a suo figlio Dmitrij.

Di fronte ad ogni invasione, dai tempi di Pietro il Grande a Napoleone, fino agli orrori della seconda guerra mondiale e all’età di Stalin, il nome di Nevskij sarà invocato ed usato come nume tutelare del popolo russo. Santa reliquia di Pietroburgo e icona della patria.

Anche quella cinematografica, come avvenne nel 1938 con “Aleksandr Nevskij”, il film del regista Ėjzenštejn arricchito dalla colonna sonora di Sergej Prokof’ev: una ricostruzione storica in chiave epica e secondo i nuovi canoni del realismo socialista della battaglia contro il nazismo.

L’EROE DELLA NEVA Nevskij nacque a Pereslavl’-Zalesskij, una città dell’alto corso del Volga, il 30 maggio 1220 da Vladimir Jaroslav II Vsevolodovic e dalla principessa Feodosia di Halic. Suo fratello maggiore Feodor Jaroslavic, erede del titolo e dei privilegi, morì a soli 15 anni.

Aleksandr si trovò così principe di Novgorod. Divenne duca della città nel 1236. Sposò la principessa Bassa di Potolsk, dalla quale ebbe quattro figli.

La Via dei Variaghi

La sua leggenda nacque il 1 luglio 1240 quando vicino all’odierna San Pietroburgo, affrontò una coalizione di Svedesi, Lituani e Cavalieri dell’ordine teutonico, guidati da un altro “padre della patria”: lo jarl svedese Birger, il fondatore di Stoccolma a cui la leggenda attribuisce la creazione del nome stesso della Svezia: Sverige.

L’esercito di Birger puntava al controllo dell’antica Via dei Variaghi e alla città di Staraja, sul lago Ladoga, la prima importante stazione della fondamentale rotta di commerci fluviali che univa in un’unica e vastissima area di scambi il Mar Baltico con il Mar Nero e la Scandinavia con la Rus’ di Kiev e l’impero bizantino. Staraja Ladoga, su una ripida altura e ben protetta dalla conformazione stessa del fiume Volchov, era la vecchia città di Aldeigjuborg, costruita nell’VIII secolo dai vichinghi. Uno dei primi insediamenti del popolo di guerrieri e mercanti in quella terra che porta ancora il loro nome: Rus.

In ballo, insieme al vitale controllo dei traffici fluviali e alla sopravvivenza stessa del principato di Novgorod, c’era anche lo scontro religioso tra la chiesa ortodossa e quella cattolica.

L’esercito del principe Aleksandr Jaroslav sbucò dalla fittissima nebbia tra il corso della Neva e quello dell’affluente Ižora: l’attacco a sorpresa non lasciò scampo agli Svedesi. Birger fu ferito da Aleksandr. E l’esercito scandinavo, sconfitto e disperso, battè in ritirata.

L’impresa valse al principe il soprannome che da allora lo accompagnerà per sempre: Nevskij, l’eroe “della Neva”.

Lago Peipus (o dei Ciudi)

LA BATTAGLIA DEI GHIACCI Due anni dopo, il 5 aprile 1242, Aleksandr arrestò l’avanzata dei cavalieri teutonici guidati dal vescovo principe Hermann nei pressi del lago Peipus. I soldati russi accerchiarono e sconfissero l’esercito dei Cavalieri, affiancato dagli alleati Livoni e Danesi.

La Battaglia dei Ghiacci, pose fine alle Crociate del Nord e ai tentativi dello stato monastico dell’ordine militare di soggiogare i territori abitati dagli slavi ortodossi e dei popoli pagani ad est dell’Estonia.

La vittoria russa, modesta dal punto di vista militare, ebbe però una enorme importanza politica. E consacrò il mito di Nevskij, capace di salvare il suo principato stretto tra la potenza svedese e quella dell’Ordine dei cavalieri teutonici.

Aleksandr nel 1246 venne nominato granduca di Kiev. Iniziò allora un’altra battaglia, questa tutta politica, contro i boiardi, gli esponenti dell’alta aristocrazia feudale che mal digerivano il rafforzamento dell’autorità monarchica. E anche contro l’oligarchia dei mercanti, gelosa delle proprie prerogative nel governo della “libera città” di Novgorod.

Contro di loro e a suo vantaggio usò l’altra minaccia a lungo sottovalutata. Una guerra che arrivò sulla Russia e i paesi dell’ovest con la forza di un cataclisma: i Mongoli di Batu Khan, discendente del leggendario Genghiz Khān dilagarono nelle grandi pianure portando ovunque distruzioni e morte. Intere città vennero rase al suolo. L’Orda d’Oro nel 1238 aveva già colpito e annientato i Bulgari del Volga. Tutti i principati russi vennero devastati. Jurij, granduca di Vladimir, fu ucciso nella battaglia del fiume Sir. Solo la stagione del disgelo salvò Novogorod.

Scena della battaglia del lago ghiacciato in una miniatura del sec. XIV

Ma la tregua durò poco. Nel 1240 l’Orda d’Oro riapparve: la furia mongola travolse Kiev e l’armata di Batu Khān penetrò in Ungheria e Polonia. La morte del gran Khan nel dicembre 1241 e le lotte per la successione tra i clan rivali fermarono quell’esercito che sembrava invincibile.

L’Occidente respirava. Ma la Russia rimase prigioniera sotto il tallone di ferro degli invasori. E Tatari, il nome di una stirpe mongola dell’ovest, diventò anche la parola con la quale i popoli delle grandi pianure iniziarono a chiamare i loro conquistatori.

IL PRINCIPE VASSALLO Aleksandr Nevskij in quegli anni continuò a rafforzare il suo potere. Sconfisse più volte i Lituani che lo minacciavano da nord e nelle stagioni successive firmò anche il primo trattato di pace con la Norvegia.

Ma l’eroe della guerra diventò un sostenitore della “pace ad ogni costo”. Di fronte alla forza dei Mongoli il principe si fece vassallo. A più riprese pagò il tributo ai conquistatori. Andò più volte alla corte del khan per compiere l’atto di sottomissione. Respinse ogni tentativo della curia papale che caldeggiava una guerra aperta tra la Russia e l’Orda d’Oro.

Ma il calcolo, il cinismo o l’abilità politica, lo portarono molto oltre: iniziò ad usare i padrini mongoli come assicurazione contro i suoi nemici. Chiese l’aiuto dei Tatari per combattere contro suo fratello e i suoi parenti che si ribellavano agli invasori. Riuscì così ad acquistare il controllo di gran parte della Russia settentrionale.

Con i Mongoli scelse la via della “non resistenza”. Combattere voleva dire morire. Molti dei suoi sudditi lo accusarono, più o meno velatamente di codardia, come lascia intendere un monaco “resistente” autore della Cronaca di Novgorod. Ma la sua moderazione gli assicurò molti vantaggi. A partire dalla riduzione del tributo annuo che le città russe dovevano versare. Truppe della cavalleria di Nevskij furono inviate in Cina alla corte del gran Khān. Ma il principe riuscì ad evitare che l’Orda d’Oro incorporasse in modo stabile i soldati russi nel suo esercito.

L’espansione dell’Orda d’Oro nel 1389

Il Khān lo premiò. Ottenne il diploma di granduca della città di Vladimir che elesse a capitale del suo stato. Costrinse con la forza delle armi i riottosi cittadini di Novgorod a pagare i tributi ai Mongoli e lasciò il figlio Dmitrij al governo della città.

Ma quando il giovane principe diede ragione agli oligarchi che si rifiutavano di sottostare al censimento che i funzionari tatari imponevano per riscuotere il loro tributo annuale, Nevskij punì e destituì suo figlio. Impose agli oligarchi di obbedire ai Tatari. E si mise in viaggio fino a Sarāy, capitale mongola, per chiedere clemenza al Khān Ulaghcī.

Novgorod pagò così il tributo ai conquistatori nel 1259. Ma la rivolta non si spense. Pochi anni dopo, anche le città di Vladimir, Jaroslav e Rostov si ribellarono e massacrarono gli esattori tatari.

La punizione dell’Orda d’Oro sembrava inevitabile. Aleksandr Nevskij per la quarta volta marciò fino a Sarāy per implorare la clemenza del Khān. Usò tutta la sua autorevolezza: lo rabbonì con doni e promesse e salvò la pace. Ma nel viaggio di ritorno si ammalò e morì a Godorec.

Era il 14 novembre 1263. Cronache agiografiche raccontano che in pieno inverno e con un clima rigidissimo la famiglia ducale, il metropolita e il “popolo tutto di Vladimir” vennero incontro alla salma del principe fino a Bogoljubovo.

L’OMAGGIO DI PIETRO IL GRANDE Nel 1547 Aleksandr Nevskij fu canonizzato dalla chiesa ortodossa russa. Pietro il Grande fece trasportare i suoi resti a San Pietroburgo e ordinò che sul luogo della Battaglia della Neva venisse edificato il Monastero di Aleksandr Nevskij. In suo nome, nel 1725 venne creato L’Ordine Imperiale di Sant’ Aleksandr Nevskij, cancellato dalla Rivoluzione d’Ottobre ma ripristinato nel 1942.

A San Pietroburgo, il nome del “Sole della Russia”, “L’apostolo della pace a qualunque costo”, risuona ogni giorno lungo la prospettiva Nevskij, il corso principale della grande e bella città.

Il santo guerriero di Novgorod barattò con cinico realismo politico l’indipendenza del suo popolo con l’esistenza stessa del suo regno e con il futuro della sua dinastia. Ma principi e prelati, mercanti e soldati, seppure obtorto collo, alla fine accettarono la pax mongola che consentì comunque alla Russia di rinascere dalle proprie macerie a partire dalla seconda metà del XIV secolo.

Virginia Valente

La battaglia dei ghiacci in un mosaico nella metropolitana di San Pietroburgo

Da leggere:
Catherine Durand-Cheynet, Alessandro Nevskij o il Sole della Russia, Salerno editrice, 1988.
Francis Conte, Gli Slavi. Le civiltà dell’Europa centrale e orientale, Einaudi, 1991.
Hans Kohn, Storia degli Slavi, Odoya, 2018.

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