Kusayla, l’eroe berbero

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Un ritratto di Kusayla, il condottiero berbero che nel VII secolo combatté contro l’invasione araba del Nordafrica, tratto dall’ultimo libro di Enzo Valentini “I grandi eroi del Medioevo” (Newton Compton Editori).

Una raccolta delle affascinanti storie di santi, guerrieri, esploratori e capitani di ventura che con le loro gesta hanno segnato l’Età di Mezzo.


Durante l’impero romano la fascia mediterranea dell’Africa era suddivisa in tre grandi province: Mauritania, Africa Proconsularis e Cyrenaica, corrispondenti approssimativamente a: Marocco settentrionale e Algeria occidentale, Algeria orientale e Tunisia, Libia del nord; l’Egitto era considerato una proprietà personale dell’imperatore.

La regione del Maghreb vista da satellite

Agli inizi del v secolo era stata invasa dai Vandali, una delle tante popolazioni germaniche che, intorno al II-III secolo, avevano superato il fiume Danubio, che segnava il limes orientale dell’Impero romano, ed erano penetrate al suo interno: dopo aver attraversato la Gallia e la Spagna, e superato lo stretto di Gibilterra, si erano scontrate ripetutamente con l’esercito imperiale fino a quando, nel 435, era stato firmato un accordo di tregua fra l’imperatore Valentiniano III e il re vandalo Genserico.

La guerra, ripresa dopo appena quattro anni di pace, ampliò ancor di più il regno africano dei Vandali, che divenne la base di partenza per numerose incursioni piratesche sulle coste della Sicilia e dell’Italia meridionale. I Vandali arrivarono a conquistare parte della Spagna, la Sardegna e le Baleari, fino a saccheggiare Roma nel 455.

Sarà solo nei primi decenni del secolo seguente che un esercito, al comando del generale Flavio Belisario, sconfiggerà il re vandalo Gelimero, riportando definitivamente l’Africa settentrionale sotto il controllo dell’Impero romano d’Oriente.

Durante gli scontri con i Vandali l’esercito imperiale aveva schierato reparti formati da elementi locali, tra cui anche appartenenti alle varie tribù berbere alleate di Roma, che in passato avevano fornito all’impero anche comandanti di valore, come Lusio Quieto (70 circa-118) e Quinto Lollio Urbico, poi governatore della Britannia fra il 139 e il 142.

Anche successivamente queste tribù parteciperanno agli scontri con i nuovi invasori mussulmani, provenienti da est, opponendo una forte resistenza, durante la quale si distinguerà un personaggio dai comportamenti politici-militari alquanto controversi, ma che non gli impediranno di diventare una figura leggendaria: Kusayla, o Koceila o Kasîla, secondo le differenti versioni.

Un’immagine di fantasia di Kusayla

Circa le sue origini gli storici sono divisi fra il considerarlo un nobile romano stabilitosi in Africa, o forse un berbero romanizzato, oppure un berbero a tutti gli effetti, come riferiscono le numerose fonti arabe a partire dal IX secolo. I primi supportano la loro teoria facendo discendere il suo nome dalla deformazione del romano Caecilius, molto diffuso in nord Africa, benché la radice lessicale delle consonanti sarebbe perfettamente ammissibile con la lingua libica o berbera.

Kusayla nacque intorno al 640 nella regione dell’Aurès, massiccio montagnoso nell’odierna Algeria orientale, da Lemzem (Aksil Oulmezem, in lingua berbera), principe della tribù Awerba, originaria del Marocco e appartenente alla tribù dei branès o baranes (berberi stanziali), una delle due grandi suddivisioni storiche del popolo berbero.

Come i suoi sudditi, anche Kusayla era cristiano e alleato dei bizantini, e come tale si trovò a fronteggiare l’avanzata mussulmana proveniente da est: da parte degli arabi erano stati già messi in atto un paio di tentativi di invasione dell’Africa settentrionale, ma si era trattato più che altro di scorrerie con scopo di razzia, che non un vero e proprio progetto di occupazione permanente.

Invece, fra il 669 e il 672, Uqba ibn Nafi’, compagno di Maometto e comandante dell’Egitto occidentale, con un esercito di diecimila cavalieri arabi e alcuni contingenti di egiziani raggiunse l’attuale Tunisia, dove fondò un accampamento militare, che fungesse da base stabile per ulteriori spostamenti verso occidente: si tratta dell’odierna città tunisina di Kairowan (letteralmente “campo, stazione carovaniera”), ora considerata la quarta città santa dell’Islam, dopo La Mecca, Medina e Gerusalemme.

Uqba, però, non riuscì a iniziare il suo piano perché nel 675 venne sostituito con Abu l-Muhajir, il quale inizialmente tentò di frazionare le forze avversarie, isolando i bizantini all’interno delle città e convertendo parte dei berberi all’Islam, non riuscendoci però completamente. Gli altri, riuniti sotto il comando di Kusayla, furono sconfitti alle sorgenti di Tlemcen, al confine tra Marocco e Algeria, e il loro signore venne catturato.

Abile diplomatico, così come lo descrivono le fonti arabe del tempo, dopo aver sottoscritto un accordo di pace, Muhajir avviò un processo di integrazione dei conquistatori arabi con le popolazioni locali, ottenendo tra i primi risultati la conversione dello stesso Kusayla e delle tribù berbere a lui sottomesse. Purtroppo questa situazione politica cambiò quando il comando dell’Ifrīqiya, così gli arabi chiamavano i nuovi territori conquistati, ritornò a Uqba ibn Nafi’ il quale, per prima cosa, fece arrestare sia Muhajir, per motivi sconosciuti, che Kusayla, forse per diffidenza verso un nemico che era diventato uno stretto collaboratore.

Evidentemente, però, alla base degli arresti, esisteva una motivazione più profonda, quasi una sorta di ostilità perché Uqba non fece rinchiudere in carcere i due prigionieri, ma li volle sempre con sé nei suoi spostamenti, mortificando in modo particolare Kusayla e assegnandogli i lavori più umili, come sgozzare un montone.

Muhajir avvertì inutilmente Uqba:

Cosa stai facendo? Ecco un uomo fra i più distinti del suo popolo, un uomo che fino a poco tempo fa era ancora politeista (così i mussulmani considerano i cristiani), e ti stai prendendo il capriccio di far nascere il rancore nel suo cuore! Io ti consiglio ora di fargli legare le mani dietro la schiena, altrimenti sarai vittima della sua perfidia.

La profezia di Muhajir doveva avverarsi di lì a poco perché Kusayla, che aveva mantenuto i contatti col suo luogotenente Sekerdîd ibn Roumi ibn Marezt e i suoi uomini, approfittò di un’occasione propizia per sfuggire alla prigionia e radunò tutti gli uomini a disposizione.

Muhajir, ancora una volta, suggerì a Uqba di attaccare subito i berberi, ma il generale decise invece di estendere le sue conquiste e, fra il 682 e il 683, si spostò ancora di più verso ovest, portando con sé Muhajir in catene; poiché al suo passaggio Kusayla arretrava senza prendere contatto con il nemico, i berberi dissero al loro capo: “Perché arretrare? Non siamo cinquemila?”. “Ogni giorno – rispose loro Kusayla –, “va ad aumentare il nostro numero e diminuire il suo: una gran parte delle sue forze l’ha già abbandonato, e io attendo, per attaccarlo, ch’egli ritorni verso l’Ifrīqiya”.

E infatti fu così che nel 683, mentre Uqba ritornava al suo accampamento di Kairowan, il suo esercito venne intercettato da quello berbero, sostenuto anche da reparti bizantini, nei pressi della fortezza romana di Tahuda, nel nord-est dell’Algeria. La cruenta battaglia, gli storici arabi parlano di pochissimi superstiti, ebbe come risultato il ripiegamento degli arabi verso est e l’abbandono del campo di Kairowan: generosamente Kusayla permise ai mussulmani, che si erano trasferiti con le famiglie nei territori ora riconquistati dai berberi, di continuare ad abitarvi e professare la fede islamica, anche perché nonostante tutto era rimasto mussulmano.

Nello scontro perse la vita anche Uqba, subito considerato un martire dai suoi, che venne sepolto a circa sei chilometri a sud di Tehouda e a venti da Biskra: sulla sua tomba fu in seguito eretta una moschea, Sidi Uqba, dalle pareti imbiancate e dall’architettura molto spartana.

Kusayla era divenuto così signore di un vasto territorio, con capitale Kairowan, che controllò per circa quattro anni, finché il califfo Abd al-Malik ibn Marwan non decise di risolvere una volta per tutte la questione berbera. La nuova campagna militare venne affidata al generale Zoheir-ibn-Cais che, tra il 686 e il 688 marciò verso l’Ifrīqiya, alla testa di un esercito numeroso.

Scrive Al Nuwayri nella sua Conquete de l’Afrique septentrionale, testo del 1852:

Koceila [Kusayla, ndr], avvisato del suo avvicinamento, partì da Kairowan con i berberi e raggiunse Mems (vicino a Sbiba, circa cento chilometri a ovest di Kairowan). Zoheir andò a prendere posizione nei dintorni di Kairowan e, dopo aver dato alle sue truppe tre giorni di riposo, marciò contro il nemico. Lo scontro fu terribile; da entrambe le parti ci furono perdite enormi, ma la giornata terminò con la morte di Koceila e di una gran numero dei suoi seguaci. I mussulmani inseguirono i fuggiaschi e uccisero tutti quelli che poterono raggiungere: i capi fra i Roum (romani, bizantini) e i berberi, i loro nobili e i loro principi, tutti morirono.

Nonostante la disfatta i berberi, benché privi della guida di Kusayla, riuscirono a reagire, respingendo ancora una volta gli arabi: lasciata una guarnigione a Kairowan, Zoheir si ritirò in Libia, ma fu sorpreso da uno sbarco bizantino e ucciso.

Contro le forze imperiali, che avevano ripreso il controllo dei porti principali e della fascia costiera, venne organizzato un’ulteriore spedizione militare, la settima, guidata da Hassan ibn Numan che, dopo aspri combattimenti con risultati alterni, conquistò Cartagine nel 698, lasciando ai bizantini poche fortezze isolate, la cui resistenza andava man mano affievolendosi.

Il ritratto di Kahina in un fumetto

Restavano sempre gli indomiti berberi, che questa volta avevano trovato l’erede di Kusayla nella regina della tribù berbera degli Jarawa, di religione ebraica: il suo nome era Dihya, ma era da tutti conosciuta col soprannome di Kahina, che in arabo in significa “maga, indovina”, perché

questa donna prediceva l’avvenire e tutto quello che annunciava, non mancava di arrivare

(Al-Nuwayri)

Kahina aveva già partecipato alle battaglie contro gli arabi al seguito di Kusayla, specialmente in quella del 683 a Tahuda, e alla morte del suo condottiero gli era subentrata nel comando della coalizione berbera con cui sei anni più tardi aveva sconfitto Hassan al wadi (fiume) Nīnī, nell’Algeria settentrionale, respingendolo in Tripolitania.

Nel 693 l’esercito arabo ritornò più numeroso e, per contrastare la sua avanzata, Kahina fece terra bruciata distruggendo tutte le coltivazioni, azione che le procurò l’abbandono da parte di alcune tribù alleate, che passarono al nemico. Nonostante ciò continuò la sua opposizione all’invasore ma, nel 703, ridotta nel numero dei seguaci e costretta allo scontro, venne sconfitta nei pressi di Tarfa, in Tunisia.

Alcuni storici raccontano che, per sfuggire agli inseguitori, si rifugiò tra le rovine dell’anfiteatro romano di El Jem, a nord di Sfax, dove venne raggiunta e uccisa. La sua testa mozzata venne inviata al califfo, mentre il corpo fu gettato in un pozzo: ancora oggi il luogo è chiamato Biʾr al-Kāhina, “il pozzo della Kahina”.

Con la morte di Kahina, da molti storici considerata una sorte di “Giovanna d’Arco d’Africa”, terminava la lunga resistenza berbera contro gli invasori arabi, iniziata circa trent’anni prima da Kusayla.

Enzo Valentini

Enzo Valentini
I grandi eroi del Medioevo
Newton Compton Editori, 2020
Per maggiori informazioni: Scheda del libro

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