Mille e non più mille

da

Una ironica previsione del tempo per il 21 dicembre 2012

L’ultima volta che doveva finire il mondo è stato il 21 dicembre 2012. Ce lo avevano promesso i Maya, e invece poi non se ne è fatto niente.

Prima di allora era stato nel 2000, ma erano tutti troppo occupati a festeggiare e anche quella volta non c’è stato verso di veder distrutti pianeta e razza umana, quantunque tra riscaldamento globale e terrorismo internazionale il nuovo millennio, qualche premessa, si è almeno premurato di crearla.

Tuttavia la più celebre non fine del mondo resta sempre quella dell’anno Mille: allora sì che folle immense si raccoglievano in preghiera e in penitenza in attesa che la mezzanotte incenerisse tutto; altro che fuochi d’artificio e dirette televisive.

Mano a mano che l’anno fatidico si avvicinava, il mondo si preparava a chiudere la propria storia: l’apocalittico conto alla rovescia impediva di fare progetti, e allora ci si concentrava unicamente sulla salvezza dell’anima, cercando di farsela trovare il più pulita possibile per il giorno del giudizio.

“Nel Medioevo era universale credenza che il mondo dovesse finire con l’Anno Mille dall’Incarnazione” afferma Jules Michelet nella sua Storia di Francia apparsa nel 1833. E prosegue: “In quei tempi di miracoli e leggende, il meraviglioso faceva parte della vita comune. L’esercito di Ottone aveva visto il sole scolorirsi e re Roberto, scomunicato per aver sposato la cugina, si era ritrovato tra le braccia un mostro, quando la regina aveva partorito. Il diavolo non si preoccupava neanche di nascondersi: non era stato forse visto presentarsi a Roma davanti a un papa mago? Fra le tante apparizioni, visioni, voci strane, miracoli di Dio e prodigi del demonio, chi poteva dire se la terra non si sarebbe dissolta un mattino al suono della tromba fatale?”.

Nessuno lavorava più nei campi mentre le chiese erano sempre più affollate. Negli ultimi mesi del 999, poi, il mondo si ferma del tutto: l’intera popolazione mondiale è riunita in preghiera ad aspettare la fine. Tutti sono lì che aspettano l’alba del tramonto dell’universo.

Compagnia in processione in una miniatura tratta dalla cronaca di Tournai di Gilles Li Muisis (sec. XIV)

Tutti tranne uno: papa Silvestro II, che proprio il 31 dicembre 999 emana una bolla in cui conferma vari privilegi ad un monastero tedesco, vincolandolo all’obbligo di pagare, in futuro, dodici denari ogni anno.
In futuro? Ma quale futuro? Proprio il papa, che dovrebbe conoscere meglio di ogni altro i progetti dell’Altissimo, è l’unico a non sapere non ci sarà alcun futuro?

No, in effetti, non è proprio l’unico: gli storici hanno ritrovato un documento notarile con cui, nello stesso periodo, viene stipulato un canone di affitto tra il monastero di Tortona e due fratelli agricoltori; l’abate si prende l’onere di affittare terreni di proprietà del monastero ai due fratelli per la durata di 29 anni.
Ventinove anni? O la Chiesa ci prende in giro o c’è qualcosa che non torna. Sarà mica che il terrore dell’anno Mille non è altro che l’ennesima bufala sul Medioevo confezionata nell’Ottocento, come il terrapiattismo, la cintura di castità e lo Ius primae noctis?
Secondo Georges Duby decisamente sì: i terrori dell’anno Mille sono solo frutto di una leggenda romantica: “Gli storici del XIX secolo hanno pensato bene di ricostruire l’attesa dell’anno Mille in termini di panico collettivo, falsando la storia”.

L’allegorico affresco del Trionfo della Morte (Maestro del Trionfo della Morte, sec. XV, Palermo, Galleria di Palazzo Abatellis)

“V’immaginate il levar del sole nel primo giorno dell’anno Mille? – dice da parte sua Giosuè Carducci nel 1868, all’inizio del suo primo discorso sullo svolgimento della letteratura nazionale – Questo fatto di tutte le mattine ricordate che fu quasi un miracolo, fu promessa di vita nuova, per le generazioni uscenti dal secolo decimo? E che stupore di gioia e che grido salì al cielo dalle turbe raccolte in gruppi silenziosi intorno a’ manieri feudali, accasciate e singhiozzanti nelle chiese tenebrose e nei chiostri, sparse con pallidi volti e sommessi mormoni per le piazze e alla campagna, quando il sole, eterno fonte di luce e di vita, si levò trionfale la mattina dell’anno Mille!”.

Eppure proprio nello stesso secolo arrivano anche le prime smentite: nel 1873, appena cinque anni dopo il discorso di Carducci, viene pubblicato in Francia il primo articolo che sfata il mito: I pretesi timori dell’anno Mille di Francois Pleine: un prete antimodernista impegnato a difendere la Chiesa dall’accusa di aver diffuso timori e superstizioni durante il Medioevo.

D’altra parte l’unica fonte medievale a citare la paura della fine del mondo è Abbone di Fleury, abate e grande intellettuale, che nel 998 racconta come in Francia girassero da anni predicatori che annunciavano l’apocalisse per la fine del secolo.

Silvestro II fu papa dal 999 al 1003. Grande studioso, contribuì a diffondere in Europa le conoscenze scientifiche arabe, in particolare al matematica e l’astronomia

Attenzione, però: religiosi che profetizzavano la fine del mondo ce ne sono sempre stati. Gesù Cristo stesso lo aveva fatto, mille anni prima, e già allora – secondo lui – il giorno del giudizio era vicino. Cosa si intenda per vicino, però, nessuno lo hai mai precisato e di certo nessun annuncio escatologico ha messo una data di scadenza alla fine del mondo.

Peraltro, nessuno nell’anno Mille poteva essere terrorizzato dalla fine del mondo nell’anno Mille per un motivo molto semplice: quasi nessuno nell’anno Mille sapeva di stare nell’anno Mille.
Il computo degli anni dall’incarnazione di Cristo viene introdotto intorno al 500 da Dionigi il piccolo, che calcola l’anno di nascita di Gesù nel 753 dalla fondazione di Roma.
Nel corso del Seicento l’era cristiana viene utilizzata in Italia nelle tavole di cicli pasquali e nelle cronache, per finire infine anche nei documenti pubblici e privati. Nel Settecento si trova negli atti dei sovrani franchi e inglesi, mentre solo nel corso del Novecento si impone in gran parte dell’Europa occidentale.
In Italia il primo atto pontificio datato con l’era cristiana risale al 968 mentre l’uso di contare gli anni anche “avanti Cristo” verrà adottato solo nel XVIII secolo.
Quando il Mille si avvicina, quindi, l’Anno Domini ha appena preso piede, pur restando affiancato – in tutti i documenti – da altre numerazioni tradizionali, come l’anno di regno del sovrano e quello di indizione, che indica la numerazione dell’anno all’interno di un ciclo di quindici.

Giosuè Carducci (1835-1907)

Non bisogna pensare dunque all’Anno del Signore come ad una sorta di ora legale, che una volta introdotta cambia la vita di tutti i cittadini, quanto piuttosto ad uno strumento tecnico utilizzato esclusivamente dagli addetti ai lavori, un po’ come potevano essere i computer negli anni Ottanta.
Il fatto quindi che il calendario secondo l’era cristiana – nel X secolo – era utilizzato in gran parte dell’Europa occidentale, non significa certo che l’intera popolazione fosse cosciente di essere nell’anno Mille. E forse non lo erano nemmeno, in qualche modo, quelli che lo scrivevano nei loro documenti.

Nella nostra epoca ossessionata dal tempo l’anno solare da semplice computo è diventato un valore assoluto: noi diciamo di “essere” nell’anno 2019, come se fosse l’anno a misurare la nostra vita e non il contrario. Nel Medioevo dicevano, piuttosto, “sono passati 1000 anni dall’incarnazione di Cristo”.

Insomma l’anno era uno strumento di misurazione, non un riferimento universale; all’uomo comune medievale il numero dell’anno interessava assai poco: il tempo medievale è un tempo ciclico, scandito dalle stagioni; per il contadino o il pastore gli anni sono più o meno tutti uguali e assegnargli un numero interessa solo a chi deve compilare cronache o documenti. Non a caso, se oggi sulle tombe si scrive la data di nascita e quella di morte, nelle lapidi antiche viene indicata piuttosto l’età del defunto, a volte in modo anche estremamente preciso (con anni, mesi e giorni).

Insomma nel X secolo ognuno si misurava il suo, di tempo – l’uomo di strada come il papa e l’imperatore – e poco poteva interessare l’idea di “essere arrivati” al fatidico anno Mille.

Ma dove nasce allora la leggenda?
Principalmente dal cosiddetto millenarismo; che, però, con l’anno Mille c’entra quanto le profezie dei Maya con la fine del mondo.

Nell’Apocalisse di Giovanni c’è scritto effettivamente: “Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della Terra”.

I dannati nel Giudizio universale di Luca Signorelli (1499-1502)

Anche una lettera di Pietro fa riferimento ai mille anni e Agostino per primo parla del “millennio” come il periodo che intercorre tra la venuta di Cristo e la fine del mondo; che non necessariamente, però, deve durare mille anni. Anche perché, come annota Abbone nel 998 criticando i predicatori che annunciano la fine del mondo: “Basta aprire la Bibbia, per constatare come Gesù abbia detto che mai si sarebbe saputo il giorno, né l’ora”.
Pur scrivendo appena due anni prima, dunque, Abbone dimostra di prendere l’imminente apocalisse anche meno seriamente di quanto avrebbero fatto gli uomini del XXI secolo per quella del 2012.

Insomma la predicazione escatologica – che attraversa tutta la storia cristiana – non ha nulla a che fare con le superstizioni legate all’anno Mille; inventate, guarda caso, alla fine del Quattrocento, quando gli umanisti rinnegano gli anni che li hanno preceduti descrivendoli come un’epoca buia in cui l’ignoranza e le superstizioni la facevano da padrone. L’attesa della fine del mondo viene concepita così quasi come una sorta di antitesi al Rinascimento, con gente ottenebrata dal senso della morte e dalle innumerevoli e insensate paure.

Tuttavia, se la fine del mondo non c’è stata, a leggere Sigeberto di Gembloux ci si era andati vicino: “Si videro in quei giorni – narra nella sua Chronographia – molti prodigi, uno spaventoso terremoto e una cometa dalla coda folgorante: la sua luce accesa e intensa giunse fin dentro le case e nel cielo si formò l’immagine di un serpente”.

Il diavolo raffigurato da Giotto di Bondone nel Giudizio universale afferscato nella Cappella degli Scrovegni (1306, Padova)

L’autore aveva trovato menzionato il terremoto negli Annali Leodienses, mentre degli altri particolari non si conosce la fonte. In ogni caso Sigeberto è nato nel 1030 e scrive all’inizio del XII secolo, quindi tutte le sue informazioni sono almeno di seconda mano. Eppure sarà proprio il suo testo la base utilizzata nel 1514 da Johann Heidenberg per costruire la leggenda del “Mille e non più Mille” negli Annali di Hirsau: “Nell’anno Mille dell’incarnazione violenti terremoti fecero tremare l’Europa intera, distruggendo edifici solidi e magnifici. Lo stesso anno apparve nel cielo un’orribile cometa. Molti al vederla credettero che fosse l’annunzio dell’ultimo giorno”.

Di terrore e attesa del giudizio, in realtà, la cronaca di Sigeberto non dice nulla. D’altra parte in nessun altra cronaca dell’anno Mille se ne fa il minimo accenno, dagli Annali di Benevento a quelli di Verdun. Rodolfo il Glabro, che nell’anno Mille aveva quindici anni, racconta una serie di sciagure che funestarono tutto il primo decennio: malattie, morti, terremoti e un incendio che danneggiò la basilica di San Pietro a Roma, ma non un singolo accenno alla fine del mondo. Negli Annali di Saint-Benoit-sur-Loire si dedica ampio spazio all’anno 1023 che viene segnalato per inondazioni insolite, un miraggio, la nascita di un mostro che i genitori affogano, ma sull’anno Mille neanche una parola.

Intanto, nell’anno 847 a Magonza si era diffusa la voce che ci fosse una donna capace di pronosticare con esattezza la fine del mondo. La fattucchiera attira folle di plebei e quando il vescovo decide di interrogarla personalmente, quella ammette di essersi inventata tutto per fare un po’ di soldi, peraltro istigata da un prete.

Eppure qualcosa, in quel momento cruciale della storia del mondo, deve pur essere successo: perché anche senza apocalisse e senza isterie collettive, l’anno Mille resta lo spartiacque tra l’alto e il basso Medioevo, tra l’epoca feudale – nel corso della quale la civiltà romana era stata distrutta dalle invasioni barbariche – e l’epoca dei Comuni, quella che sotto il profilo politico, artistico e scientifico ha traghettato il mondo nell’Epoca Moderna.

A questo proposito Saverio Bettinelli, gesuita e scrittore italiano, pubblica nel 1773 un’opera dal titolo Del Risorgimento d’Italia negli studi, nelle arti, e ne’ costumi dopo il Mille, dove rimarca il fatto che nel primo millennio, dal punto di vista culturale, non ci fosse praticamente nulla.

Le lingue, la letteratura, le nazioni d’Europa – notavano gli uomini del Rinascimento – sono nate tutte dopo l’anno Mille. E la risposta che si danno sta proprio nella paura: l’uomo aveva atteso il millennio pensando che fosse la fine, e invece aveva trovato l’inizio.

E così, da tramonto della Storia, l’anno Mille si era trasformato nell’alba di una nuova civiltà: la nostra.

Arnaldo Casali

Letture consigliate

George Duby, Mille e non più mille, Rizzoli, 1994
Edmond Poignon, La vita quotidiana dell’Anno Mille, Rizzoli, Milano 1989
Abbon de Fleury. Philosophie, sciences et comput autour de l’an mil in Cahiers du Centre d’Histoire des Sciences et des Philosophies Arabes et Médiévales, Parigi, 2006.
A. Barbero, C. Frugoni, Medioevo. Storia di voci, racconto di immagini, Laterza Editore, Roma-Bari 1999.
A. Ghisalberti, Filosofia Medievale. Da Sant’Agostino a San Tommaso, Giunti Editore, Firenze 2006.

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