Il terrore dell’anno Mille

da

Coppo di Marcovaldo

Coppo di Marcovaldo (1225 ca. – 1276 ca.), particolare del Giudizio Universale, Firenze, Battistero di San Giovanni

Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra.

Tutto cominciò con l’Apocalisse di Giovanni. Su questo passo (20, 7-8) sono basate le varie leggende sulla fine del mondo nell’anno Mille e, secoli dopo, nel Duemila.

In realtà la prima testimonianza di una previsione apocalittica, nell’era cristiana, l’abbiamo nel Vangelo di Matteo: “Vi sarà allora una tribolazione grande (…) il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, gli astri cadranno dal cielo e le potenze del cieli saranno sconvolte. In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che ciò accada” (Matteo, 24). Qui i tempi sono molto vicini. Poi però arriva la seconda lettera di Pietro: “Davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo (…). Il giorno del Signore verrà come un ladro: allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c’è in essa sarà distrutta”. Ecco che compare per la prima volta il numero 1000.

Partendo da queste premesse i primi cristiani ritennero imminente il ritorno di Cristo che, tuttavia, non era affatto visto come un evento terrificante: al contrario, era fortemente auspicato, tanto che una delle spiegazioni della tardiva stesura dei Vangeli è che i primi cristiani non ritenessero necessario trascrivere il messaggio di Cristo, dato che Egli stava per tornare.

Alcuni Padri della Chiesa, come Giustino e Tertulliano, attendevano l’instaurazione di questo millennio di pace e giustizia connessa al ritorno di Cristo e fino al IV secolo la fede nell’instaurazione del regno millenario è molto forte.

Poi Agostino interpreta il passo dell’Apocalisse in chiave simbolica e nel De civitate Dei sostiene che il Millennio non è altro che il periodo storico aperto dalla venuta di Cristo e destinato a concludersi con la fine del mondo (ma non necessariamente nell’anno Mille).

Miniatura del XII secolo porta Inferno copia

La porta dell’Inferno in una miniatura del XII secolo

Gioachino da Fiore, alla fine del XII secolo, nei suoi scritti divide il tempo in tre età: L’età del padre (coincidente con l’Antico testamento), quella del Figlio (da Gesù alla sua epoca) e quella – imminente – dello Spirito Santo, che sarebbe stata caratterizzata dalla venuta di un papa angelico (che molti identificarono in Celestino V, che quindi deluse tutte le aspettative dimettendosi) che si sarebbe conclusa con la venuta dell’Anticristo, identificato dai sostenitori di Celestino con il suo successore Bonifacio VIII.

Con l’approssimarsi del XXI secolo poi, le ansie millenaristiche, così come le profezie sulla fine del mondo, si sono fatte strada nuovamente, concentrandosi prima sul 1 gennaio 2000 e poi sul 21 dicembre 2012.

Tra l’inizio del 1000 e quello del 2000, però, la differenza è stata radicale: la notte del 31 dicembre 1999, con un grande festa durata 24 ore tutti i paesi del mondo hanno celebrato insieme l’arrivo dell’anno 2000, anche grazie a internet e ai collegamenti via satellite che hanno permesso di vedere – sin dalla sera prima – le immagini provenienti da paesi che erano entrati per primi nel nuovo millennio.

Ma, televisione a parte, mille anni prima le cose erano andate in modo ben diverso: quanta gente salutò effettivamente, al suo arrivo, l’anno mille? Per saperlo dobbiamo fare un viaggio nel tempo e ritrovarci in pieno Medioevo, allo scoccare della mezzanotte del primo gennaio 1000.

Innanzitutto bisogna dire che in pochissimi sapevano, in quel momento, di essere nell’anno Mille. L’era cristiana, infatti, introdotta da Dionigi il piccolo nel VI secolo, era utilizzata a quell’epoca soltanto nelle isole britanniche, in Francia e in Germania, mentre in Italia il primo atto pontificio datato con l’era cristiana risale al 968, vale a dire appena 32 anni prima della fatidica data.

Se nel 2000, poi, proprio per la sua universalità, quello dell’anno è un concetto vissuto nel quotidiano da ogni cittadino del pianeta, nell’XI secolo l’anno aveva soltanto la funzione di datare i documenti ed era quindi calcolato quasi esclusivamente dai notai e dagli addetti ai lavori, che tuttavia si limitavano ad affiancare l’era cristiana ai sistemi di datazione che restavano ancora privilegiati, vale a dire l’indizione (la posizione di un anno all’interno di un ciclo quindicinale) e l’anno di regno del re, dell’imperatore o del papa (a seconda della giurisdizione sotto la quale si trovava il notaio che redigeva il documento). L’anno di regno di un sovrano era in effetti il più semplice sistema di datazione, perché funzionale alla memoria dell’uomo e si ritrova in tutti i paesi del mondo (nei documenti pontifici è tutt’ora affiancato all’era cristiana).

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Una illustrazione dell’Inferno della fine del XII secolo, scolpita nella chiesa di Santa Maria Assunta a Fornovo di Taro

Tornando al nostro viaggio, accettiamo pure di trovarci in casa di un notaio che data i suoi documenti con l’era cristiana. Siamo però sicuri che per lui l’anno cominci – come per noi – il primo gennaio? Infatti anche quando l’era cristiana si diffuse in gran parte del mondo, per molti secoli si continuarono a utilizzare stili diversi. C’era infatti chi faceva partire l’anno con la nascita di Gesù il 25 dicembre (Stile della natività) e chi lo faceva cominciare il 25 marzo (Stile dell’incarnazione) cioè al concepimento. Poteva accadere quindi che a distanza di pochi chilometri (le stesse Pisa e Firenze usavano due stili diversi) ci si trovasse in due anni differenti, tanto che sul famoso Natale dell’800, durante la cui messa fu incoronato imperatore Carlo Magno, pesa il dubbio che si trattasse in realtà del 799 o dell’801.

Il nostro notaio, però, particolarmente lungimirante, è uno di quelli che utilizza, anziché quello della natività o dell’incarnazione, lo stile della circoncisione. La circoncisione veniva praticata otto giorni dopo la nascita del bambino, questo faceva quindi cominciare l’anno il primo gennaio (nei loro conti i romani e gli uomini del Medioevo, non conoscendo lo zero, consideravano sia il giorno di inizio che quello di fine, quindi dal 25 dicembre al 1 gennaio passano per loro otto giorni e non sette. È lo stesso motivo per cui si dice che Gesù è risorto dopo 3 giorni, mentre oggi diremmo che passò, in effetti, solo un giorno e mezzo. In realtà non è risorto dopo 3 giorni, ma il terzo giorno).

Arriviamo all’ora, infine: solo con la diffusione degli orologi meccanici (a partire dal XVI secolo) è “nata” la mezzanotte. I romani facevano cominciare il giorno all’alba, mentre secondo la liturgia cristiana il giorno inizia al tramonto del giorno prima (non a caso la messa vespertina del sabato è la stessa della domenica e San Francesco, morto la sera del 3 ottobre, viene celebrato il 4). Sia quindi che il nostro sposasse l’uso romano quanto che preferisse quello cristiano, è probabile che se allo scoccare della fatidica mezzanotte ci fossimo ritrovati in casa sua, lo avremmo sorpreso a dormire tranquillo nel suo letto.

Facile capire, quindi, come anche il concetto di “millenarismo”, con l’anno Mille, aveva in realtà poco a che fare. Non a caso la prima descrizione dei terrori dell’anno Mille compare alla fine del XV secolo, nel periodo in cui trionfa l’umanesimo.

L’idea che la luce della conoscenza irradiasse nuovamente le menti umane dopo il buio secolare dell’ignoranza della Media Aetas sedusse senza mezze misure i letterati e gli uomini di cultura del Quattrocento: la forza della loro nuova concezione della cultura classica e dello studio portò gli umanisti a disprezzare con foga tutto ciò che del passato non fosse né greco né romano ma “barbaro”. L’attesa della fine del mondo fu concepita così quasi come una sorta di antitesi al Rinascimento, con gente ottenebrata dal senso della morte e dalle innumerevoli e insensate paure.

Una tale concezione del fatidico anno è dovuta soprattutto alla mancanza di tutte le informazioni necessarie a trattare con chiarezza questo momento della storia europea. A malapena, infatti, l’anno mille – calcolato dall’incarnazione di Cristo secondo le assunzioni (errate) di Dionigi il piccolo – possiede un’esistenza ben definita. Ma ammesso che bisognasse attendere la fine del millennio, quale millenario doveva essere considerato, quello della nascita o quello della morte di Gesù? Quello dell’incarnazione o della redenzione?

Nel cristianesimo del secolo XI la Pasqua era assai più importante del Natale: intorno a questa festa si organizzava il ciclo liturgico, perché era la Pasqua a segnare l’inizio dell’anno. Anche per le persone era l’anniversario della morte, e non quello – spesso sconosciuto – della nascita, a essere oggetto di attenzione (ancora oggi i santi vengono festeggiati nel giorno della “Nascita alla vita eterna”).

L’era cristiana si faceva partire dall’incarnazione, ma quando l’anno mille passò senza che nulla di catastrofico fosse accaduto, l’attesa, quasi automaticamente, si rinviò al 1033. E ad ogni modo, cosa ci fu di vero in questi leggendari terrori del secondo millennio?

Illustri storici come Marc Bloch, Jacques Le Goff e George Duby hanno fatto molto per contestare la tradizione e ricondurla nei giusti ranghi. Di fatto, abbiamo una sola testimonianza medievale riguardo l’attesa dell’anno mille in termini di panico collettivo e da sola basta, in parte, a smentire le convenzioni.

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La carta dell’Inferno di Sandro Botticelli (1480-1495)

A parlare, nel Liber Apologeticus, è Abbone, abate di Saint-Bonoit-sur-Loiìre, che ricorda un episodio della sua giovinezza databile intorno al 975. “A proposito della fine del mondo, sentii predicare al popolo in una chiesa di Parigi che l’anticristo sarebbe venuto alla fine dell’anno mille e che il giudizio universale sarebbe seguito di poco”. Visto che Abbone scrive nel 998, aggiunge: “Questi preti sono pazzi. Basta aprire il testo sacro, La Bibbia, per constatare come Gesù abbia detto che mai si sarebbe saputo il giorno, né l’ora”.

È chiaro, naturalmente, che questi tempi erano comunque percorsi da un’attesa continua e inquieta: l’attesa della fine del mondo. Stava scritto nei Vangeli che un giorno Cristo sarebbe tornato, che i morti sarebbero resuscitati e soprattutto che Cristo stesso avrebbe operato una selezione trai buoni e i cattivi.

Ecco, allora, che la radice di tali ansie millenaristiche diventa una sola: la paura del giudizio finale, quella di non essere scelti per il Paradiso ma solo per i terribili supplizi dell’inferno. La fine del mondo per la gente del Medioevo corrispondeva al giudizio universale: non era della morte che avevano paura ma di ciò che sarebbe potuto seguire ad essa.

La pubblica lettura dell’Apocalisse accentuava tutti questi stati d’animo, ma in fondo dava loro anche la speranza: prevedeva infatti che il momento della tribolazione sarebbe stato seguito da un’epoca di pace meno difficile rispetto alla normale vita quotidiana.

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I dannati nel Giudizio universale di Luca Signorelli (1499-1502)

D’altro canto, dell’età medievale resta la sola cronaca di Sigeberto di Gembloux a parlare del Mille come di un anno tragico. “Si videro in quei giorni – narra il testo – molti prodigi, uno spaventoso terremoto e una cometa dalla coda folgorante: la sua luce accesa e intensa giunse fin dentro le case e nel cielo si formò l’immagine di un serpente”.

L’autore del testo aveva trovato nominato il terremoto negli Annali Leodienses, ma degli altri particolari non si conosce la fonte. In ogni caso Sigeberto scrive all’inizio del XII secolo di eventi accaduti nell’XI, quindi tutte le sue informazioni sono almeno di seconda mano, visto che era nato nel 1030.

Eppure è proprio sulla sua parola che venne a fondarsi la leggenda del “Mille e non più mille” di cui si trovano le prime tracce nel XVI secolo, quando vengono compilati gli Annali di Hirsau che accentuano il contenuto della Chronographia di Sigeberto: “Nell’anno mille dell’incarnazione violenti terremoti fecero tremare l’Europa intera, distruggendo edifici solidi e magnifici. Lo stesso anno apparve nel cielo un’orribile cometa. Molti al vederla credettero che fosse l’annunzio dell’ultimo giorno”.

Di terrori dell’anno Mille la cronaca di Sigeberto non diceva nulla: la leggenda ha quindi già allungato le sue dita sulla verità storica.
Se si prendono in esame altri scritti medievali si scopre che quasi tutti danno scarso rilievo all’anno Mille: esso passa senza alcuna menzione negli Annali di Benevento, in quelli di Verdun, in Rodolfo il Glabro.

Negli Annali di Saint-Benoit-sur-Loire si dedica ampio spazio all’anno 1023 che venne segnalato per inondazioni insolite, un miraggio, la nascita di un mostro che i genitori affogarono, ma sull’anno Mille neanche una parola.

L’unica cosa che risulta davvero chiara è che tutti questi segni di disordine naturale trovano la loro spiegazione nella mano di Dio, che chiedeva ai suoi fedeli il giusto pentimento perché – come dicono i tre vangeli sinottici, riportando il discorso escatologico di Gesù – “Vi saranno grandi terremoti e pestilenze e carestie: vi saranno anche fenomeni terribili e grandi segni nel cielo” (Luca 21), “Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti che compiranno segni e prodigi… Vegliate dunque perché non sapete in che giorno verrà il vostro Signore, perciò anche voi tenetevi pronti, perché nell’ora che non vi aspettate il Figlio dell’uomo verrà”. (Matteo, 24).

Arnaldo Casali

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