Umbria, la storia in piazza

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Le Tavole Iguvine conservate al museo civico di Gubbio

Il poeta Iosif Brodskij, premio Nobel per la letteratura, ci ha trasmesso una lapidaria riflessione: «Esistono posti dove la storia è ineluttabile. Posti dove la geografia provoca la storia». È il caso dell’Umbria, non a caso ricordata da un longevo claim pubblicitario come il «cuore verde d’Italia». Secondo Plinio gli Umbri erano «Gens antiquissima Italiae»: il popolo più antico della penisola. Genti favolose che secondo la leggenda erano addirittura sopravvissute al diluvio universale. I segni del passato possono diventare anche suoni, arcaici e potenti, se proviamo a leggere, anche a bassa voce, le parole impresse nel bronzo delle sette Tavole Iguvine, scoperte per caso a Gubbio nel 1444 e oggi conservate nel Museo del Palazzo dei Consoli. Il loro acquisto da parte del Comune di Gubbio, nel 1456, può di fatto essere considerato l’atto di nascita della “conservazione dei beni culturali”. Risalgono al III e al II secolo avanti Cristo ma riportano testi molto più antichi che prima di essere fusi nel bronzo venivano trasmessi oralmente o trascritti sulle pelli e su altri materiali deperibili. Scritte in lingua umbra, in alfabeto etrusco e latino, le Tavole Iguvine rappresentano un “unicum” nella storia dell’Occidente: sono considerate il più lungo e importante testo rituale dell’antichità classica, capace di aprire uno squarcio su una civiltà che ci ha lasciato una enorme e preziosa eredità, fatta solo di parole. Centinaia di termini, di radice indoeuropea, che con gli Umbri prima e poi grazie ai Sabini e ai Romani hanno attraversato, indenni, i secoli. Parole che declinate in varie lingue, usiamo ancora oggi: arbitro, spazio, pontefice, vino, vaso, famiglia, autorità, via, calle, cibo, popolo, casa, soglia, mattone, carne, tartufo…

Sfilata in costumi storici al Calendimaggio di Assisi

In Umbria, centro geografico della penisola e crocevia di culture diverse, la storia ha lasciato ovunque dei segni indelebili, dai raffinati capolavori dell’arte etrusca alle strade, ai ponti, gli anfiteatri e i monumenti della civiltà romana. Il passato è vivo e presente sotto l’Arco Etrusco a Perugia o nella piana di Orvieto dove sorgeva il Fanum Voltumnae, l’area sacra che ogni anno ospitava le assemblee della lega delle dodici principali città etrusche. E in altri luoghi di grande fascino: a Tuoro dove nel 217 a.C. Annibale travolse i Romani o nella boscosa Valnerina, culla del monachesimo in Occidente. Ostrogoti, Bizantini, Longobardi… Artisti e poeti, condottieri e capitani di ventura. E poi i grandi santi: Francesco, Benedetto, Chiara, Rita, Valentino… L’Umbria, crogiolo di popoli e di civiltà diverse, è la terra di piccole e grandi memorie. Non è un caso che condivida con la vicina Toscana il primato della regione italiana con la maggiore densità di feste della storia: eventi nati per la maggior parte dal lavoro di associazioni, pro-loco o comitati, che animano la vita di paesi e città. Uniti da una caratteristica: la ricerca delle proprie radici, di una identità collettiva. Nel segno della festa l’intera comunità si riconosce intorno a un rito e a simboli condivisi. Non importa se per poche ore o per qualche giorno. È un tempo sospeso, fra gioco e passione, agonismo e voglia di stare insieme, costruito grazie all’appassionato lavoro di centinaia di volontari, che coinvolgono in forma crescente la Regione, i Comuni, o gli altri enti locali. Appuntamenti molto diversi l’uno dall’altro. Legati a date cruciali nella memoria dei territori, alla devozione popolare o cerimonie propiziatorie della civiltà contadina. La storia in piazza abbraccia tutte le epoche storiche: dal mondo etrusco all’antica Roma, dal Medioevo al Rinascimento, dall’età barocca fino all’unità d’Italia. Il fenomeno rende labile il confine tra il ruolo degli attori e quello degli spettatori. Ognuno vive la festa dentro di sé ma anche insieme agli altri.

Il Palio dei Terzieri di Città della Pieve

Il racconto della storia attraversa l’Umbria. Allora forse non è un caso che il simbolo stesso della Regione siano i Ceri di Gubbio, la città dove ogni anno si celebra una delle feste religiose più antiche e spettacolari del mondo. I documenti storici attestano l’esistenza della Festa dei Ceri dal 1160, l’anno della morte di Ubaldo Baldassini, vescovo e patrono della città. Il 15 maggio è il vero spartiacque della vita quotidiana della città. La data regola gli impegni privati e anche quelli pubblici: «Lo facciamo dopo i Ceri…». L’ansia dell’attesa diventa un inno alla gioia di vivere, alla voglia di stare insieme che sostiene e insegue i tre grandi ceri portati in spalla lungo le vie della città. Al crepuscolo, annunciata dagli squilli di tromba, la festa di popolo diventa una corsa, forsennata e entusiasmante: le mute dei ceraioli si danno il cambio, tra spettacolari e pericolose “birate”. Un lungo brivido di emozioni e passione pervade il trafelato fiume di folla che accompagna la corsa finale sull’erto stradone che porta alla sommità del monte Ingino, fino alla basilica dove da quasi nove secoli riposa Sant’Ubaldo. Non ci sono vinti né vincitori: l’ordine di arrivo deve essere sempre lo stesso: prima S. Ubaldo, poi S. Giorgio e infine S. Antonio. La Festa dei Ceri è una grande metafora della vita: un alternarsi di pianti e risa, momenti di amore e di lotta, di fede negli altri e di delusioni. Quel che conta, alla fine della corsa, non è arrivare primi ma comportarsi bene, impegnarsi fino all’ultima stilla di sudore. E gestire con onore le pendute, le cadute o i distacchi. In Umbria, come accade in altri luoghi d’Italia, l’immersione nel passato richiama alla memoria dei protagonisti e anche degli spettatori l’immaginario di un’epoca che sembrava perduta: quella delle antiche feste storiche cittadine, incentrate su sfide legate alla suddivisione del territorio in contrade, terzieri, quartieri o gaite. Lo storico britannico Eric Hobsbawn nel libro L’invenzione della tradizione, pubblicato nel 1983, spiegava che molte tradizioni che ci appaiono antiche hanno spesso una origine recente. E che vi sono epoche particolari, caratterizzate da rapidi mutamenti, trasformazioni e conflitti in cui si affermano tradizioni destinate a trasmettersi da una generazione all’altra.

Scrivano medievale del Mercato delle Gaite di Bevagna

È quello che è avvenuto in tutta Italia e in Umbria, prima e dopo la seconda guerra mondiale ma soprattutto a partire dagli ultimi anni del Novecento. Grazie ad iniziative di piccoli gruppi di appassionati sono nate e poi cresciute in modo esponenziale rievocazioni storiche ormai così presenti nell’immaginario collettivo da diventare un tratto caratteristico dell’Umbria contemporanea. Centinaia di persone, gruppi ed associazioni si impegnano per far rivivere usi, riti, eventi e tradizioni che sono ormai espressione di un patrimonio immateriale da difendere e valorizzare. Eventi di alta qualità come le Gaite di Bevagna, il Calendimaggio di Assisi, la Corsa all’Anello di Narni e la Quintana di Foligno hanno fatto da apripista coinvolgendo nelle feste di piazza storici di professione, consulenti scientifici, scenografi, costumisti, registi, maestri d’armi e d’artigianato. Lo scopo è comune: la ricerca continua di una crescente fedeltà storica e filologica in ogni minimo aspetto della festa. Non solo “ri-evocatori” ma “ri-costruttori” di storia. Così l’esercito dei protagonisti della storia in piazza assolve anche a una importante funzione sociale: mobilita attività e competenze diverse: dalla produzione dei costumi e degli abiti storici, alle ricerche sui tessuti, sul cibo, sui colori, sugli oggetti, sulle armi e sugli accessori, fino al recupero dei giochi storici, delle danze e delle musiche. Gustav Mahler, il grande musicista austriaco che agli inizi del Novecento rivoluzionò il linguaggio musicale spiegava che la tradizione «è custodire il fuoco, non adorare le ceneri».

Federico Fioravanti

Tratto da: Umbria in piazza, le feste tra storia e gusto

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