All’ingresso di una fumosa taverna un uomo è inginocchiato a chiedere l’elemosina, tra l’indifferenza degli avventori: “Fate la carità! Sono povero, io! Sono povero!”.
Improvvisamente una freccia si conficca a terra, proprio davanti alla porta della taverna. Subito con un balzo arriva un uomo di verde vestito: “Sono Robin Hood: rubo ai ricchi per dare ai poveri” dice al mendicante, consegnandogli un sacco pieno di monete d’oro; poi gli dà una pacca sulla spalla e se ne va.
Il mendicante, incredulo e colmo di gioia, corre a casa gridando: “Pina! Guarda qua! Guarda quanti soldi! Siamo ricchi! Siamo ricchi!”.
Ha appena fatto in tempo a rovesciare il prezioso bottino sul tavolo, quando nel legno si conficca una freccia. Subito con un balzo arriva l’uomo di verde vestito: “Sono Robin Hood: rubo ai ricchi per dare ai poveri”; raccoglie le monete, riprende il sacco, dà un’altra pacca sulla spalla al poveretto e se ne va.
Il nostro si accascia disperato: “Io nemmeno per venti minuti!”.
Lo sketch inserito da Paolo Villaggio nel film Superfantozzi – uscito nel 1985 e interpretato con Luc Merenda – riassume in un minuto e mezzo oltre un secolo di luoghi comuni con cui il cinema ha raccontato il brigante di Sherwood, contribuendo non solo ad accrescerne il mito ma anche a delinearne lo stesso profilo.
A differenza di tutti i suoi colleghi eroi, infatti, Robin Hood non è né un personaggio storico né un personaggio letterario, ma una vera e propria leggenda in evoluzione, che dal Medioevo ad oggi non ha mai smesso di arricchirsi di dettagli e sfornare personaggi. La letteratura prima e il cinema poi, si sono infatti potuti permettere di rileggere la storia del fuorilegge inglese in mille modi diversi senza rischiare di tradirne l’identità ma – al contrario – contribuendo a svilupparla.
Le origini storiche Una figura realmente esistita, all’origine della leggenda, probabilmente c’è, ma si tratta di un semplice bandito medievale senza alcuna ambizione romantica: insomma il vero Robyn Hood rubava ai ricchi senza finalità benefiche e senza spasimi d’amore per una bella damigella.
Se si sia trattato di un volgare criminale che si nascondeva nella foresta o di un nobile decaduto a capo di una qualche rivolta popolare, questo non è mai stato chiarito. Inizialmente Robin è descritto come un mercante o un contadino, e solo successivamente diventa un nobile identificato con Earl di Huntington, Robert di Loksley o Robert Fitz Ooth.
Secondo alcune teorie la sua origine è da rintracciare piuttosto nel culto di una divinità della foresta che aveva assunto la forma di una volpe, e in questo caso l’adattamento cinematografico più fedele – paradossalmente – sarebbe il cartone animato della Walt Disney che vede proprio una volpe vestire i panni del giustiziere.
Una tomba con il suo nome esiste, effettivamente, a Loxley nello Yorkshire, ma a complicare le cose ci sono le datazioni molto contrastanti tra loro.
Ad ogni modo i primi documenti in cui compare il suo nome sono una pergamena della Corte d’Assise dello Yorkshire risalente al 1225 in cui si parla di “Robin Hood, fuorilegge” e un testamento datato al 1248 e intestato a “Il conte Robin di Huntingdon”.
Il mito del conte divenuto fuorilegge, tuttavia, si forma in pochissimo tempo: già nel 1377, infatti, il chierico inglese William Langland afferma di conoscere “le ballate di Robin Hood”.
Nello Scottish Chronicon, iniziato da John Fordun proprio nel 1377 e completato dal suo allievo Walter Bower nel 1450, leggiamo: “In quel periodo, tra coloro che erano stati privati dei loro possedimenti si sollevò il celebre bandito Robin Hood, (con Little John e i loro compagni) le cui gesta il volgo si delizia di celebrare in commedie e tragedie, mentre le ballate sulle sue avventure cantate da giullari e menestrelli sono preferite a tutte le altre”.
Bisogna aspettare però il 1510 per trovare il primo racconto completo ancora esistente – Le gesta di Robin Hood – in cui il personaggio inizia a delinearsi come ladro gentiluomo e giustiziere a servizio di Riccardo cuor di Leone, contro il fratello usurpatore Giovanni Senzaterra.
In realtà, ammesso che Robin Hood sia stato davvero un aristocratico trasformatosi in giustiziere, di certo non ha mai combattuto al fianco di Riccardo cuor di Leone mentre ha sicuramente agito durante il regno di Giovanni.
Il conflitto tra Riccardo e Giovanni è invece rigorosamente storico: nel 1191 mentre Riccardo (che dei suoi 10 anni di regno non ne ha passato nemmeno uno in Inghilterra) cercava di conquistare Gerusalemme, Giovanni complottava contro di lui con il re di Francia Filippo Augusto. Tornato vittorioso dalla crociata (dove aveva concluso con il Saldino una tregua di “tre anni, tre mesi, tre giorni, tre ore”) Riccardo era stato catturato e tenuto prigioniero dall’imperatore, che aveva chiesto un riscatto di 100mila sterline (il triplo del reddito annuale della corona inglese) raccolte dalla madre Eleonora d’Aquitania attraverso salatissime tasse e requisizioni, mentre Giovanni e Filippo avevano offerto un contro-riscatto di 80mila marchi per tenerlo prigioniero.
Il 4 febbraio 1194 Riccardo era stato rilasciato e Filippo aveva inviato un messaggio a Giovanni Senzaterra: “Guarda a te stesso, il diavolo è libero”.
Dopo aver cercato di farsi riconoscere come re diffondendo la falsa notizia della morte del fratello, all’usurpatore non era restato che fuggirsene in Francia.
Di fatto, però, Riccardo non era mai tornato a regnare in Inghilterra: arrivato in Normandia alla fine del 1194 si era accorto che Filippo II Augusto, approfittando della sua assenza, aveva cercato di sottrargli diversi feudi, e aveva reagito immediatamente combattendo per cinque anni contro il re di Francia.
Durante l’assedio di un castello ribelle – quello di Châlus-Chabrol – il 25 marzo 1199, mentre camminava intorno alle mura privo della sua cotta di maglia, era stato colpito alla spalla da un balestriere che stava osservando divertito perché usava come scudo una padella.
Il re era tornato alla tenda convinto che la ferita non fosse grave, e invece era morto dopo dodici giorni di agonia, lasciando al fratello traditore una corona sommersa dai debiti.
Per sanarli Giovanni Senzaterra, durante il suo regno (1199-1216) aveva elevato l’imposizione fiscale costringendo molte persone alla miseria e al brigantaggio, soprattutto con la “Legge della Foresta” che accordava alla corte reale un accesso esclusivo alle vaste distese di territori di caccia e di legname da ardere e prevedeva punizioni spietate per i contravventori.
Proprio i forti conflitti con la nobiltà inglese, peraltro, avrebbero costretto Giovanni a firmare la Magna Charta Libertatum: il documento che, limitando il potere del re a favore dei baroni, viene considerato l’atto di nascita della monarchia costituzionale.
Robin Hood nella letteratura Sin dai testi più antichi compaiono il fido Little John e il perfido sceriffo di Nottingham, mentre lady Marian fa la sua apparizione alla fine del Cinquecento in tre drammi teatrali rappresentati soprattutto in occasione della festa di Capodanno: Robin Hood ed il vasaio, Robin Hood ed il frate e Robin Hood e lo sceriffo, ma ne troviamo traccia anche in un dramma francese del 1280: Le jeu de Robin et Marion.
Il primo grande artista a dare dignità letteraria all’arciere di Sherwood, tuttavia, è Walter Scott, che nel 1819 lo inserisce tra i personaggi del suo capolavoro: Ivanohe, il primo romanzo storico della letteratura moderna, che ispirerà – tra gli altri – Alessandro Manzoni per I promessi sposi.
Ambientato alla fine del XII secolo, Ivanhoe è incentrato sulla lotta tra sassoni e normanni: anche se Robin Hood non è il protagonista del romanzo e non figura nemmeno con il suo nome tradizionale (quanto piuttosto come sir Robert di Loxley) è proprio Scott a fissare i canoni della tradizione moderna.
In Ivanhoe Robin è infatti un nobile sassone in lotta contro l’usurpatore Giovanni Senzaterra, che approfitta dell’assenza del fratello per opprimere il popolo inglese.
Riccardo Cuor di Leone, da parte sua, torna dalle crociate sotto le mentite spoglie del Cavaliere Nero e quando si riprende il trono premia la fedeltà di Robert, che definisce “re dei fuorilegge e principe dei bravi ragazzi!”.
Cinquant’anni più tardi ad occuparsi del nostro eroe, dall’altra parte della Manica, è un altro grande scrittore; anche se decisamente più commerciale e meno accurato di Scott.
Quando Alexandre Dumas muore nel 1870 ha raccontato praticamente tutti i grandi eroi della storia e della leggenda: dai Tre Moschettieri al Conte di Montecristo, dalla Regina Margot ai Borgia, da Napoleone a Giovanna d’Arco; vengono pubblicati postumi, invece, i due romanzi sull’aristocratico bandito: Robin Hood, principe dei ladri e Robin Hood il proscritto, che escono rispettivamente nel 1872 e nel 1873 e sigillano definitivamente la versione letteraria del personaggio come nobile sassone che, privato delle sue terre dallo sceriffo di Notthingam, si rifugia nella foresta di Sherwood con frate Tuck e Little John combattendo contro i soprusi del governo.
Mancano appena vent’anni alla nascita del cinema, che darà un contributo fondamentale allo sviluppo del mito, anche perché a vestirne i panni saranno tutti i più grandi divi del cinema d’azione: da Zorro a James Bond, dal generale Custer a Balla coi lupi, dal Gladiatore a Elton John.
Robin Hood al cinema La sua prima traccia cinematografica Robin Hood la lascia, nel 1908, grazie al regista inglese Percy Stow, che gira Robin Hood and his Merry Men.
Ad esso seguiranno altri cinque film tra il 1912 e il 1913 prima che – nel 1922 – arrivi il primo grande kolossal destinato a segnare la storia del cinema e dell’immaginario collettivo: è Robin Hood di Allan Dwan, scritto, prodotto e interpretato dal più celebre attore del cinema d’azione dell’epoca del muto.
Douglas Fairbanks, il primo kolossal Nato nel 1883 e morto nel 1939, Fairbanks è stato lanciato da David W. Griffith (con cui aveva girato anche il capolavoro Intolerance) ed è arrivato all’eroe di Sherwood dopo aver interpretato i primi film western e I Tre Moschettieri e aver lanciato il mito di Zorro con il film del 1920, il cui successo spingerà il suo ideatore – Johnston McCulley – a dedicargli molti romanzi.
Fairbanks è sposato con la più grande diva del momento – Mary Pickford (che ha ispirato anche È nata una stella) – e ha fondato la casa di produzione United Artists con la stessa Pickford, Griffith e Charlie Chaplin (“I matti hanno rubato le chiavi del manicomio” commentarono i manager delle major).
Il suo Robin Hood – che riprende alcuni passaggi dei romanzi di Dumas – è un eroe mascherato alla Zorro (ma al posto della maschera indossa una barbetta) dietro cui si nasconde il Conte di Huntingdon, e che torna dalla crociata per salvare l’amata Marian, mentre il finale – con il ritorno a sorpresa di re Riccardo – segue la versione di Scott.
Fin dal bambino Fairbanks sognava di interpretare il formidabile arciere e per il suo capolavoro non bada a spese, utilizzando migliaia di figuranti e centinaia di cavalli e ricostruendo il castello quasi a grandezza naturale, tanto da farne la più grande scenografia cinematografica per quasi ottant’anni, record superato solo da Titanic nel 1998.
Visitando il mastodontico set, Charlie Chaplin commenta che sarebbe perfetto per un film comico: “Vedrei aprirsi solennemente il ponte levatoio, per poi far uscire un servo che lascia una ciotola di latte per il gatto, e poi rientra”.
Tra gli anni ’20 e ’30 usciranno altre 14 opere su Robin Hood tra corti e lungometraggi, ma bisogna aspettare il 1938 perché arrivi il primo film sonoro capace di segnare la storia del cinema.
Errol Flynn e Michael Curtiz: il modello La leggenda di Robin Hood diretto da William Keighley e Michael Curtiz (leggendario regista di Casablanca) è tra i primissimi film girati a colori e vede protagonista Errol Flynn.
Scapestrato e seduttore, il divo australiano prima di diventare attore è stato cuoco, poliziotto, contadino, giornalista, pescatore di perle, cercatore d’oro e pugile. Alcolista impenitente, morirà a 50 anni e chiederà di essere sepolto con 12 bottiglie di whiskey per timore di dover passare la vita eterna senza alcool.
Nel cinema ha debuttato con gli ammutinati del Bounty e tra i suoi film figurano Il principe e il povero, Il conte di Essex, La storia del generale Custer, Le avventure di don Giovanni e La saga dei Forsyte mentre in Furia d’amare del 1958 interpreterà il collega John Barrymore, rampollo della più celebre famiglia di attori americani, nonché nonno di Drew, la bambina di E.T. divenuta in seguito una delle Charlie’s Angels.
Ad affiancare Flynn nel Robin Hood di Curtiz ci sono Olivia de Havilland (la Melania di Via col vento, oggi centenaria) nel ruolo di Lady Marian, Basil Rathborne (il più celebre Sherlock Holmes del cinema) in quelli del rivale Guy, mentre Little John è Allan Hale: lo stesso attore che l’aveva interpretato 16 anni prima con Fairbanks e che nel 1950 tornerà a vestire una terza volta i panni del più fedele compagno di Robin.
È proprio questo film a fissare – in qualche modo – il canone cinematografico destinato a restare immutato per quasi settant’anni.
Inghilterra, anno 1191: re Riccardo Cuor di Leone viene fatto prigioniero in Terra Santa durante le crociate. In sua assenza, suo fratello Giovanni Senzaterra assume la reggenza della nazione e instaura un regime di potere assoluto da parte dei ricchi e dei nobili, i quali soverchiano la gente comune con le tasse e con la prepotenza.
Robin Hood, il capo dei ribelli legittimisti, giura fedeltà a re Riccardo insieme ai suoi compagni e muove una lotta spietata contro l’usurpatore Giovanni e il malevolo sceriffo di Nottingham. Con la sua banda ruba il denaro agli esattori delle tasse restituendolo alla popolazione; nello stesso tempo, cerca di accumulare le ricchezze necessarie per pagare il riscatto che i carcerieri di Riccardo richiedono per la sua liberazione.
Lady Marian, la dama privata del re, si innamora di Robin, dopo aver inizialmente parteggiato per il principe Giovanni, del quale ha scoperto l’intenzione di assassinare il fratello appena questi tornerà in patria.
Durante un torneo per arcieri, Robin viene catturato e condannato a morte per alto tradimento ma riesce a evadere prima che venga eseguita la sentenza. Pochi giorni dopo la sua fuga incontra re Riccardo, tornato in Inghilterra in gran segreto, e lo salva dall’agguato tesogli da Giovanni, che viene arrestato e esiliato, mentre Hood ottiene il titolo di conte di Locksley e Huntington, la libertà per i suoi uomini e il permesso di sposare lady Marian.
Batman, piccoli Robin e gli italiani Negli anni successivi è tutto un fiorire di film (generalmente a basso costo) sull’arciere inglese: tra gli anni ’50 e gli anni ’60 si contano 2 serie televisive e 6 opere cinematografiche, tra cui Viva Robin Hood, seguito apocrifo del film con Errol Flynn incentrato sul figlio del bandito, Robin Hood e i compagni della foresta del 1952 (prodotto da Walt Disney e girato nella vera foresta di Sherwood), Gli arcieri di Sherwood diretto nel 1960 dal maestro del cinema horror Terence Fisher (La maschera di Frankenstein, Il fantasma dell’opera, Dracula il vampiro, Il mastino dei Baskerville e La valle del terrore tratti da Sherlock Holmes), e gli italiani Robin Hood e i pirati di Giorgio Simonelli (1960) e Il trionfo di Robin Hood di Umberto Lenzi del 1962.
Nel frattempo, Robin ha ispirato anche un supereroe americano: nel 1940, infatti, ha debuttato sulla rivista Detective Comics il giovane assistente di Batman, che ha ripreso il nome e il look del giustiziere inglese.
Ad inaugurare gli anni ’70 del bandito più buono della storia è un altro film italiano: L’arciere di fuoco di Giorgio Ferroni, con protagonista Giuliano Gemma, che si era formato nei generi peplum e western (tra i titoli da lui interpretati Messalina, venere imperatrice, Arrivano i titani, Ercole contro i figli del sole, Una pistola per Ringo e Un dollaro bucato, mentre nel 1985 avrebbe vestito i panni di Tex, il più celebre cowboy italiano).
Il classico della Walt Disney: Robin diventa una volpe Nel 1973 arriva l’immancabile tocco di Walt Disney: il padre dei cartoni animati, che si era cimentato già con grandi classici come Biancaneve, Cenerentola, Pinocchio, Alice nel paese delle meraviglie, Peter Pan, Il libro della giungla e La spada nella roccia, non poteva certo sfuggire al confronto con il più grande eroe del Novecento cinematografico.
In realtà Robin Hood è il primo film della Disney in cui Walt non abbia messo mano, visto che la produzione è iniziata dopo la sua morte; è anche il primo in cui i personaggi umani vengono interpretati da animali antropomorfi: Robin è una volpe, Little John un orso, Giovanni è un leone e lo sceriffo di Nottingham un lupo.
La divinità della foresta, tuttavia, c’entra poco: il vero motivo è che l’idea originaria era di girare un film su Renart la volpe, il protagonista della raccolta di racconti medievali francesi Roman de Renart, compilata tra il XII e il XIII secolo, nei quali gli animali agiscono al posto degli esseri umani, interpretando il topos letterario del mondo alla rovescia.
Il film non era stato concepito nemmeno con l’idea di farne un grande classico come le opere che l’avevano preceduto (e quelle che l’avrebbero seguito, come Winnie The Pooh, La sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladdin o Il gobbo di Notre Dame): è stato pensato infatti come un prodotto di serie B e gli è stato assegnato un budget talmente basso che gli animatori hanno dovuto riciclare molte scene da film precedenti come Gli Aristogatti e Biancaneve, musiche e suoni da Cenerentola e La bella addormentata, e le animazioni di due personaggi vengono da Il libro della giungla (gli orsi Baloo e Little John e i serpenti Kaa e Sir Biss). Addirittura l’abito di Robin Hood è copiato da quello di Peter Pan.
Nonostante questo Robin Hood diventa uno dei classici Disney preferiti del pubblico e ottiene una nomination all’Oscar.
Sean Connery e Audrey Hepburn: il “sequel” Tre anni dopo il cartone animato della Disney, nel 1976 esce il film più atipico sul giustiziere di Sherwood: Robin e Marian di Richard Lester, con la coppia formata da Sean Connery e Audrey Hepburn, affiancati da Robert Shaw (che reduce da Lo squalo interpreta lo sceriffo di Nottingham), Richard Harris (Riccardo Cuor di Leone), Denholm Elliott e Ian Holm nei panni di Giovanni Senzaterra.
Lester ha debuttato negli anni ’60 come regista dei film dei Beatles (A Hard Day’s Night e Help!), è reduce dal successo de I tre moschettieri (1973 e 1974, un terzo episodio lo avrebbe poi diretto nel 1989) e di lì a poco prenderà il posto di Richard Donner in Superman II e Superman III.
Nonostante sia specializzato nelle commedie e dia una forte impronta ironica anche ai film d’azione, il suo Robin Hood è un’opera crepuscolare e malinconica, con i due protagonisti in età decisamente matura (entrambi gli attori vanno per i cinquanta) e un’impostazione della trama che cambia completamente direzione rispetto a quella tradizionale, presentandosi come una sorta di sequel della storia classica, incentrato sugli ultimi anni di vita di Robin Hood.
Quando Riccardo Cuor di Leone muore durante l’assedio del castello di Châlus-Chabrol, Robin – che l’ha seguito nella guerra contro la Francia – torna in Inghilterra dopo vent’anni di assenza; nella foresta di Sherwood ritrova i vecchi compagni mentre Lady Marian si è chiusa in convento diventando monaca. Il nostro eroe cerca così di ritrovare la sua amata e nel frattempo ricomincia la sua lotta contro lo sceriffo di Nottingham.
La storia avrà un epilogo tragico e romanticissimo. E se la vita claustrale di Marian era già presente in alcune versioni precedenti, il finale, con Robin che lancia una freccia fuori dalla finestra della camera dove sta morendo per indicare dove dovrà essere sepolto il suo corpo, si rifà ad una delle leggende più antiche, basata su un’iscrizione presente nell’antica canonica di Kirklees, dove – a 550 metri dalla finestra della camera dove Robin sarebbe morto – esiste un’antica tomba, la cui lapide reca incisa che essa sorge nel punto esatto in cui la freccia scoccata impattò il terreno, e riporta come data di morte dell’eroe il 21 dicembre 1247. E pazienza se la tomba risale in realtà alla seconda metà del Settecento e non ha mai contenuto resti umani.
Kevin Costner: il Robin “definitivo” Dopo il trascurabile film televisivo del 1991 Robin Hood: la leggenda con un protagonista improbabile (Patrick Bergin, celebre per il ruolo del cattivissimo marito di Julia Roberts in A letto con il nemico) ma una giovane Uma Thurman nei panni di Lady Marian, l’anno successivo arriva in tutto il mondo il film destinato a diventare la versione “definitiva” del classico di Scott e Dumas.
Robin Hood: principe dei ladri di Kevin Reynolds vede Kevin Costner – reduce dai 7 Oscar vinti con Balla coi lupi – raccogliere l’eredità di Douglas Fairbanks ed Errol Flynn in un film che, rilanciando la trama classica, ne aggiorna l’immagine eliminando tutti gli stereotipi che si sono andati stratificando nel corso degli anni: i baffetti, la calzamaglia, la tunica verde e il cappello a punta con la piuma.
Robin di Locksley è un nobile inglese reduce della Terza crociata in Terra Santa, recluso in una prigione di Gerusalemme insieme all’amico d’infanzia Peter Dubois e al saraceno Azeem. Nel 1194 i tre riescono a fuggire ma Peter viene ucciso e in punto di morte supplica Robin di prendersi cura della sorella Marian. Nel frattempo in Inghilterra, Lord Locksley, padre di Robin, viene attaccato ed ucciso nella sua dimora dallo sceriffo di Nottingham, per essersi rifiutato di unirsi alla congiura contro re Riccardo.
Tornato in Inghilterra insieme ad Azeem, Robert trova il castello di famiglia arso e il corpo del padre sbranato dai corvi. Rifugiatosi con Marian nella foresta di Sherwood, viene aggredito da una banda di fuorilegge ribelli al comando di Little John, e – unitosi al gruppo – ne diventa il capo, iniziando una guerra senza quartiere contro lo sceriffo di Nottingham (che arriva ad incendiare la foresta e a rapire Marian) terminata con la rivolta dell’intera popolazione e la morte del perfido sceriffo.
Quando Robin e Marian stanno finalmente per sposarsi, arriva a sorpresa lo stesso Riccardo Cuor di Leone, che benedice l’unione ringraziando Robin dei servigi resi all’Inghilterra.
Il film si avvale di un cast grandioso di cui fanno parte anche Morgan Freeman, Alan Rickman, Michael Wincott, Christian Slater (reso celebre da Il nome della rosa), Mary Elisabeth Mastrantonio nel ruolo di Lady Marian, e lo stesso Sean Connery, che torna a Sherwood quindici anni dopo per interpretare Riccardo Cuor di Leone.
Reynolds (che si occuperà ancora di Medioevo nel 2006 con Tristano e Isotta) introduce personaggi nuovi come il saraceno Azeem e dà alle avventure del fuorilegge una chiave dichiaratamente romantica, bene espressa dalla colonna sonora dominata dalla ballata Everything I do I do it for you di Bryan Adams.
Nonostante il parere discordante della critica (in molti non perdonano a Costner il suo accento americano) il film segna la chiusura di un ciclo, ponendosi di fatto come ultima e insuperata trasposizione della leggenda classica.
Se nessuno proverà mai a farne un remake, Mel Brooks ne fa subito una parodia: il più celebre regista comico di Hollywood (autore, tra l’altro, di La pazza storia del mondo che aveva ispirato Superfantozzi e del leggendario Frankenstein Junior) ha dedicato all’eroe già una serie televisiva nel 1975: Le rocambolesche avventure di Robin Hood contro l’odioso sceriffo con Dick Gautier. Nel 1993 per il suo penultimo film prende in giro Reynolds e Costner con Robin Hood: uomo in calzamaglia interpretato da Cary Elwes, che vede nei panni di re Riccardo Patrick Stewart, celebre protagonista della nuova serie di Star Trek e futuro professor X nella saga degli X-Men.
Russell Crowe e Ridley Scott: la versione filologica Passano ben diciotto anni prima che Hollywood torni ad occuparsi di Robin Hood: nessuno ha intenzione di sfidare la versione di Reynods & Costner con l’ennesimo remake, ma nel 2007 gli Universal Studios si trovano tra le mani una sceneggiatura particolarmente originale, che riprende la leggenda invertendo i ruoli: il protagonista, infatti, questa volta è lo sceriffo di Nottingham, tutore della legge innamorato di Lady Marian, mentre l’antagonista è il criminale della foresta che vuole portargliela via.
A prendere le redini del nuovo progetto è Ridley Scott. Entrato nella storia del cinema all’inizio degli anni ’80 con Alien e Blade Runner, il settantenne regista britannico non ha mai perso il gusto per le grandi sfide: ha diretto Thelma & Louise e Soldato Jane, girato film su Cristoforo Colombo, Hannibal Lecter e Mosé, si è già cimentato con il Medioevo per Le crociate e nel 2000 ha riportato al cinema l’antica Roma con Il gladiatore, regalando un Oscar a Russell Crowe.
Ed è proprio Crowe ad essere chiamato a vestire i panni del protagonista. Come Costner anche l’attore neozelandese, pur essendo celebre soprattutto per film d’azione, si è cimentato con ruoli più introspettivi, come quelli interpretati in Insider di Michael Mann (film di inchiesta sull’industria del tabacco) e A Beautiful Mind di Ron Howard sul matematico schizofrenico John Nash.
Durante la fase di preparazione, però, cambia tutto: i produttori temono che questa radicale inversione di marcia rispetto alla tradizione possa essere deleteria: così la sceneggiatura viene stravolta in corso d’opera, il film cambia titolo da Nottingham a Robin Hood, e cambia anche il protagonista pur restando l’interprete: Crowe passa così dal ruolo dello sceriffo a quello del fuorilegge, lasciando la parte a Mattew McFydan.
Ad arricchire il cast arrivano poi l’ex regina Elisabetta I due volte premio Oscar Cate Blanchett nella parte di Lady Marian, Max Von Sydow, William Hurt e Oscar Isaac nei panni di Giovanni Senzaterra, mentre Riccardo Cuor di Leone è interpretato da Danny Huston.
Nonostante la “normalizzazione” rispetto al progetto originario, il film di Ridley Scott mantiene un approccio molto innovativo, discostandosi dal racconto tradizionale e reinventando la leggenda con una maggiore adesione alla realtà storica.
Robin Longstride, infatti, stavolta non è affatto un nobile ma un soldato semplice che segue alla crociata – con assai scarsa convinzione – re Riccardo. Il quale, da parte sua, non tornerà mai in Inghilterra perché muore durante l’assedio di una città francese.
Il film salta infatti il ritorno in patria del valoroso condottiero con cui si concludono gli altri film e racconta invece la successiva guerra in Francia per riconquistare i feudi perduti.
Dopo aver combattuto uniti contro i musulmani, i re “cugini” hanno infatti ricominciato a farsi la guerra e Giovanni Senzaterra ne approfitta per cospirare con Filippo di Francia per liberarsi dell’ingombrante fratello.
Sir Robert Loksley, ufficiale di Riccardo, corre in Inghilterra per annunciare la morte del re ma viene ucciso in un agguato del nemico; a soccorrerlo è proprio Robin, che si trova per caso nei pressi e che – con il suo gruppo – decide di prendersi vestiti, armi e denaro dei cavalieri uccisi. Loksley, però, in punto di morte, fa giurare all’arciere che riporterà la sua spada a Nottingham, al padre Walter, e proteggerà sua moglie Marian.
Tornato in Inghilterra Robin si trova così ad assumere l’identità di Robert Loksley e a combattere contro i soprusi di re Giovanni.
Intanto la Francia marcia contro l’Inghilterra e la nobiltà inglese si ribella a Giovanni per imporre un limite ai poteri della corona. Robin scopre che a scrivere la prima versione della carta che conteneva i diritti dell’aristocrazia era stato proprio suo padre e che per questo era stato ucciso quando lui aveva appena tre anni.
Di fatto la sceneggiatura di Brian Helgeland (autore anche di Il destino di un cavaliere, che vede tra i protagonisti nientemeno che Geoffrey Chaucer) usa la storia di Robin Hood come pretesto per raccontare uno spaccato di storia medievale; non a caso i personaggi immaginari sono affiancati da molte figure storiche come Isabella d’Angoulême, moglie di re Giovanni, Guglielmo il Maresciallo (interpretato da William Hurt) ed Eleonora d’Aquitana, prima regina di Francia e successivamente regina d’Inghilterra, madre di Riccardo cuor di Leone e Giovanni Senzaterra.
Taron Egerton, il supereroe mascherato Dopo meno di dieci anni, nel 2018, Robin Hood torna ancora una volta al cinema per un progetto che, come quello di Scott, punta a reinventare il personaggio, ma si colloca agli antipodi sotto il profilo filologico, proponendo un eroe in chiave contemporanea e fumettistica.
Robin Hood – l’origine della leggenda prodotto da Leonardo Di Caprio e diretto da Otto Bathurst, vede protagonista una coppia decisamente rock: a vestire i panni di Robin è infatti Taron Egerton, trentenne gallese che sta per diventare una star mondiale interpretando Elton John in Rocketman; a dare il volto a Lady Marian, invece, questa volta è Eve Hewson, figlia di un altro dei più grandi nomi della musica rock: Bono, cantante degli U2.
Se l’opera di Ridley Scott proponeva una fedelissima ricostruzione storica come alternativa alla leggenda classica, qui siamo sul versante opposto: quello di Egerton è un Robin Hood postmoderno che pur mantenendo formalmente l’ambientazione medievale, di storico non ha nulla: l’architettura di Nottingham sembra quella di Gotham City, l’abito di Robin sposa una giacca di pelle alla Matrix al cappuccio stile Zuckerberg e una sciarpetta che richiama Sherlock, e anche i vestiti di Marian (che indossa addirittura una sorta di chiodo) e dello sceriffo strizzano l’occhio alla moda; la crociata in Terrasanta, poi, ha l’impatto visivo della guerra in Iraq; i soldati non usano la spada ma solo arco e frecce che “mimano” le armi da fuoco nei minimi dettagli (a cominciare dalla postura dei soldati durante gli assalti) mentre la balestra a ripetizione fa il verso alla mitragliatrice.
I lunghi allenamenti a cui si sottopone Robin per diventare un arciere perfetto sembrano voler citare i film di Rocky o quelli sulle origini dei supereroi, e anche la psicologia dei personaggi è decontestualizzata (lo sceriffo di Nottingham cattivissimo perché bullizzato da piccolo).
Non mancano riferimenti espliciti alla politica contemporanea: si pensi allo sceriffo che paventa un’invasione islamica dell’Inghilterra per cercare di distrarre i cittadini dall’aumento di tasse.
Per la prima volta, poi, scompaiono dalla trama sia Riccardo Cuor di Leone che Giovanni Senzaterra, mentre torna il soldato saraceno divenuto compagno del bandito che era stato introdotto dal film di Reynolds: stavolta al posto di Morgan Freeman c’è Jamie Foxx e il personaggio si fonde con quello di Little John.
Quanto alla trama, il nuovo film abbandona gli schemi classici per trasformare Robin Hood in una sorta di Batman medievale: Robert di Loksley, tornato dalla crociata, scopre che tutti lo credono morto, lo sceriffo di Nottingham ne ha approfittato per requisire il suo castello e sua moglie Marian lo ha sostituito con un altro uomo. Per lottare contro il perfido sceriffo, difendere i poveri e riconquistare la sua donna, Robert veste i panni di Robin Hood, eroe mascherato che ruba ai ricchi per dare ai poveri e di cui nessuno conosce la reale identità.
Una scelta che si inserisce nel filone contemporaneo dei supereroi ma che al tempo stesso si richiama al primo Robin cinematografico: quello, mascherato, di Douglas Fairbanks; che, peraltro, era stato anche il padre di Zorro.
Robin Hood ha rappresentato per secoli l’archetipo dell’aristocratico divenuto giustiziere. A lui si è ispirato lo stesso Zorro – primo eroe mascherato della letteratura e del cinema – che, a sua volta, ha rappresentato il modello per Batman e per tutti i supereroi che sono venuti dopo. Un film su Robin Hood che si richiama all’immaginario dei supereroi, allora, rappresenta in qualche modo un cerchio che si chiude; mentre la leggenda continua.
Arnaldo Casali
Consigli di lettura
Jean Flori, Riccardo Cuor di Leone. Il re cavaliere, Torino, Einaudi, 2002.
John Gillingham, Richard I, Londra, Yale University Press, 2002.
Massimo Bonafin, Le malizie della volpe. Parola letteraria e motivi etnici nel Roman de Renart, in Biblioteca Medievale Saggi, Roma, Carocci, 2006.
Le ballate di Robin Hood, Einaudi, 1991
Il romanzo di Renart la volpe, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1998.
Graham Phillips, Martin Keatman, La leggenda di Robin Hood – Sulle tracce dell’eroe fuorilegge e delle sue generose imprese, Piemme, 1996.
James Clarke Holt, Robin Hood. Storia del ladro gentiluomo, Mondadori, 2005.
Walter Scott, Ivanhoe, Garzanti, 1979.
Alexandre Dumas, Robin Hood il proscritto, Classici Mondadori, 2009.
Alexandre Dumas, Robin Hood: il principe dei ladri, Einaudi, 2016.
Filmografia
Robin Hood di Allan Dwan, 1922.
La leggenda di Robin Hood di William Keighley e Michael Curtiz, 1938.
Gli arcieri di Sherwood di Terence Fisher, 1960.
Robin Hood e i pirati di Giorgio Simonelli, 1960.
Il trionfo di Robin Hood di Umberto Lenzi, 1962
L’arciere di fuoco di Giorgio Ferroni, 1971.
Robin Hood di Wolfgang Reitherman, 1973.
Robin e Marian di Richard Lester, 1976.
Superfantozzi di Neri Parenti, 1985.
Robin Hood – la leggenda di John Irvin, 1991
Robin Hood, principe dei ladri di Kevin Reynolds, 1992.
Robin Hood, uomo in calzamaglia di Mel Brooks, 1993.
Robin Hood di Ridley Scott, 2010.
Robin Hood – l’origine della leggenda di Otto Bathurst, 2018.