Le biblioteche medievali

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Lo scriptorium nel film “Il nome della Rosa”

Labirinto di conoscenza, scrigno di memoria, espressione di grandezza, centro di produzione editoriale, tempio di studio o semplicemente ripostiglio di strumenti.
La biblioteca medievale ha mille identità e altrettante architetture.

Trappola di morte per monaci troppo avidi di conoscenza, è quella più famosa della storia della letteratura, posta da Umberto Eco al centro delle vicende narrate nel Nome della rosa (dove il bibliotecario avvelena chi tenta di leggere il libro proibito di Aristotele sull’umorismo) la biblioteca vive una crescita lenta e frastagliata nell’Età di Mezzo, che si apre con la fine delle biblioteche antiche e si chiude con la nascita di quelle moderne.

Di fatto quei mille anni visti ancora oggi come età oscura inventano la biblioteca moderna così come il libro stesso: è all’alba del Medioevo, infatti, che nasce il codice e al suo tramonto che arriva la stampa.

Le grandi biblioteche dell’Antichità – come quella di Alessandria, considerata la più grande al mondo – erano maestosi edifici pubblici in cui il tempio del sapere era strettamente connesso a quello religioso e all’insegnamento.

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Armadio-biblioteca in una immagine medievale

Qui i libri erano semplicemente accatastati sugli scaffali: il volume era costituito da un lungo foglio di papiro arrotolato e chiuso – in alcuni casi – all’interno di un astuccio in pelle. Inutile dire che era estremamente fragile e scomodo da leggere, oltre che da conservare; e da produrre: i fogli di papiro si ottenevano infatti incollando insieme le sottili fettucce ritagliate dal fusto della pianta.

La prima rivoluzione tecnologica del mondo editoriale si compie tra il V e il VI secolo, quando il volume viene progressivamente sostituito dal codice, che è composto da una serie di fogli di pergamena sovrapposti e rilegati e protetti da una copertina in legno o in cuoio.

Oltre ad essere molto più resistente (la pergamena si ricava dalla pelle animale lavata, rasata ed essiccata) e riciclabile (l’inchiostro si può grattare via) è molto più comodo da leggere e pratico da conservare: sul dorso della copertina, infatti, viene scritto il titolo e l’autore.

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La biblioteca con i quattro vangeli nella lunetta di San Lorenzo (sec. V, mausoleo di Galla Placidia, Ravenna)

Inizialmente i libri vengono conservati in orizzontale, con la prima pagina rivolta verso il basso, mentre successivamente – sempre per ragioni pratiche – verranno disposti in verticale.
Questo è il motivo per cui ancora oggi, i titoli dei libri (ma anche quelli delle videocassette e dei dvd) si scrivono dal basso verso alto; o meglio, così si dovrebbero scrivere, anche se si è diffusa molto la tendenza – arrivata dall’America – a stamparli al contrario.

Nel frattempo le grandi biblioteche dell’antichità sono quasi tutte scomparse: tra le ultime c’era la Ulpia Traiana a Roma (che accoglieva anche la statua di Sidonio Apollinare) e quella ospitata dal Palazzo di Costantinopoli.

Le prime biblioteche cristiane trovano posto nelle cattedrali. Papa Ilario (461-468) ne fonda una a San Giovanni in Laterano e la divide in due aule: una per i libri latini e l’altra per i libri in greco, seguendo la stessa architettura di quella fatta realizzare da Galla Placidia a Ravenna una trentina di anni prima.

Poche notizie restano invece delle biblioteca coeva di San Paolino a Nola e di quella fatta costruire sempre a Roma da papa Agapito, mentre nel 554 Cassiodoro ne fonda una in Calabria, seguendo il modello di Alessandria, e che è considerata l’ultima biblioteca dell’antichità.

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Un esempio di caratteri carolini minuscoli in una pergamena medievale riutilizzata nei secoli successivi come coperta per un registro cartaceo (documento dell’Archivio di Stato di Bologna)

Quando, decenni dopo, si riaffaccia nei monasteri e nelle corti signorili, la biblioteca è poco più – o poco meno – di un ripostiglio.
Nell’alto Medioevo la cultura si fonda sull’insegnamento orale, anche se esistono certamente raccolte librarie nelle corti carolinge dove – d’altra parte – nasce proprio la “carolina”, il carattere tipografico ancora oggi più diffuso.

Lo stesso Carlo Magno era stato committente di libri e la sua corte era diventata un centro di attività scolastica e di ripristino della correttezza linguistica. Eppure non risulta che esistesse ad Aquisgrana una vera e propria biblioteca pubblica, quanto – piuttosto – raccolte personali dell’imperatore.

Lo stesso avviene nel Sacro Romano Impero di Germania, con Ottone I impegnato ad acquistare, commissionare e ricevere in dono libri. Anche nei secoli successivi le biblioteche di corte assumono più il ruolo di tesoro da sfoggiare, composto da volumi preziosi riccamente decorati – che di trasmissione del sapere. A partire dal XIII secolo nelle biblioteche private arriverà invece la letteratura di intrattenimento: poemi in versi, traduzioni in volgare e testi di narrativa. Ma tutto resterà chiuso in casse da portare con sé quando ci si sposta, e non da mettere a disposizione della collettività.

È nelle abbazie, invece, che si forma – lentamente – il concetto di biblioteca moderna.

Agli albori del monachesimo i libri hanno solo ed esclusivamente una funzione liturgica e spirituale: vengono distribuiti ai monaci nelle ore dedicate alle lettura e riposti in uno spazio ricavato nella parete, insieme agli altri strumenti di lavoro.

Nella Regola del maestro, la più antica regola monastica in gran parte ripresa anche da san Benedetto, viene menzionata un’arca, in cui si trovano conservati libri e, insieme a questi, fogli di pergamena non ancora utilizzata e documenti di vario genere. L’arca è conservata in uno stanzino, con arnesi e altre casse di oggetti vari.

San Benedetto, da parte sua, nella Regola scritta per i suoi monaci prescrive che tutti in tempo di Quaresima ricevano in lettura “codices de bibliotheca”. La parola “Biblioteca”, però, in questo caso sta per “Bibbia” e a distribuire le copie è un monaco che svolge anche altre mansioni nella comunità, e che dopo l’uso le sistema in un ripostiglio.

Non esiste dunque, ancora, né un luogo dedicato ai libri, né lo studio o la conservazione di volumi che vadano oltre le Sacre Scritture e qualche opera di carattere edificatorio.

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Lo scrptorium in una miniatura tratta dal Libro del los juegos

È in Irlanda, invece, che il rifiuto ascetico della cultura viene superato dal recupero e la trasmissione del patrimonio della cultura greco-romana. L’onda partita dalle coste irlandesi si abbatte presto sul monachesimo benedettino rivoluzionandolo: nelle abbazie europee nascono gli scriptoria, dove i monaci sono impegnati a produrre libri copiando – e salvaguardando così – gli antichi testi.

Non c’è ancora, tuttavia, una precisa distinzione tra scriptorium, biblioteca e archivio. Nello stesso laboratorio vengono copiati i volumi, redatti i documenti e conservato tutto in appositi armadi che si trovano all’interno della stessa sala, o – in qualche caso – in un deposito collocato in una stanza al piano superiore.

Nell’abbazia di San Gallo, progettata nel IX secolo, biblioteca e scriptorium sono collocati tra il presbiterio e il braccio nord del transetto della chiesa, mentre, sull’altro lato della chiesa, in perfetta corrispondenza, tra presbiterio e braccio sud del transetto, si trovano sacrestia nella parte inferiore e repositorio dei vestimenti sacri in quella superiore. È proprio questa la biblioteca che ispirerà Eco per quella – immaginaria – del suo capolavoro.

In ambiente bizantino, invece, l’antica diffidenza per la letteratura non sarà mai del tutto superata: a differenza di quelli cattolici, i monasteri ortodossi non ospiteranno mai vere e proprie biblioteche e anche i pochissimi che hanno ingenti raccolte di libri non sono dotati di uno scriptorium e acquistano i volumi dall’esterno, in gran parte attraverso lasciti e donazioni. Solo a Costantinopoli esiste una biblioteca di consultazione riservata agli studenti dell’accademia patriarcale.

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L’ingresso della biblioteca di Fez (Marocco), fondata nell’859 e recentemente restaurata e riaperta al pubblico. L’enorme portale di ferro è dotato fin dall’Antichità di quattro grossi lucchetti, ognuno dei quali si apre con una chiave differente. La biblioteca conserva documenti antichissimi, tra i quali una copia del Corano risalente al secolo IX e scritto su pelle di cammello nell’antica grafia cufica

Al contrario, la cultura islamica attribuisce grande importanza ai libri e alle biblioteche, che diventano importanti centri di studio e di insegnamento dove si effettuano traduzioni dal greco, dal siriaco, dal mediopersiano e dal latino e vengono ospitate le abitazioni degli stessi impiegati (bibliotecari, traduttori e copisti) e gli alloggi per i visitatori, spesso pagati per effettuare ricerche.

Nate sin dal VII secolo, le biblioteche islamiche – che sorgono in tutto il mondo arabo, da Baghdad a Gerusalemme, dal Cairo a Tripoli fino a Mossoul – raggiungono il massimo splendore nel X secolo. Promosse dai califfi, hanno anche un ruolo di propaganda religiosa, in particolare per l’affermazione dell’ortodossia sunnita.

In occidente, invece, la prima biblioteca propriamente detta è forse quella voluta nel secolo XI dall’abate Desiderio a Montecassino dove esiste una piccola stanza adibita alla conservazione dei libri totalmente indipendente dallo scriptorium.

Nel frattempo il monaco addetto al canto liturgico, naturalmente responsabile dei libri del coro, con il progressivo aumento dei volumi sotto la sua custodia finisce per diventare un vero e proprio bibliotecario. Il suo ruolo resta comunque solo quello di distribuire, ritirare e riporre i libri, che vengono letti dai monaci in privato, durante la liturgia o magari nel chiostro, alla luce del giorno, oppure in refettorio durante il pasto.

Tuttavia, tra il IX e l’XI secolo sempre più abbazie – da San Gallo a Cluny, da Bobbio a Montecassino – diventano centri di raccolta e produzione di volumi.
Il compito della biblioteca, però, non è ancora quello della fruizione ma solo della salvaguardia della cultura scritta. Gli inventari dei libri, dunque, servono a documentare un tesoro e non a orientare la ricerca.

Nel frattempo si vanno sviluppando anche le biblioteche delle cattedrali, alimentate dai vescovi con committenze alle abbazie ma anche a scribi privati. Le loro dimensioni sono comunque più modeste e questo testimonia come le raccolte siano finalizzate all’uso dei libri (liturgico, scolastico o di edificazione) e non all’accumulo patrimoniale; anche se non mancano eccezioni come la biblioteca della Cattedrale di Verona, dotata di un scriptorium che produce oltre 200 volumi.

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La biblioteca dell’abbazia benedettina di Melk

L’ultima grande rivoluzione – il passaggio dalla biblioteca di conservazione alla biblioteca di lettura – viene compiuta alla fine del XIII secolo dagli ordini mendicanti (francescani e domenicani, e in seguito carmelitani e agostiniani) che inventano di fatto la biblioteca moderna introducendo la sala di consultazione.

Sotto il profilo architettonico si tratta di un’aula oblunga, percorsa al centro da un corridoio vuoto e occupata nelle due navate laterali da due serie, disposte in file parallele, di banchi con i libri a questi incatenati e offerti allo studio.

Anche il catalogo, di conseguenza, da semplice inventario diventa uno strumento finalizzato a segnalare la collocazione dei libri, e nasce anche il “memoriale”: una scheda sulla quale vengono segnati dal bibliotecario i volumi in prestito.

I libri, oltre che nella sala di consultazione, sono conservati anche in una stanza “segreta”, ben più fornita, dove sono chiusi in armadi. Viene meno, invece, lo scriptorium: i copisti vengono assunti dall’esterno o individuati tra gli stessi frati, che lavorano però in modo individuale e non collettivo.

Il nuovo modello di biblioteca viene recepito in seguito da tutte le istituzioni bibliotecarie: dalle cattedrali alle università fino alle corti laiche ed ecclesiastiche, ma è solo nel tardo Medioevo che si afferma – nel mondo umanistico – l’esigenza di istituire una biblioteca pubblica. Sono sempre più numerosi i lasciti librari effettuati da collezionisti alle istituzioni religiose o ai Comuni, con l’intento di metterli a disposizione di un vasto pubblico individuando una sede adeguata.

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Il Salone Sistino (1587-89), enorme aula a due navate totalmente decorate, con i suoi 70 metri per 15 fu per lungo tempo il cuore della Biblioteca Vaticana, la più grande al mondo

Nascono così le “Biblioteche di Stato” come quella dei Medici a Firenze, degli Sforza a Milano, dei Malatesta a Cesena, dei Montefeltro a Urbino e degli Aragona a Napoli, aperte all’uso di dotti, uomini eminenti e cortigiani.

Ed è proprio questo il modello a cui guarda papa Sisto IV quando, con la bolla del 15 giugno 1475, istituisce la Biblioteca Vaticana, destinata a diventare la madre di tutte le biblioteche pubbliche.

Pubbliche fino a un certo punto, come si è detto. E sotto questo profilo la Biblioteca Vaticana è rimasta legata al modello rinascimentale: ad essa tuttora non si accede, infatti, se non per raccomandazione ecclesiastica e specifica missione. Tanto che a criticarne il difficilissimo accesso sarà persino il padre della narrativa italiana – Alessandro Manzoni – che nei Promessi sposi le contrappone quella Ambrosiana, progettata e fondata a Milano dal cardinale Federigo Borromeo, che dispose che fosse consentito a tutti il libero accesso e la consultazione dei volumi conservati.

Arnaldo Casali

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