Il miracolo di Bolsena

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La chiesa di Santa Cristina a Bolsena

La chiesa di Santa Cristina a Bolsena

È la tarda estate del 1263 a Bolsena, cittadina in provincia di Viterbo.

Pietro da Praga celebra la messa nella chiesa di Santa Cristina, reduce da un lunghissimo viaggio.

Era partito mesi prima dalla Boemia per recarsi in pellegrinaggio a Roma, con la speranza di placare i dubbi di fede che stanno mettendo in crisi la sua stessa vocazione.

Ormai da tempo infatti, il sacerdote è assalito da un terribile dilemma: quello sulla reale presenza di Cristo nel pane e nel vino consacrato. Non riesce a credere che, al momento della consacrazione, quel pane azzimo diventi davvero carne e quel vino rosso sia il sangue di Cristo.

Tutto sommato, Cristo stesso ha detto “fate questo in memoria di me”. L’eucarestia, dunque, non è altro che una commemorazione e il pane e il vino sono memoria dell’ultima cena, segno di comunione cristiana, solo un simbolo del corpo e del sangue di Cristo. È quanto, in fondo, sostengono illustri teologi come Berengario da Tours e moltissimi cristiani. Come possono essere materialmente carne e sangue? Se così fosse non sarebbe allora quasi un atto di deifagia? Non era forse – quella di cannibalismo – proprio una delle principali calunnie rivolte contro i primi cristiani?

Il miracolo di Bolsena in una miniatura medievale

Il miracolo di Bolsena in una miniatura medievale

Pietro celebrava la messa ogni giorno, tra le sue mani il pane e il vino consacrati. E vedeva, ogni giorno, che si trattava proprio di pane e vino, non di carne e sangue. Come poteva, dunque, credere per fede il contrario di ciò che i suoi occhi e le sue mani gli dicevano ogni santo giorno?

Erano ormai mesi che era roso da questo dilemma e per questo motivo aveva deciso di recarsi in pellegrinaggio sulla tomba dell’Apostolo. Aveva passato intere giornate in preghiera, penitenza e meditazione nella basilica di San Pietro. E finalmente, fugato ogni dubbio sul sacramento, con l’animo rinfrancato il sacerdote si era messo sulla via del ritorno.

Sulla via Cassia, Pietro si ferma a pernottare nella chiesa di Santa Cristina. Il ricordo della martire, la cui fede non aveva vacillato di fronte all’estremo sacrificio, ha però turbato nuovamente il sacerdote, che il giorno dopo decide di celebrare la messa in quella stessa chiesa.

Sta per arrivare il momento della consacrazione e Pietro è invaso nuovamente dall’incertezza su quello che sta facendo. Prega intensamente la santa perché interceda presso Dio. Poi consacra l’ostia, recita la preghiera liturgica e la spezza.

In quel momento sente il pane tra le sue mani diventare un pezzo di carne, da cui comincia a stillare sangue. Impaurito e confuso, cerca di nascondere ai presenti quello che sta succedendo. Conclude in fretta la celebrazione e avvolge tutto nel corporale di lino usato per la purificazione del calice, che si macchia subito di sangue, poi fugge letteralmente in sacrestia. Durante il tragitto alcune gocce cadono sul marmo del pavimento e sui gradini dell’altare.

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Il miracolo di Bolsena affrescato da Ugolino di Prete Ilario (1357-1364) nella cappella del Corporale del duomo di Orvieto

Subito dopo Pietro si dirige a Orvieto, dove si trova in quel momento Urbano IV. Ottiene di essere ricevuto in udienza e gli racconta tutto.

Il papa, per verificare l’accaduto e recuperare le reliquie, invia a Bolsena il vescovo di Orvieto Giacomo, accompagnato, secondo la tradizione, dal teologo domenicano Tommaso d’Aquino e dal francescano Bonaventura da Bagnoregio.

Tra l’esultanza generale, il vescovo torna dal papa con le reliquie del miracolo, che vengono mostrate al popolo dei fedeli e deposte nel sacrario della Cattedrale di Santa Maria.

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Il Reliquiario del Corporale di Bolsena, gioiello di oreficeria medievale in oro, argento e smalto traslucido realizzato dal senese Ugolino di Vieri tra il 1337 e il 1338 e conservato nel duomo di Orvieto (a destra, il particolare della resurrezione)

Dopo il clamoroso miracolo il papa viene di fatto costretto ad ascoltare le richieste che ormai da vent’anni arrivano da Ligi, dove la beata Giuliana ha convinto il suo vescovo nel 1247 ad istituire una festa in onore del Santissimo Sacramento. Non passa quindi un anno dal miracolo che il papa – l’8 settembre 1264 – con la bolla Transiturus de hoc mundo istituisce la Solennità del Corpus Domini, che tutta la Chiesa celebrerà il giovedì dopo l’ottava di Pentecoste.

Ostia e corporale non torneranno mai più a Bolsena e per custodirli sarà edificato – a partire dal 1290 – il Duomo di Orvieto.

In particolare, Ugolino da Vieri realizzerà nel 1338 il Reliquiario del Corporale di Bolsena, che sarà inserito a sua volta in un’apposita cappella inaugurata nel 1363. Sarà lo stesso Tommaso d’Aquino invece, a preparare i testi per la liturgia delle ore e per la messa della festività.

Le quattro lastre di marmo macchiate di sangue saranno invece collocate, nel 1704, all’interno della cappella nuova del miracolo a Bolsena e una quinta lastra sarà donata, nel 1574, alla parrocchia di Porchiano del Monte, nell’amerino.

In realtà, quello della transustansazione diventerà un vero e proprio dogma solo con il Concilio di Trento nel 1551. Mentre la comunità scientifica dibatte ancora oggi sull’autenticità del miracolo, senza che la Chiesa abbia mai autorizzato un’analisi sulle reliquie.

Arnaldo Casali