Romeo e Giulietta, la nascita di una leggenda

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Una scena dal film “Romeo e Giulietta”, diretto da Franco Zeffirelli nel 1968.

Inizia nel pomeriggio del 30 gennaio 1595 la vicenda d’amore più celebre della storia: al The Theatre di Shoreditch, quartiere periferico di Londra, debutta infatti The Most Excellent and Lamentamble Tragedy of Romeo and Juliet (“La più eccellente e lamentevole tragedia di Romeo e Giulietta”) messa in scena dalla compagnia The Lord Chamberlian’s Men in cui militano come attori, tra gli altri, Richard Bourbage, figlio dell’impresario che ha costruito lo stesso teatro e William Shakespeare, autore dell’opera.

Shakespeare ha trent’anni, da tre lavora in teatro con crescente popolarità e ha al suo attivo due poemetti – Venere e Adone e Il ratto di Lucrezia, una tragedia – Tito Andronico – e cinque commedie: I due gentiluomini di Verona, La commedia degli errori, La bisbetica domata, Pene d’amor perdute e Il mercante di Venezia.

La vicenda di Romeo e Giulietta, destinata a diventare il vero e proprio archetipo della passione amorosa pura e contrastata, ha a sua volta origini antiche: la giovane innamorata che beve una pozione velenosa si ritrova nell’Ephesiaka dello scrittore greco Senofonte di Efeso (vissuto tra il II e il III secolo) mentre nelle Metamorfosi di Ovidio troviamo l’amore di Piramo e Tisbe, contrastato dalle famiglie e destinato a un tragico epilogo in tutto analogo a quello dei due veronesi.

Ma è la vicenda di Mariotto e Ganozza, ambientata a Siena e contenuta nel Novellino di Masuccio Salernitano pubblicato nel 1476, a contenere già tutti gli elementi fondamentali della tragedia: il matrimonio segreto, il frate colluso, l’omicidio, l’esilio, la pozione e il messaggio che si smarrisce. Anche se presenta diverse differenze: Quando Mariotto fugge in Egitto a causa di un omicidio commesso involontariamente durante una rissa e Ganozza beve la pozione che genera la morte apparente, il ragazzo – tornato a Siena – viene decapitato dalle autorità. Nel frattempo la donna si è travestita da frate ed è partita alla volta di Alessandria, ma dopo aver appreso del destino dell’amato finirà per chiudersi in un convento e morire di dolore.

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Il balcone della casa di Giulietta a Verona in via Cappello, a poca distanza dalla centrale piazza delle Erbe.

Il primo a parlare del conflitto tra le famiglie dei Montecchi e Cappelletti è invece Dante Alighieri nel canto VI del Purgatorio. Cappelletti – da notare – e non Capuleti, che non è altro che la traduzione italiana di Capulets, a sua volta adattamento inglese del nome italiano.

I Montecchi – o Monticoli – erano effettivamente una delle più importanti famiglie di Verona, aveva avuto un ruolo di primo piano nella formazione del Comune e si era messa a capo del partito ghibellino scontrandosi soprattutto con la famiglia guelfa dei San Bonifacio, finendo però in esilio nel 1320 a seguito di una congiura antiscaligera.

I Cappelletti erano invece originari dell’Albania, da cui erano arrivati come soldati di cavalleria al soldo della Repubblica di Venezia, e dovevano il loro nome al loro caratteristico berretto ornato di un ciuffo di piume d’argento. Schieratisi con i Guelfi, si erano stabiliti a Cremona, dove la fazione ghibellina opposta a loro era detta – non a caso – “Troncaciuffi”. All’epoca di Dante, comunque, i Cappelletti si trovavano anche a Verona e avevano la propria residenza in quella che è oggi conosciuta come “Casa di Giulietta”.

Dante non fa alcun riferimento a vicissitudini amorose, ma stigmatizza il conflitto tra le due “già tristi” famiglie legato, dunque, a quello tra guelfi e ghibellini, quindi tra Chiesa e Impero, ma anche alla rivalità tra i comuni di Verona e Cremona.

A creare la leggenda di Romeo e Giulietta è poi Luigi da Porto nella sua Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti, pubblicata nel 1530. Lo scrittore vicentino riprende la novella di Masuccio cambiando i nomi e ambientandola a Verona e introduce tutti i personaggi chiave come Mercuzio, Tebaldo e Paride. E’ probabile che Luigi si sia lasciato ispirare dalla visione delle due Rocche scaligere di Montecchio ma anche da una vicenda squisitamente autobiografica: il suo amore per Lucina Savorgnan, contrastato da una faida tra famiglie.

La storia viene successivamente rielaborata in molte opere: si trova prima in L’infelice Amore de i Due Fedelissimi Amanti Giulia e Romeo, scritto in Ottava Rima Da Clizia Nobile Veronese ad Ardeo Suo (1553), poi viene inserita nelle Novelle di Matteo Mandello nel 1554: questa versione viene tradotta in francese nel 1559 da Pierre Boaistuau che la inserisce nel primo volume delle sue Histories Tragiques. Arthur Brooke traduce, a sua volta, l’opera di Boaistuau in inglese facendone un poema narrativo in versi: Tragicall Historye of Romeus and Juliet, pubblicato nel 1562. E’ proprio questo poema che Shakespeare riprende e adatta per la sua opera.

La vicenda di Romeo e Giulietta, al tempo in cui il Bardo inizia la sua carriera teatrale, è quindi ormai conosciuta in tutta Europa ed è stata raccontata – oltre che nelle versioni citate – in molte altre opere letterarie e teatrali, anche se sarà proprio la sua versione a lasciare un segno indelebile non solo nella storia del teatro, ma anche nell’immaginario comune. Tanto che a Verona, città che – come abbiamo visto – ben poca parte ha non solo nella storia ma anche nella costruzione della leggenda stessa, Palazzo Cappelletti finisce per essere addirittura riadattato sul modello shakespeariano per renderlo una meta turistica.

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Lo stemma del cappello sulla chiave di volta dell’arco di entrata al cortile della casa di Giulietta.

Se la cosiddetta “Tomba di Giulietta”, all’interno del chiostro di San Francesco in Corso, pur risalendo al XIV secolo non ha niente a che fare con il personaggio dell’infelice innamorata a cui è stato dedicato solo nel 1937, mentre i Montecchi abitavano “con quasi assoluta certezza” (secondo le guide turistiche) nella la zona compresa tra le Arche e la Chiavica, dove ora si trova la “Casa di Romeo”, una storia tutta particolare ce l’ha infatti la dimora dei Cappelletti: il palazzo risale al 1200 e l’appartenenza alla casata è testimoniata dallo stemma del cappello sulla chiave di volta dell’arco di entrata al cortile della casa. Nel corso dei secoli, però, il palazzo ha subito molte trasformazioni, diventando anche uno stallo con albergo e agli inizi del XX secolo il suo aspetto non aveva più nulla di medievale.

E’ Antonio Avena, direttore del Museo civico di Verona, che nel 1937 ordina una serie di restauri che trasformeranno completamente la facciata del palazzo per farlo assomigliare a quello descritto da Shakespeare. Tutta l’architettura viene stravolta: vengono rifatte le porte e le finestre, eliminata una terrazza e costruito ex novo il celebre balcone di Giulietta, ricavato da un sarcofago del XIV secolo.

E così, se la storia si è fatta letteratura, la letteratura si fa storia. Anzi, falso storico.

Arnaldo Casali

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