Medioevo al cinema

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La locandina del film Nosferatu il vampiro di F.W. Murnau

Il cinema: una delle grandi fabbriche dell’immaginario medievale. Sin dalle prime esperienze del XX secolo. A partire dal film muto L’Inferno (1911) ispirato alla Divina Commedia dantesca, prodotto dalla “Milano films” e diretto da Francesco Bertolini, Giuseppe de Liguoro e Adolfo Padova. Per arrivare a Giovanna d’Arco (1913), con la regia di Ubaldo del Colle (“Savoia films”), primo lungometraggio muto dedicato alla condottiera francese. E all’horror tedesco Nosferatu il vampiro (1922), diretto e prodotto da Friedrich Murnau e ispirato al celebre romanzo gotico Dracula di Bram Stocker (1897): una pellicola intrisa da suggestioni medievaleggianti e neogotiche.

Un Medioevo oscuro, tenebroso, caratterizzato da castelli imponenti e temibili, guglie spaventose e creature del folklore medievale. Fino a due film del 1913, entrambi dal titolo Ivanhoe e ispirati all’omonimo romanzo di Scott, uno statunitense, con la regia di Herbert Brenon, l’altro inglese, diretto da Leedham Bantock.

Sono questi lavori alcuni illustri precursori delle produzioni cinematografiche occidentali successive, in particolare di quelle figlie dell’industria hollywoodiana, espressione di una cultura americana innamorata, sin dalla seconda metà del XIX secolo, dei miti del Graal, del ciclo bretone, del Medioevo simbolico e arturiano dei Preraffaelliti e di eroi leggendari come Sir Gawain, Prince Valiant, Sir Kay della Tavola Rotonda e Robin Hood, illustrati, fra gli altri, da Howard Pyle (1853-1911) ed Harold Foster (1892-1982).

In questo processo, un ruolo di primo piano spetta ai prodotti dell’americana Walt Disney, ispirati al ciclo arturiano, alle fiabe dei fratelli Grimm e ai castelli neogotici e suggestivi di Ludwig II di Baviera: Snow White and the Seven Dwarfs (Biancaneve e i sette nani, 1937); Sleeping Beauty (La bella addormentata nel bosco, 1959); Cinderella (Cenerentola, 1950); The Sword in the Stone (La spada nella roccia, 1963) e The Hunchback of Notre Dame (Il gobbo di Notre Dame, 1996). Film d’animazione che rappresentano il tentativo degli Stati Uniti, sedotti dai romanzi storici di Walter Scott e delle leggende arturiane della madrepatria, di appropriarsi di un’età che storicamente non è mai appartenuta loro ma nella quale, trasfigurandola, sognandola e immaginandola, i cittadini degli States trovano la loro nuova identità e legittimazione.

Tra le produzioni statunitensi ricordiamo Excalibur (1981) di John Boorman, tratto dalle storie del ciclo arturiano descritte da Thomas Malory nel XV secolo, L’armata delle tenebre (Army of Darkness, 1992), film che alterna viaggi nel tempo e comicità demenziale ad ambientazioni, trame e scenografie che ritraggono il Medioevo magico, truculento e splatter del regista Sam Raimi.

Fino al kolossal Braveheart (1995) di Mel Gibson, ispirato alla figura di William Wallace ed alla sua rivolta del XIII secolo, romanzata, contro Edoardo I per l’indipendenza della Scozia dall’Inghilterra. Il film, lontano dall’essere una ricostruzione storicamente fedele, sottolinea tematiche originali e rielabora diversi aspetti della vita del condottiero, come la lotta per la libertà, la vendetta personale del protagonista in nome della moglie violata e assassinata, che diventa la ribellione di tutto il popolo scozzese, ferito nelle sue aspirazioni. Ma tocca anche altri aspetti, come il peso delle scelte dei padri sui figli o sugli eredi, l’onore ferito e difeso, l’eroismo e la lotta mortale per una causa giusta e identitaria. Il William Wallace interpretato da Gibson, emblema della libertà e del patriottismo, anche grazie al vasto successo ottenuto dalla pellicola, è diventato il simbolo degli indipendentisti scozzesi, approdati nel 2014 al referendum per l’Indipendenza della Scozia dal Regno Unito che ha visto la vittoria del No, pur con un piccolo divario percentuale rispetto al Sì.

Immagine tratta dal trailer di Braveheart - Cuore impavido

Nel luglio 2021, nella finale degli Europei di calcio, la figura di Wallace è stata ripresa e simpaticamente sovrapposta a quella dell’allenatore Roberto Mancini nella copertina del giornale scozzese “The National”, per supportare la nazionale di calcio italiana nella partita contro l’Inghilterra, decisiva per l’assegnazione del titolo. Una menzione merita anche l’avventuroso Il settimo figlio (The Seventh Son, 1999) di Sergei Bodrov, adattamento cinematografico del romanzo dark fantasy del libro L’apprendista del mago di Joseph Henry Delaney.

Per non parlare, poi, dello sterminato filone di film debitori dell’immaginario templare, ispirati alle Crociate o alla cerca del Graal. Vanno citati soltanto, a titolo esemplificativo, Le Crociate – Kingdom of Heaven (2005) di Ridley Scott, Outcast  L’ultimo templare (2014), di Nick Powell, con Nicolas Cage nelle parti del protagonista e Ironclad (2011) di Jonathan English.

Il Cavaliere e la Morte nel film Il settimo sigillo di Ingmar Bergman

Fuori dai confini statunitensi, pietra miliare dei film dedicati al Medioevo è senza dubbio  Il Settimo sigillo (Det sjunde inseglet) di Ingmar Bergman (1957), celebre per la famosa partita a scacchi con la Morte, sfidata dal cavaliere e crociato Antonius Block: la pellicola è ambientata in un Medioevo nord-europeo dove imperversano peste, povertà e ansie millenaristiche. Di produzione inglese è invece Sword of the Valiant – The Legend of Sir Gawain and the Green Knight (1984) di Stephen Weeks, ispirato al celebre romance anonimo Galvano e il Cavaliere Verde, risalente al XIV secolo (nel film il Green Knight è interpretato da Sean Connery). L’ Enrico V (1989) di Kenneth Branagh è basato sull’omonima opera di William Shakespeare.

Il film di produzione francese Giovanna d’Arco (The Messenger: The Story of Joan of Arc, 1999), di Luc Besson, sottolinea i tratti devozionali, di fede, abnegazione e coraggio dell’eroina. Infine il tedesco Codice Carlo Magno (Die Jagd nach dem Schatz der Nibelungen, 2008) del regista Ralf Huettner, ispirato dall’epica germanica e dalla cerca del mitico tesoro dei Nibelunghi.

Il cinema italiano, tra gli anni Sessanta e Settanta, ha invece interpretato in maniera del tutto originale il Medioevo, rivestendolo di toni e aspetti pauperistici, popolari e irriverenti, Impossibile non citare L’armata Brancaleone (1966) e il rispettivo sequelBrancaleone alle crociate (1969), in cui il regista Mario Monicelli mette in scena un Medioevo comico, ignorante e povero, ed in cui l’eloquente protagonista, pur animato da sane virtù, rappresenta una grottesca parodia del tipico cavaliere-eroe medievale: ancor di più, è una critica alla propaganda fascista ed a quella parte di destra italiana che ad essa si richiamava nel secondo dopoguerra e negli anni Sessanta.

Interessante è anche il punto di vista di Pier Paolo Pasolini che, qualche anno dopo, rappresenta, nella sua Trilogia della vita (1971-1974) – composta da Il DecameronI racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte – un Medioevo “senza veli”, che diviene un’accesa critica alla società ipocrita e bigotta in cui l’artista stesso vive ed opera.

In questo processo, senza dubbio, spetta al genere fantasy il merito di aver influenzato la nascita dell’immaginario medievale, che oggi permea la cultura occidentale, quello che lo storico Renato Bordone ha definito il «quarto Medioevo», in riferimento ai tre “Medioevi” teorizzati precedentemente dalla medievista e filosofa Mariateresa Fumagalli (barbarico, della rinascita e dialettale). Proprio il genere fantasy, ha fatto delle ambientazioni medievaleggianti, dei personaggi arturiani, di eroi e creature fantastiche (come draghi, maghi, satiri, nani) e dei cicli narrativi tratti dalle composizioni poetiche bassomedievali, dalle Chanson de Geste e dall’epica del Nord Europa, il proprio tratto distintivo, nelle sue diverse declinazioni, sin dagli esordi ottocenteschi, con i romance e i poemi di William Morris, ispirati allo stile e ai temi del ciclo bretone e dell’epica nordica o con il fantastico romanzo per bambini La Principessa e i goblin di George McDonald (1872).

Determinante nella sua forma alta ed epica, è l’opera magna di John Ronald Reuel Tolkien, Il Signore degli Anelli (The Lord of the Rings, 1954-1955). Ma anche i libri della Saga di Terramare (The Earthsea Cicle,1968-2001) firmata scrittrice statunitense Ursula Le Guin, o, infine, nella sua veste più violenta e cruda, quella delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (A Song of Ice and Fire, 1996 – in corso) di George R. R. Martin, erede, per certi versi, del barbaro e brutale universo medievaleggiante di Conan The Barbarian, il personaggio letterario ideato da Robert Ervin Howard, padre dei racconti sword and sorcery (spada e stregoneria).

Il Medioevo, dunque, sia quello rielaborato nel corso dell’Ottocento romantico, ma anche quello delle fonti letterarie, è diventato la patente di legittimità dei romanzi fantasy e delle produzioni cinematografiche e televisive che a tali racconti di genere si sono ispirate: così la fortunata trilogia de Il Signore degli Anelli (The Lord of the Rings), di Peter Jackson (2001, 2002, 2003), ha contribuito ad alimentare il famoso “caso Tolkien”, ma anche a stimolare la diffusione di società di amatori e appassionati dell’opera filmica e del romanzo, specie presso le nuove generazioni. O ancora le Cronache di Narnia – Il leone, la strega e l’armadio del regista e produttore neozelandese Andrew Adamson (2005), film pervaso dai rimandi all’omonima opera magna di C. S. Lewis (amico e collega di Tolkien) intrisa di allegoria e simbolismo cristiani; o, infine, la stessa serie televisiva statunitense delle otto stagioni del pluripremiato Il Trono di Spade (Game of thrones, 2011-2019) ispirata alle già citate Cronache di Martin.

Il genere fantastico, specie quello alto-epico, si presenta come una rielaborazione di temi, cicli e modelli letterari che hanno origine in età medievale: si pensi alle creature fantastiche, che popolano l’immaginario fantasy, come elfi, draghi, troll, negromanti, rielaborati, anche nella funzione e nel ruolo più complesso che svolgono, proprio da poemi e romance del Medioevo. Il poema epico del nord Europa, il Beowulf e il Sir Gawain and the Green Knight, ad esempio, sono fra i principali modelli ispiratori dell’opera tolkieniana. Ma si pensi anche alla presenza di castelli neogotici e agli assedi distruttivi, mortali, che compaiono in queste opere, che reinventano i grandi assedi del passato, a loro volta resi iconici dalle pellicole cinematografiche e consegnati alla cultura popolare. In modo diverso, ad esempio, l’assedio di Approdo del Re ne Il Trono di Spade e l’assedio della città fortezza di Minas Tirith creato dalla immaginazione di Tolkien ne Il Signore degli Anelli ricordano i tentativi di conquista ottomana di Costantinopoli e la sua finale caduta nel 1453.

In alcuni cicli narrativi emerge il viaggio circolare dell’eroe protagonista che spesso è un vero e proprio “antieroe”, come nel caso dello hobbit Frodo Baggins nell’opera di Tolkien: le sue peripezie diventano un viaggio di espiazione non soltanto di un singolo individuo, ma dell’intero genere umano.

John Rhys-Davies, il nano Gimli de Il Signore degli Anelli

Una scena del film Le cronache di Narnia

Ray Winstone in Beowulf

Una scena nella foresta di Fangorn dal film Le due torri, della trilogia del Signore degli anelli

Compaiono quindi luoghi mistici come la foresta o boschi incantati, luoghi di passaggio narrativo ma anche di transizione e maturazione per l’eroe che li percorre: è così nel caso della foresta di Fangorn del Signore degli Anelli, dalla quale Merry e Pipino emergono cambiati, interiormente ed esteriormente. Nella stessa situazione “i tre cacciatori”, Legolas, Gimli e Aragorn, dopo l’incontro soprannaturale con lo stregone Gandalf, acquistano un ruolo più alto ed importante all’interno della storia. Ma la foresta è anche quella del Trono di Spade, dimora dei giovani e longevi Figli, custodi della Natura e della stregoneria primordiale, nonché sede di arcani segreti e di oscure magie “deviate” rappresentate dai terribili Estranei.

Nicolò Maggio

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