La rivolta di Santa Scolastica a Oxford

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Scena in taverna da un manoscritto del secolo IVX, British Library

“Una birra amara” chiede Walter Spryngeheuse all’oste della taverna Swindlestock, a Oxford.

E non immagina quanto sarà amara, quella birra: 93 morti, una vera e propria guerra civile e una faida destinata a durare 600 anni.
Decisamente la birra più amara della storia.

È il 10 febbraio 1355, festa di Santa Scolastica da Norcia, sorella di San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, custode del patrimonio culturale negli anni più oscuri del Medioevo. Sarà proprio lei a dover associare il suo nome al peggiore scontro del millennio tra mondo della cultura e società civile.

“Questa birra fa schifo!” esclama Walter rovesciandola sul bancone. “Dammene un’altra”.

Avete presente quando si dice “Oxford”? Eccola, la proverbiale signorilità degli studenti della più antica università anglosassone e la più prestigiosa del Regno Unito.

Centro di studio e insegnamento sin dal 1096, la cittadina aveva visto espandere sempre più i suoi college dopo che Enrico II aveva vietato agli inglesi – nel 1167 – di iscriversi all’Università di Parigi. Per favorire la crescita dell’Ateneo il re aveva concesso ogni sorta di privilegi agli accademici e gli irrequieti studenti arrivati da ogni angolo d’Europa avevano finito per entrare in conflitto con gli abitanti del piccolo villaggio, che mal sopportavano le loro intemperanze.

Nel 1209 due ragazzi erano stati addirittura giustiziati per aver ucciso una paesana, ne era seguita una rivolta degli studenti e scontri con la cittadinanza che avevano portato alla fuga in massa di buona parte degli accademici; l’Università era stata smantellata per un breve periodo, per tornare poi più grande, forte e tutelata di prima.

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Santa Scolastica da Norcia (qui in un affresco nella chiesa del cimitero, a poca distanza dal centro storico di Norcia) si ricorda il 10 febbraio, giorno dela sua morte

Un secolo e mezzo dopo quegli eventi la tensione tra città e toga (town and gown dicono gli inglesi) ha raggiunto il culmine. Gli universitari si sentono i padroni della città: sono i figli dell’aristocrazia in un villaggio di bifolchi, la futura classe dirigente circondata da gente ignorante e ordinaria. Loro sono i principi di Oxford, i pupilli del re e godono di privilegi che i cittadini nemmeno se li sognano. E poi viaggiano tanto, studiano tutto il giorno e quando arriva la sera voglio divertirsi, fare un po’ di casino e gustarsi una birra come si deve, non questa schifezza che ha appena servito John Croidon.

“Ehi, Roger, vieni qui!” chiama Walter.

Mentre l’oste versa un altro boccale al collega, Roger de Chesterfield si fa largo tra gli ubriaconi che affollano la fumosa taverna, si siede al bancone e lascia andare un rutto imponente e maestoso come il ruggito di un leone. Proprio sulla faccia di Croidon.

“Una coppa anche per il mio amico” fa Walter con la voce strascicata di chi, di birre, ne ha bevute già troppe.
“Questo posto è una latrina!” esclama Roger sprezzante.
“Ecco perché ci galleggiate così bene, voi due!” ribatte l’oste.

“E questa qua non è birra, è piscio di maiale!” urla Walter lanciandola addosso dell’oste. “Tu che ne pensi, Roger?”. Quello prende un sorso dalla sua coppa e poi la sputa sulla faccia di John. “Hai ragione, Walter: è proprio piscio di porco!”.

Le coppe sono vuote, ma la misura è colma. “Adesso basta! Fuori dal mio locale, pezzi d’asino!” grida Croidon.
“Come ti permetti di rivolgerti in questo modo, razza di bifolco? Noi siamo studenti del college, non i caprai a cui sei abituato!”.
“Se non ve ne andate subito vi abituerete voi ai miei calci nel sedere! Tornatevene al…” ma non fa in tempo a finire la frase perché gli arriva un pesante destro sul mento.
Alzato uno sguardo pieno di odio sull’aggressore, John estrae il coltellaccio che tiene sotto il bancone e si avventa contro Walter; un attimo dopo Roger gli è addosso. Due astanti intervengono in soccorso dell’oste e altri tre studenti si buttano nella mischia per difendere i colleghi.
In pochi minuti la bettola è tutto un frullare di cazzotti, calci, sedie spaccate su schiene curve, sangue e sputi.
Qualcuno chiama soccorsi, chi tenta di mettere pace si guadagna un pugno e poi una coltellata. Un uomo è a terra. No, sono due, anzi tre. Quattro. Cinque. È una carneficina. Che dura tutta la notte.
Arrivano gli sbirri e arrestano i facinorosi. Ma quando si trovano di fronte Roger e Walter devono alzare le mani e lasciarli andare.
I due studenti escono tranquillamente dalla bettola baldanzosi, con i vestiti strappati ma l’aria fiera. Walter si ferma sulla porta, si asciuga il sangue che gli cola dal naso, e guarda sprezzante John e i suoi amici che vengono portati via dalle guardie. “Mi dispiace – dice ridendo – ma noi siamo Oxford, e voi non siete niente!”.

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Un’epigrafe ricorda l’ubicazione della storica taverna di Oxford (foto: Tony Holding)

Al mattino la notizia arriva al sindaco John de Bereford. Tutti vogliono che i due studenti vengano puniti, ma lui non può farlo: l’Ateneo non è sotto la sua giurisdizione e gli accademici godono di speciali privilegi che li rendono sottoposti direttamente alla Corona: l’unico che può ordinarne l’arresto è il cancelliere dell’Università Humphrey de Cherlton. Ed è ciò che gli chiede di fare de Bereford, ma il Rettore fa orecchi da mercante, prende tempo, non si muove. D’altra parte come potrebbe proprio lui andare contro coloro che, anche se in modo indegno, rappresentano comunque la sua potente università? Non importa chi ha cominciato la rissa: un oxfordiano è un oxfordiano e ha ragione anche quando ha torto.

Intanto la situazione è degenerata fino ad arrivare alla guerra civile: gli abitanti di Oxford decidono di farsi giustizia da soli e vanno a caccia dei due facinorosi, ma il corpo studentesco si schiera in blocco a difesa dei colleghi e passa al contrattacco: 200 universitari si lanciano all’assalto del Comune e aggrediscono lo stesso sindaco. La reazione è durissima: persino dalle contrade vicine i contadini si riversano in città per dare man forte agli abitanti al grido di “Havoc! Havoc! Smyt fast, give gode knocks!” (“All’assalto! All’assalto! Colpisci veloce, colpisci bene!”).

Il massacro va avanti per due lunghissimi giorni, finché il College non è costretto a capitolare.
Il bilancio è pesantissimo: 93 morti, di cui 63 studenti universitari e 30 residenti.

Sconfitti sì, ma impuniti. Perché se è vero che gli universitari hanno ragione anche quando hanno torto, è vero pure che vincono anche quando perdono: il governo mette infatti fine alla disputa intervenendo a favore dell’ateneo con un nuovo decreto che garantisce ulteriori tutele e privilegi alla popolazione accademica.
A memoria delle violenze subite dagli studenti, poi, ogni 10 febbraio il sindaco e i consiglieri della città dovranno marciare a capo scoperto per le vie cittadine e pagare all’università una multa di un centesimo per ogni studioso ucciso, per un totale di 5 scellini e 3 penny.

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L’edificio che ospitò Swindlestock Tavern, all’incrocio tra Queen Street e St. Aldates Street è ora sede di una banca

Le tensioni tra Comune e ateneo continueranno a covare sotto la brace per secoli ma nessun episodio di sangue si ripeterà mai più. Quanto al rituale delle scuse e del dazio, proseguirà ogni anno per 470 anni: nel 1825, infatti, il sindaco si rifiuterà di prendervi parte chiudendo così la tradizione.

Per un’autentica pacificazione bisognerà aspettare invece il 10 febbraio del 1955, quando in occasione del 600º anniversario, la commemorazione dei moti studenteschi di Santa Scolastica fornirà l’occasione per un’ideale riconciliazione suggellata da due atti simbolici: l’Università di Oxford assegnerà al sindaco un titolo onorifico, mentre l’autorità cittadina conferirà al vice-cancelliere la cittadinanza onoraria.

Quanto alla taverna della discordia, esiste ancora; anche se nel frattempo è diventata una banca: nell’edificio che ospitava Swindlestock Tavern a Carfax, all’angolo tra via St. Aldates e Queen Street, oggi trova infatti posto la sede della spagnola Santander Bank.

Arnaldo Casali

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