La porta del sapere. Cultura alla corte di Federico II di Svevia

da

Fulvio Delle Donne, La porta del sapere
Cultura alla corte di Federico II di Svevia, Carocci Editore, 2019

Federico II di Svevia (1194-1250) fu l’ultimo a dare un senso universale al titolo di imperatore. Per circa un trentennio fu il signore più potente d’Europa, rivelando in ogni gesto piena consapevolezza del proprio ruolo: consapevolezza che acquisì in maniera graduale e sempre più netta mentre divampava il fuoco del violentissimo scontro con il papato. È qui la radice primigenia che lo portò a farsi fautore di uno straordinario rinnovamento ideologico, del quale furono artefici i letterati e i funzionari che lo circondarono. La sua corte divenne così polo attrattivo di tradizioni culturali multiformi e centro propulsore di innovazioni letterarie e scientifiche destinate a esercitare decisiva influenza per i secoli a venire. Nel libro si indagano compiutamente i caratteri e l’elaborazione di una dirompente concezione culturale. Per la prima volta nella storia, la conoscenza derivata dallo studio approfondito fu rappresentata come una scalinata che conduce al sapere, unica porta di accesso alla nobiltà: sia quella spirituale delle virtù sia quella più concreta delle professioni funzionali all’amministrazione dello Stato.


Imperatore. Federico II di Svevia (1194-1250) fu l’ultimo a dare senso universale a quel titolo, rivelando piena consapevolezza in ogni gesto.

La sua corte fu polo attrattivo di tradizioni culturali molteplici (latina, romanza, greca, araba, ebraica) oltre che centro propulsore di straordinarie innovazioni letterarie e scientifiche.

Il libro di Fulvio Delle Donne, La porta del sapere. Cultura alla corte di Federico II di Svevia (Carocci, 2019 ) indaga l’elaborazione della dirompente concezione del sapere dell’erede delle dinastie degli Hohenstaufen e degli Altavilla.

Federico II di Svevia fu certamente un personaggio capace di generare speranze e timori: destinato alla guida del mondo per stirpe familiare e attese, fu l’ultimo del Medioevo a dare un senso universale alla funzione imperiale, ma fu anche potente signore di un regno collocato al centro del Mediterraneo.

Aspetti nazionali e sovranazionali, dunque, si univano e si sovrapponevano in lui, tanto che sarebbe impossibile distinguere il re di Sicilia dall’imperatore. Nella sua figura convergevano tradizioni tedesche e normanne, modelli culturali occidentali e orientali, aspirazioni mistiche e pulsioni terrene, e la sua corte, sempre in movimento tra Sicilia, Italia meridionale e settentrionale, Germania e Terra Santa, non poteva non rappresentare tale eterogeneità.

Tracciare un quadro sintetico della cultura che si sviluppò alla corte di Federico II, dunque, significa dare un ordine alla complessità, a partire dal concetto stesso di corte, che in quel contesto storico è molto ambiguo. Fu per circa un trentennio il signore più potente dell’Europa, un’Europa che – secondo gli schemi mentali di quei secoli – estendeva le sue propaggini a tutto il bacino del Mediterraneo.

Federico ebbe piena consapevolezza del proprio ruolo: una consapevolezza che acquisì gradualmente e in maniera sempre più netta mentre divampava il fuoco violentissimo dello scontro con il papato. Dunque, è questa la radice primigenia che portò l’imperatore a farsi fautore di quello straordinario rinnovamento ideologico, che egli più o meno esplicitamente e più o meno formalmente affidò ai letterati e ai funzionari attivi presso la sua corte.

Nei suoi apparati amministrativi le regole della retorica si fusero con le norme del diritto e le fondamenta ideologiche del pensiero cristiano si adattarono alle strutture filosofiche e scientifiche della speculazione aristotelica o averroistica.

In questa prospettiva, egli organizzò l’acquisizione del sapere in funzione di un preciso progetto di governo, che trovò il momento fondativo nell’istituzione dell’Università di Napoli (1224): gli insegnamenti lì offerti – come viene ripetutamente affermato nelle fonti documentarie che la riguardano – avrebbero costituito la scala per accedere alla conoscenza, e la conoscenza avrebbe aperto le porte alla nobiltà, che fonde le virtù dell’animo con la capacità di amministrare gli uffici dello stato. Fu, dunque, l’esigenza di sviluppare, allo stesso tempo, sia un apparato amministrativo fidato ed efficiente che una comunicazione ufficiale ed efficace a imprimere il proprio stigma sulla produzione culturale che ne derivò.

Una produzione che non poteva non essere, necessariamente, il riflesso del “sublime” ruolo imperiale, dell’istituzione che, secondo la teologia politica dell’epoca, era imposta da Dio a guida del mondo e costituiva un ineludibile modello esemplare per tutta l’umanità.

Fulvio Delle Donne
La porta del sapere
Cultura alla corte di Federico II di Svevia

Carocci editore, 2019
ristampa: 2^, 2020
Per maggiorni informazioni: scheda libro

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