Martin Lutero un secolo prima di Martin Lutero. Jan Hus fu un predicatore boemo dotato di enorme carisma e di un’oratoria trascinante, un prete intollerante e coerente che per difendere le sue idee sulla riforma della Chiesa o sull’autorità del papa e dei cardinali avrebbe affrontato qualunque prova.
Non vide mai quello che solo al monaco tedesco riuscì di realizzare, ma in un immaginario calcolo dare-avere, l’enormemente più celebre e celebrato Lutero dovrebbe fare tre passi indietro, chinare il capo, tacere per qualche momento e, fronte bassa, rendere omaggio al suo predecessore. Che, sostenendo le sue stesse tesi cento anni prima di lui, chiese e ottenne di difenderle nientemeno che davanti a un concilio universale, quello di Costanza del 1415.
Lutero, convocato, si rifiutò di andare a Roma. Hus, invece, si presentò davanti ai suoi accusatori ribattendo colpo su colpo ai loro sofisticati ragionamenti senza mai discostarsi dalle sue posizioni, finché, messo alle strette, “per non scandalizzare i discepoli”, il 6 luglio 1415, urlando e inveendo contro i suoi aguzzini, si incamminò verso il rogo.
Eppure i suoi inquisitori, i cardinali Pierre d’Ailly e Francesco Zabarella, fecero numerosi tentativi per salvarlo. Può sembrare strano, visto che quando Hus si presentò a Costanza le sue tesi erano già state condannate ai massimi livelli della gerarchia ecclesiastica. Eppure è così. Lo provano le sue lettere dal carcere e la cronaca più dettagliata a nostra disposizione, opera di un testimone oculare che era anche suo zelante discepolo: Petr di Mladoňovice.
Secondo il racconto di Petr, più volte il cardinale d’Ailly ammonì Hus che insistere nella richiesta di ulteriori udienze per spiegare le sue teorie, dopo che queste erano già state discusse e demolite punto per punto, non gli avrebbe giovato.
Quando il boemo contestò alcune affermazioni che gli erano state attribuite, Zabarella propose una “forma di abiura limitata” chiedendo all’imputato di esprimersi solo su quella, ma fu il re dei Romani Sigismondo, presente a Costanza per il concilio e spettatore al processo, a perdere la pazienza: “Perché non vuoi abiurare gli errori che secondo te ti vengono attribuiti falsamente? Io non avrei difficoltà ad abiurare tutti gli errori, non importa se li ho sostenuti o no”. “Maestà, se io abiurerò gli articoli in cui non credo mentirò alla mia coscienza e sarò dannato!”.
Sottigliezze che Sigismondo non poteva apprezzare: “O ritratti gli errori che qui sono stati condannati, o vai incontro alla legge”. Hus sarebbe andato incontro alla legge. Ma prima gli venne sottoposta una nuova lista di “errori”, sensibilmente più corta della precedente, e anche questa volta il boemo si rifiutò di abiurarla.
Una terza formula, escogitata sempre da d’Ailly e Zabarella, recitava così: “Anche se mi sono state imputate molte cose che non ho mai pensato, mi sottometto umilmente alla misericordia, agli ammonimenti, alle condizioni e alle correzioni del sacrosanto concilio generale”. Niente da fare.
In una lettera dal carcere, Hus scrisse di “innumerevoli persone venute a spiegarmi che se si tratta di sottoporre la mia volontà a quella della santa Chiesa rappresentata dal sacro concilio, abiurare è legittimo, e che, anzi, confessando una colpa che non si ha si acquistano dei meriti”. Fatica sprecata.
Chiese e ottenne di potersi confessare. Un prete andò nella sua cella, lo ascoltò “con grande attenzione e misericordia”, come raccontò Hus stesso, e alla fine lo assolse. Vuol dire che in coscienza si riconciliò con la Chiesa? Molto improbabile. Profondamente convinto di essere dalla parte della verità, Jan Hus era anche una persona temeraria e un idealista, per nulla interessato a sapere dove quella verità lo avrebbe condotto.
Senza saperlo, rimase incastrato nel mezzo di uno scontro epocale il cui epicentro era proprio il concilio di Costanza, una specie di G20 del Medioevo in cui uomini di Chiesa, principi e re, dottori e teologi delle maggiori università europee furono chiamati a risolvere la più grave crisi della cristianità dal tempo della lotta per le investiture: la spaccatura in due e poi in tre obbedienze pontificie diverse, nota come Scisma d’Occidente.
Costanza nacque sul presupposto che, per risolvere la questione, al concilio dovesse attribuirsi un’autorità superiore a quella del papa stesso. E su quale terreno si esplicava maggiormente l’autorità di Pietro se non su quello della lotta alle eresie e la difesa dell’ortodossia?
Qualunque flessione degli inquisitori davanti alle ragioni di Hus avrebbe, insomma, potuto ringalluzzire le ragioni dei “papisti” di fronte a quelle dei “conciliaristi”.
Anche per questo, dopo tutto, la condanna di Hus poteva considerarsi ampiamente prevista a meno di una sua ritrattazione.
Ritrattazione che, però, non era decisamente nello stile del personaggio.
Quel 6 luglio fu arso vivo in un campo fuori Costanza chiamato dai residenti, ironia della sorte, “Paradiso”. Una Chiesa meno in crisi di identità e più coraggiosa avrebbe potuto giudicarlo più equamente risparmiandosi così tanti dolori futuri.
Ma, tutto considerato, forse fu Jan Hus a nascere cento anni prima del dovuto.
Mario Prignano
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