
Tipario del Comune di Gubbio. Fine XIII – inizi XIV secolo. Ottone dorato, 6 cm di diametro. Iscrizione: eugubio signu(m) fortis / mons e(st) m(ihi) dignu(m) (A me Gubbio si addice, come emblema, un alto monte). Gubbio, Museo Civico, inv. 1092
Il sigillo è il più piccolo oggetto esposto nella mostra “Gubbio al tempo di Giotto”, ma è uno dei cimeli più importanti del Medioevo eugubino. Questo genere di oggetti vengono anche definiti “tipari” e sono dei veri e propri timbri usati per imprimere impronte di cera o di altro materiale plastico. Il “tipario” di Gubbio era quindi utilizzato per sigillare, ovvero autenticare i documenti e gli atti diplomatici di alta rappresentanza emanati dal comune di Gubbio.
Fu realizzato alla fine del Duecento. Al centro vi appare una città murata e turrita, orlata di merli di parte guelfa. Sulla sommità delle torri laterali si affacciano, come vedette, due figure sacre ritratte a mezzo busto: San Pietro, con una grossa chiave, e San Paolo, con la spada. Sullo sfondo, invece, incombe un monte, quello su cui Gubbio si era adagiato e pertanto eletto a simbolo araldico della città. La presenza degli apostoli Pietro e Paolo, posti a difesa delle mura, ma che guarda caso non compaiono mai come santi protettori della città, si giustifica per l’adesione degli amministratori locali al partito guelfo, la fazione di appoggio al papa a cui gli eugubini scelgono di aderire per motivi prettamente politici nella seconda metà del Duecento.
Gubbio fa parte dello Stato della Chiesa e Perugia è un’agguerrita roccaforte guelfa che ambisce al governo dei territori limitrofi, soprattutto di quelli più vivaci e rivoltosi, come il nostro. Per sfuggire al suo controllo fu ritenuto necessario adeguarsi alle politiche filo papali. Per lo stesso motivo lo stemma della casata degli Angioni, dinastia regnante in Italia meridionale e super alleata del papa, è posto nell’architrave del portale del Palazzo dei Consoli accanto al simbolo di Gubbio e dello Stato della Chiesa. Sarà una scelta felice, la cui ricaduta contribuirà ad un lungo periodo di quiete e di crescita economica, urbanistica, territoriale. Quella scelta ci consegna la Gubbio che conosciamo.
Infine, nel sigillo non compaiono i più antichi protettori di Gubbio (Mariano e Giacomo martiri africani e San Giovanni Battista) e nemmeno il più recente, Sant’Ubaldo, cittadino e vescovo locale, santificato nel 1192. Anche questa è una scelta, questa volta iconografica, dettata forse da una certa omologazione necessaria per aderire al partito guelfo. Ma il nostro è un “tipario” parlante, perché è la città stessa ad autoproclamarsi attraverso la scritta che corre lungo il bordo esterno del sigillo: “A me Gubbio si addice, come emblema, un alto monte”. Allora Ubaldo è evocato, perché quello raffigurato sullo sfondo è il Monte di Sant’Ubaldo, il «colle eletto dal beato Ubaldo» come lo definisce Dante nell’XI canto del Paradiso, il colle scelto dagli eugubini come luogo ideale per costruire una città nuova, una città moderna e sicura.
Il sigillo è esposto presso la sede del Palazzo dei Consoli, Sala dell’Arengo.
Francesco Mariucci