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Maestro dei crocifissi francescani (Guido di Pietro da Gubbio), Museo Civico di Faenza

Alla metà del Duecento ad Assisi sono convocati i più grandi pittori del momento. Sono artisti affermati e giovani promettenti a cui viene assegnato il compito di decorare la chiesa che nel frattempo era diventata un vero e proprio reliquiario perché sacralizzata dalla tomba del fondatore dell’ordine francescano, la Basilica inferiore di San Francesco.

Tra questi Giunta Pisano, il fuoriclasse della pittura italiana del Duecento prima che Cimabue scendesse in campo. All’epoca lo stile pittorico in voga è quello che chiamiamo “bizantino”, una moda elegantissima proveniente dal vicino Oriente, che si era diffusa e affermata in Italia e che qui resiste fino alla seconda metà del Duecento. La pittura bizantina, priva di volume e senza profondità, ma sofisticata e ricca di finezze, rispondeva principalmente all’esigenza di rappresentare simbolicamente un’immagine sacra, descriverne il sentimento, lo spirito, l’essenza, e non tanto di concretizzare figure nella materia, nella realtà, nello spazio circostante. Insomma, è uno stile particolarmente adatto a raffigurare il sacro, il suo mistero, l’aurea soprannaturale che ne deriva.

Lo stesso stile, ad Assisi, distingue un grande anonimo che chiamiamo “Maestro dei crocefissi francescani”: un pittore di croci dipinte che lavora principalmente su commissione dei francescani, che proprio da Giunta Pisano prende spunto e che dopo l’esperienza formativa umbra (siamo verso la metà del Duecento), migra in Romagna dove pare stabilirsi definitivamente. Un analogo itinerario che dall’Umbria termina a Bologna sembrerebbe quello dell’eugubino Guido di Pietro, padre del celebre Oderisi da Gubbio, il miniatore celebrato da Dante nel canto XI del Purgatorio («Oh!, diss’io lui, non se’ tu Oderisi, l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte ch’alluminar chiamata è in Parisi?»).

È un percorso a ostacoli, ma la storia dell’arte è fatta anche di ricostruzioni, di ipotesi, a volte di congetture, croce e delizia degli storici dell’arte. Rarissimi documenti d’archivio, infatti, permetterebbero, secondo Elvio Lunghi, uno dei curatori della mostra “Gubbio al tempo di Giotto”, di capire che Guido di Pietro, padre di Oderisi, era pittore, che si trova a Bologna prima del 1268 e che risulta morto nel 1271.

Queste ed altre analisi lo hanno convinto a proporre, pur con un punto interrogativo, il nome di Guido di Pietro da Gubbio quale candidato all’identificazione anagrafica del “Maestro dei crocefissi francescani”. Si tratta, naturalmente, di una proposta, ma che consente di «ricollegare in maniera affatto intrigante la parabola umana e artistica di questa personalità di primo piano del Duecento pittorico italiano con i dati biografici estremamente scarni di un artista di origine umbra, certamente presente e operoso a Bologna nello stesso periodo del Maestro dei crocefissi francescani» (Tartuferi).

Vale a dire che se davvero Guido di Pietro da Gubbio è il “Maestro dei crocefissi francescani” allora il padre di Oderisi è uno dei più importanti pittori della metà del Duecento in Italia. Ecco perché nella mostra di Gubbio sono stati convocati due croci dipinte di questo grandissimo anonimo, una realizzata per Fabriano, l’altra per Faenza. Raffigurano il Christus patiens, il Cristo morto sulla croce, modello bizantino adottato nel corso del XIII secolo dall’ordine francescano che ne rilancia il significato antico e profondo del tema della sofferenza di Cristo, del suo sacrificio, stimolando nel devoto riflessione, meditazione, raccomandazione, in una parola, preghiera.

La stessa che recita Francesco, ritratto inginocchiato e a mani giunte, supplice ai piedi del Cristo nella straordinaria croce voluta per la chiesa francescana di Faenza.

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