Tagina, il destino di un impero

da

RoccaFlea

Rocca Flea, a Gualdo Tadino, risale al basso Medioevo. Fu edificata su un antichissimo luogo di culto dedicato a San Michele Arcangelo, fondato in epoca longobarda (sec. VIII-IX) e chiamato Sant’Angelo di Flea.

Umbria orientale, città di Gualdo Tadino. Il doppio nome, dal longobardo wald (bosco) e dal semitico tagin (corona o primavera), indica una storia antica e travagliata, scritta da popoli di origini diverse che, in qualche episodio, hanno deciso le sorti di un impero.

Questo è uno di quelli.

E’ l’alba del 30 giugno 552. La popolazione di Tagina, l’antica Gualdo Tadino, osserva attonita due armate schierate sulla piana ai piedi del villaggio. Lo spettacolo è impressionante: una moltitudine di soldati tra fanti, arcieri e cavalieri, è pronta a combattere.
Lo scontro è decisivo. Resterà nella storia come la Battaglia di Tagina, la chiave di volta della guerra bizantina contro gli Ostrogoti, il popolo venuto dal nord che ha conquistato la penisola dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente.

L’esito del combattimento decreterà la sorte dell’intera guerra. L’armata barbara che domina l’Italia è da tempo sulle tracce dell’esercito dell’Impero Romano d’Oriente, che da Costantinopoli ha attraversato i Balcani per liberare Roma, e finalmente lo intercetta nella zona di Tagina.

I due schieramenti si fronteggiano, scrutandosi a vicenda. L’aria calda d’estate imperla di sudore le fronti dei soldati, mentre brividi gelidi corrono lungo le loro schiene. La tensione per lo scontro imminente è palpabile.

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San benedetto riconosce e accoglie Totila, Luca signorelli, storie di San Benedetto a Monte Oliveto Maggiore (Asciano, Siena).

Il Re ostrogoto Totila osserva con studiata freddezza l’armata nemica. Il suo corpo è immobile, ma la sua mente lavora alacremente. Sta valutando le forze dell’avversario, e si rende conto che i suoi uomini sono in netta minoranza rispetto ai 20.000 soldati del generale Narsete.
Intravede un’unica possibilità per ribaltare le sorti di quella che sembra una sconfitta annunciata. Giocare d’astuzia. Dichiara di volersi arrendere, e l’esercito bizantino si rilassa, abbassando un po’ la guardia. E’ un grave errore.

Totila sferra a sorpresa un attacco fulmineo, e conquista una collina dove si arrocca con i suoi uomini, nell’attesa dei rinforzi. Sa che stanno per raggiungerlo 2.000 soldati a cavallo guidati da Teia, il suo più fidato luogotenente, e vuole ritardare lo scontro fino a quel momento.
Per temporeggiare, propone al nemico una sfida al singolare: chiama dalle file dei suoi soldati Cocca, il combattente più forte e spietato, un disertore bizantino che si è guadagnato una sinistra reputazione per la sua potenza e crudeltà nei duelli. Alla sfida risponde Anzala, l’armeno, guardia del corpo di Narsete.

I due uomini si fronteggiano a cavallo. Tutto intorno c’è un silenzio irreale. Nell’aria immobile serpeggia un’ostilità tangibile fra i due avversari. Cocca parte veloce alla carica, ma Anzala rimane fermo al suo posto. Anche il suo destriero ha sangue freddo: obbedendo ai suoi ordini, scarta di lato solo all’ultimo istante, quando il disertore bizantino gli è quasi addosso. E in quel momento l’arma di Anzala scatta fulminea, pugnalando mortalmente al fianco il nemico.

E’ un cattivo presagio per gli Ostrogoti, ma Totila non si perde d’animo. In sella al suo enorme destriero, inscena una danza di guerra rivolta ai bizantini. La sua armatura dorata scintilla al sole e il lungo mantello color porpora è agitato dal vento, mentre esegue il complicato esercizio equestre che mira a provocare un crollo nel morale degli avversari.

Quando infine Teia lo raggiunge con i rinforzi, Totila volge le spalle al nemico. Rompe le formazioni e pranza indifferente con tutti i suoi uomini, per dimostrare una sfacciata sicurezza sull’esito dell’imminente battaglia. In realtà si augura di spiazzare gli antagonisti con il suo comportamento sprezzante, e aspetta paziente che i tarli del dubbio e della paura si facciano strada nella mente dei bizantini, per indebolire il loro rendimento al momento dello scontro.

Narses

Ritratto tradizionalmente identificato con Narsete, dal mosaico raffigurante la corte di Giustiniano nella Basilica di San Vitale, a Ravenna.

Ma nei suoi calcoli non ha tenuto conto delle capacità del generale bizantino Narsete. Un uomo duro ed esperto, che non si lascia ingannare dalle tattiche psicologiche del nemico.
Ha più di sessant’anni ormai, ed è cresciuto fra gli intrighi di corte del palazzo imperiale di Costantinopoli, dove si è guadagnato l’illimitata fiducia dell’Imperatore Giustiniano e di sua moglie Teodora, portando a termine delicate missioni diplomatiche che hanno salvato più volte l’Impero Romano d’Oriente dalla disgregazione. L’imperatore lo ha da poco fregiato del titolo di generale, e lo ha incaricato di riconquistare l’Italia, caduta in mano agli Ostrogoti dopo la decadenza dell’Impero Romano d’Occidente.

Narsete è un eunuco, e forse il Re barbaro lo sottovaluta per questo. E’ un armeno persiano di umili origini, che ha iniziato la sua carriera come servitore alla corte di Costantinopoli. Grazie al favore di Teodora ha scalato in poco tempo la gerarchia degli addetti alla camera da letto imperiale, diventando prima tesoriere, e poi primo ufficiale dell’Impero.

E’ anche un eccellente stratega. Nonostante la superiorità numerica del suo esercito, schiera i suoi uomini in assetto fortemente difensivo, ammassando al centro una fitta falange di fanti longobardi ed eruli, e disponendo ai lati gli arcieri bizantini, con la cavalleria alle spalle. Durante il pranzo dei nemici permette alle truppe di rinfrescarsi, ma ordina che nessuno lasci la propria posizione.

Totila infine, quando sferra l’attacco, lancia i suoi uomini in massa verso il centro della formazione avversaria. Spera in una battaglia veloce, che colpisca subito al cuore il nemico, per evitare le pesanti conseguenze dell’azione degli arcieri bizantini.

Ma Narsete è preparato. Ordina agli arcieri di inclinare il loro tiro verso il centro, in modo da proteggere i fanti falciando la prima linea ostrogota. In questo modo, anche l’attacco della cavalleria di Teia si fa più esitante, e i barbari subiscono altissime perdite.

Verso sera, Narsete sferra l’attacco finale. Lo schieramento nemico è ormai caotico, completamente disorganizzato. Le file ostrogote si rompono, e gli uomini si disperdono, pensando a salvarsi più che a combattere.

Alla fine, 6.000 Ostrogoti rimarranno sul campo. Totila stesso è ferito gravemente. I suoi fedelissimi lo trascinano nel bosco che lambisce la piana. Morirà poco lontano da Gualdo Tadino.
La disfatta è totale. E la guerra praticamente vinta. Entro la fine dell’anno Narsete riprende Roma, caduta con una debole resistenza ostrogota.

Grazie alla battaglia di Tagina, l’Impero è di nuovo Romano. La città eterna, con Venezia, Ravenna, la Romagna e le isole di Sicilia e Sardegna, resterà ai bizantini per altri due secoli. Diversa la sorte di gran parte dell’Italia settentrionale e centrale, che verrà presto conquistata dai Longobardi. E’ sotto il dominio di questa popolazione della Germania orientale che la cittadina umbra acquisirà la prima metà del suo nome attuale, Gualdo, dopo la distruzione quasi completa del 996 ad opera di Ottone III, Imperatore del Sacro Romano Impero.

Ma questa è un’altra storia.

Daniela Querci

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