Quel diavolo di un Arlecchino

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La Caccia Selvaggia dipinta da Friedrich Wilhelm Heine (1882)

È il 1 gennaio 1091. Un giovane prete di nome Gualchelmo sta attraversando la foresta per tornare nella sua chiesa di St. Aubin d’Anjou, nel piccolo borgo di Bonneval. Ha appena visitato un parrocchiano malato che abita oltre la foresta. Fa freddo e tira forte il vento. È normale, siamo in Normandia, a pochi chilometri dalla costa.

Gualchelmo è solo. Intorno non c’è anima viva. Quando, da lontano, si sente un rumore di cavalli al galoppo, urla di dolore, una risata diabolica.
Gualchelmo si nasconde dietro una siepe, giusto in tempo per ammirare un corteo sconfinato di uomini e donne torturati da demoni. E poi una fila sterminata di vescovi, giudici e cavalieri. Tutti morti e tutti dannati. A chiudere questo exercitus mortuorum c’è un gigante a cavallo, un demone con una maschera nera in volto e una clava di legno in mano che picchia ridendo i suoi compagni di viaggio. Il prete lo riconosce, ha sentito parlare di lui, sa che ogni inverno scorrazza col suo corteo di anime morte e dannate lungo le coste normanne. E a bassa voce, mormora il suo nome: Hellequin.

Il primo a raccontare la leggenda della Mesnée d’Hellequin, la masnada di Arlecchino, è lo storico normanno Orderico Vitale nella sua Historia Ecclesiastica, terminata nel 1141.
Nel centro e nord Europa pagano si credeva che in alcune notti di tempesta invernali, un essere soprannaturale guidasse un corteo di folletti, bestie e spiriti in una caccia selvaggia senza fine, tra cielo e terra. Chi fosse capitato in mezzo a questa corsa sarebbe stato rapito e portato nel Regno dei morti. Il dio o il demone infernale a capo di questa masnada cambiava a seconda della cultura.

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Odino cavalca Sleipnir, cavallo a otto zampe

In Scandinavia si credeva che a capo della “Caccia Selvaggia” ci fosse la dea della morte Hel e le sue valchirie Herlequins o addirittura lo stesso Odino che cavalca Sleipnir, un cavallo a otto zampe. In Germania Odino diventò Herla King (re dell’Aldilà) e in Inghilterra Herla Cyning. L’avvento del cristianesimo trasformò gli dei pagani in demoni e gli spettri in anime dannate.

La credenza della “Caccia selvaggia” arrivò anche nel nord della Francia. Il demone ctonio, cioè sotterraneo, diventa Herlequin dopo essersi fuso con la leggenda di Hellequin de Boulogne, un conte cristiano delle Fiandre realmente ucciso nell’Abbazia di Samer intorno nel 880 d.C. mentre combatteva i Normanni.

Da lì nacque la leggenda del cavaliere dannato che ritorna nel campo dove era morto per fare penitenza dei suoi peccati passati. Lo scrive Walter Scott, l’autore di Ivanhoe, che allega il riassunto dei versi dedicati a questo conte a un suo lavoro sulla poesia scozzese, Minstrelsy of the scottish Border.

Herla King, Hellequin, Arlecchino. La trasformazione da anima dannata a diavolo comico deve molto al lavoro di Adam de la Halle, trovatore del XII secolo in lingua d’oil.

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Zuffa tra Alichino e Calcabrina, illustrazione di Gustave Doré relativa al XXII canto della Divina Commedia

È il 1 maggio 1262 e ad Arras, nella sua città natale, Adam detto “il gobbo” mette per la prima volta in scena Jeu de la Feuille, considerato uno dei più antichi esempi di teatro profano del Medioevo. Protagonista dell’opera è Herlequin Croquesots, un diavolo comico con una maschera nera che mima un ghigno diabolico: ha due protuberanze sulla fronte, residui delle corna da diavolo, ormai perdute. Sul palco, con in testa un mantello a cappuccio multicolore, prende in giro i cittadini del paese raccontando davanti a tutti i difetti di ognuno.

Ormai Herlequin non fa più paura: è libero di scioccare, sputare, essere scurrile, scherzare con chiunque, come un personaggio fuori dal comune.
Arlecchino è diventato un diavolo comico e la sua maschera inizia a diffondersi in Francia, con qualche sporadico spettacolo in Italia. Alcune fonti dicono che Dante Alighieri avrebbe assistito a uno spettacolo del genere il 1 maggio del 1304 a Firenze oppure durante il viaggio a Parigi, che Boccaccio ci assicura il Poeta abbia intrapreso.

In ogni caso, Dante doveva averne sentito parlare, visto che inserisce un personaggio di nome Alichino nella Divina Commedia.
Siamo nel XXI canto dell’Inferno. Qui i diavoli sono di casa e Alichino non fa eccezione. Fa parte dei Malebranche, il gruppo di demoni che vigila affinché i dannati della quinta bolgia dell’ottavo cerchio rimangano nella pece bollente. Alichino non ha ancora il nome di Arlecchino che oggi conosciamo, ma non perde il suo carattere comico.

Dante lo descrive come un credulone e la sua disavventura è uno dei pochi passaggi comici dell’Inferno.

arlecchino-a-cavalloNel XXII canto, Alichino con arroganza accetta davanti agli occhi stupiti di Dante e Virgilio l’offerta del dannato Ciampolo di Navarra, che pur di non essere squartato dai diavoli promette di far sbucare fuori dalla pece bollente altri sette suoi compari. Ma in un momento di distrazione generale Ciampolo riesce a rituffarsi nello stagno bollente e a scappare dai demoni.

Per recuperare dalla figuraccia, Alichino cerca in modo goffo di raggiungerlo per uncinarlo. Ma non ci riesce. Allora il collega demone Calcabrina, infuriato, raggiunge Alichino. I due si azzuffano e cadono nella pece bollente, mentre Dante e Virgilio se ne vanno lasciando i due diavoli al loro destino.

Solo verso la fine del Cinquecento nasce l’Arlecchino che tutti conosciamo. Durante il carnevale del 1584, Tristano Martinelli, attore della Compagni dei Comici Gelosi, adattò il personaggio bergamasco Zani, per il pubblico francese, fondendolo con la maschera demoniaca di Herlequin. È Arlecchino, il servo sciocco ma all’occorrenza diabolicamente astuto, con una maschera nera ghignante e un vestito di lino grezzo, con rombi di tutti i colori per adattarsi al gusto parigino dell’epoca.

Andrea Fioravanti

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