urna-a-7000Possiamo solo immaginare con quanto stupore e incredulità gli eugubini scoprirono che il corpo del vescovo Ubaldo, morto il 16 maggio del 1160 e sepolto in un sarcofago marmoreo all’interno della cattedrale, non si era decomposto, ma si era invece perfettamente conservato. Un miracolo!

Siamo alla fine del XII secolo e nell’immaginario popolare il mantenimento dell’integrità corporea dopo la morte era naturalmente interpretato come dimostrazione, constatazione di santità. E santo, Ubaldo da Gubbio, fu proclamato poco dopo da papa Celestino III, nel 1192, tra l’esultanza e la soddisfazione degli eugubini che lo elessero immediatamente protettore della città.

Da questo momento popolo e clero si presero cura della preziosissima reliquia, giunta fino a noi perfettamente integra, protetta dal XIII secolo presso una chiesa appositamente costruita in cima al monte, non a caso lo stesso monte che compare nello stemma araldico di Gubbio e che Dante ricorderà come il “colle eletto dal beato Ubaldo” (Paradiso, XI). Non solo. I devoti sapevano che una reliquia, perché raccogliesse la pietà dei fedeli e perché compisse miracoli, doveva essere accessibile e soprattutto visibile.

urna-a-7068In questo periodo, tra XIII e XIV secolo, si afferma il culto del santi locali, ritenuti a ragione un dono di Dio e al contempo simbolo del prestigio e icona dell’identità cittadina. Con questo criterio venne allora progettato e realizzato, intorno al 1330, vale a dire in contemporanea con la costruzione del Palazzo dei Consoli, del Palazzo del Podestà e di Piazza Grande, una monumentale arca in legno, fatta ad imitazione di un sarcofago marmoreo, un sepolcro-reliquiario capace di contenere, proteggere e presentare il corpo incorrotto del patrono. Perché una volta aperto lo sportello frontale dell’arca, durante le rare ostensioni della reliquia, i fedeli potevano avvicinarsi alla grata protettiva e scrutare l’interno della cella funeraria dove oltre al corpo del santo erano conservate delle pitture su tavola, dipinti preziosissimi, posti accanto al patrono per sacralizzarne la tomba.

La segretezza e la difficile visibilità di questi dipinti era intenzionale, voluta per accrescere l’aura di sacralità del sacello, scrutato di sotto in su e di lato, tra la luce accidentale delle lampade a olio e delle candele. Per questo straordinario manufatto, nel suo genere tra i più rari del Medioevo occidentale, fu all’opera uno dei pittori più importanti del primo Trecento italiano, un allievo e poi compagno di Giotto, che forse possiamo riconoscere nel pittore eugubino Palmerino di Guido, ma che gli studiosi conoscono col nome di “Maestro espressionista di Santa Chiara”.

Insomma, un monumento unico e particolarissimo destinato a fissare, nella coscienza civica degli eugubini, la massima ragione di gloria della città. L’arca di Sant’Ubaldo, prima di essere sostituita da un nuovo sepolcro, raccolse per circa quattrocento anni le speranze, la devozione e la pietà di tutti gli eugubini.

Francesco Mariucci

error: Tutti i contenuti di questo sito web sono protetti.