La vita gloriosa e spericolata di Carlo Zen

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Carlo Zen. L’eroe di Chioggia (Graphe.it edizioni, 2018) è il quarto titolo della collana I condottieri, curata da Gaetano Passarelli per la casa editrice perugina. Il libro di Nicola Bergamo è un affascinante ritratto di un uomo dalla vita gloriosa e spericolata. Fu uno dei più grandi condottieri della Serenissima: ammiraglio, eroe di guerra, salvatore della patria in occasione della “guerra di Chioggia” contro Genova. Ma subì anche un processo per tradimento, e venne condannato per evasione fiscale, prima di essere celebrato dai suoi concittadini con esequie grandiose. Un guerriero pronto ad ogni battaglia ma capace anche di fondare un circolo culturale, una delle prime accademie d’Europa e di portare a Venezia i maggiori sapienti del suo tempo.

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Certo che leggendo le vicissitudini di Carlo Zen vien da pensare che Bertolt Brecht non abbia capito un tubo: “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” fa dire il drammaturgo tedesco a Galileo. Invece averne di eroi così, di personaggi che hanno dedicato tutte le proprie notevolissime capacità militari al servizio dello stato, la repubblica di Venezia.

Forse, proseguendo con la massima di Brecht, si può dire che Venezia non aveva bisogno di eroi, il suo essere repubblica faceva sì che le responsabilità di governo fossero collettive e non prerogativa di un signore o di un principe, come accadeva altrove. Però se qua e là un eroe emergeva, proprio male non faceva.

Busto di Carlo Zen, opera di Angelo Giordani precedente al 1847

Non ce ne sono tanti di personaggi così fulgidi come Carlo Zen nella storia di Venezia: Enrico Dandolo che conquista Costantinopoli (ma i bizantini non sarebbero d’accordo, ovviamente), Sebastiano Venier a Lepanto, Francesco Morosini nel Seicento, forse Angelo Emo, ma ormai a fine Settecento non erano più tempi. Di quello spessore difficile trovarne altri. E poi, non possiamo nascondercelo, un pizzico di tornaconto personale non mancava mai. Il patriziato era sempre diviso in fazioni e questi personaggi erano uomini del loro tempo, ben inseriti nei meccanismi del potere e quindi facevano parte dell’uno o dell’altro gruppo che si batteva per il controllo delle magistrature veneziane. Per questo avevano nemici: non si deve pensare che le loro gesta raccogliessero consensi unanimi, anzi.

Altri patrizi erano gelosi delle imprese vittoriose, e varie magistrature storcevano il naso di fronte al potere che questi eroi sembravano poter accumulare nelle loro mani. Francesco Morosini, tanto per dire, esce dalla basilica di San Marco con il corno dogale in testa e il bastone da Capitano generale da mar in mano e dopo la sua morte viene varata una legge per impedire che a qualcuno in futuro passi per l’anticamera del cervello di cumulare i simboli delle due cariche. Quando Angelo Emo muore si sospetta il suo vice, Tommaso Condulmer, di averlo avvelenato.

Anche Carlo Zen finisce in prigione, per di più assieme a Vettor Pisani, l’altro eroe della guerra di Chioggia: senza loro due è probabile che l’arcinemica Genova sarebbe riuscita a mettere le mani sulla città di San Marco e chissà come sarebbero andate le cose.

Una vita spericolata, quella di Carlo Zen (conosciuto anche con la lezione italianizzata Zeno, ma a Venezia rimaniamo affezionati alle versioni originali: Corner e non Cornaro, Falier e non Faliero, quindi Zen e non Zeno) testimoniata dal fatto che quando, nel 1418, ne denudano il cadavere si contano ben trentacinque cicatrici di ferite, tanto che lo lasciano per un po’ esposto svestito in modo che tutti potessero vedere quale razza di guerriero se ne fosse andato. E non erano graffi da nulla: alcune di quelle ferite avrebbero ammazzato un toro, ma non Carlo Zen.

Quando, fuori Chioggia, una freccia genovese gli passa il collo da parte a parte, il sangue comincia a zampillare e rischia di morire soffocato, lo mettono su un fianco in modo che sputi il proprio sangue, ma sembra spacciato tanto che chiamano il prete.

Palazzo Zen ai Frari, nel sestiere di San Polo, appartiene ancora alla casata Zen

Invece, venti giorni più tardi, Carlo è di nuovo con la spada in mano a guidare i suoi uomini. Leggenda? Verità? Qualche pennellata di colore non possiamo escluderla, ma quella non risulta nemmeno essere l’unica volta che Carlo Zen, novello Lazzaro, se la cava a buon mercato anziché trapassare. In tempi in cui la medicina poteva fare poco, un fisico eccezionalmente forte era la migliore garanzia per sopravvivere a malattie e ferite, e il fisico di Zen doveva essere davvero fuori dal comune.

Una specie di Highlander, un Iron Man in grado di arrivare a ottantaquattro anni dopo che numerose e diverse armi lo hanno perforato, lasciandolo però sempre in vita.

In ogni caso la sua impresa più grande è stata arrivare il 1° gennaio 1380 davanti a Chioggia con la squadra di Cipro per dare man forte a Vettor Pisani che stava assediando i genovesi.

Non si navigava in inverno, a quei tempi, Zen, evidentemente, oltre che un comandante valoroso era pure un capitano impavido che non esitava a sfidare la natura, in aggiunta agli uomini. E, come spesso accade con gli audaci, la fortuna è dalla sua parte.

Il profilarsi delle galee con il vessillo di San Marco si rivela il fattore decisivo per favorire la definitiva vittoria veneziana (la guerra, comunque, non finisce subito). E sarà una di quelle vittorie destinate a modificare gli equilibri geopolitici, cosa che non sempre accade, basti pensare a Lepanto, dall’esito tanto sfolgorante quanto strategicamente inutile.

La conclusione della guerra di Chioggia a prima vista sembra addirittura favorevole a Genova. Con la pace di Torino dell’8 agosto 1381 Venezia deve smilitarizzare Tenedo, l’isola dell’Egeo posta all’ingresso dei Dardanelli da cui tutto era partito, è costretta a cedere Zara agli ungheresi e Treviso al duca d’Austria.

Un ritratto di Carlo Zen

Genova, invece, non deve rinunciare ad alcun territorio. Tutto bene dunque? Macché.

Come scrive Paola Pettinotti nella sua Storia di Genova, il debito pubblico genovese si è triplicato per sostenere lo sforzo bellico, passando da uno a tre milioni di lire tra il 1340 e il 1380, il doppio di quello veneziano. La repubblica ligure non ce la farà più a uscire dalla morsa del debito e sarà costretta a consolidarlo fondando nel 1407, il banco San Giorgio, di fatto la prima banca pubblica del mondo. Una storia di successo quella del banco: sarà chiuso solo nel 1805, in epoca napoleonica, ma per Genova il prezzo da pagare è altissimo: “Una città spossata dallo sforzo bellico, straziata da guerre interne e che sta per perdere, nel giro di pochi decenni, la propria indipendenza politica”, scrive Pettinotti.

Quindi per quella che sarà chiamata la Superba la sconfitta determinata dalle galee di Carlo Zen è definitiva: non si risolleverà mai più. Certo, la sua storia continuerà lunga e gloriosa, deve ancora arrivare quello che Fernando Braudel chiama “il secolo genovese”, ovvero quei novant’anni (1550-1640) in cui i banchieri genovesi fanno da tesorieri ai re di Spagna e si arricchiscono a dismisura.

Alla città ligure tuttavia sarà riservato un ruolo simile a quello della Germania nel secondo dopoguerra: “gigante economico, ma nano politico”. Genova, dopo la guerra di Chioggia, non giocherà più un ruolo da protagonista tra le potenze europee.

Tra l’altro la figura di Carlo Zen dovrebbe avere maggiore rilievo anche tra gli studiosi di storia militare. Da un lato è il primo a pensare di dotare Venezia di una stabile forza di terra perché essere potenti sul mare non basta più. Fino a quel momento la repubblica non disponeva di una vera e propria fanteria, ma utilizzava nei combattimenti di terra i soldati sbarcati dalle galee, impropriamente chiamati fanti da mar. Dall’altro lato è uno di quei comandanti che amano stare accanto alla truppa: combatte fianco a fianco con i suoi soldati, li anima con il suo vocione che doveva essere poderoso (le cronache non mancano mai di riferire degli incitamenti udibili nel fragore della battaglia), è uno che condivide disagi, pericoli e anche, lo abbiamo visto, ferite, con chi gli sta vicino. Per questo è tanto amato dai suoi quanto temuto dai nemici: la fama nei campi di battaglia si ripercuote, in maniera uguale e contraria, in entrambi i lati degli schieramenti.

Gli Zen sono una famiglia che ha pesato molto nella storia della Serenissima.

Il libro di Nicola Bergamo Carlo Zen. L’eroe di Chioggia, ricostruisce la vita di Carlo, ma portano lo stesso cognome i fratelli Nicolò e Antonio che più o meno nei medesimi anni nei quali Carlo combatte contro i genovesi navigano nell’Atlantico del Nord, al servizio di un nobile scozzese.

Raggiungono l’Islanda, la Groenlandia e con ogni probabilità alcuni insediamenti vichinghi che si trovavano sulla costa dell’odierno Labrador.

Naturalmente gli Zen, così come pure i Vichinghi, non hanno la consapevolezza di essere arrivati in un nuovo continente, ma vedono quei villaggi come una delle tante colonie che i navigatori scandinavi hanno fondato nell’estremo Nord.

Carlo Zen, smesse le armi perché ormai ottuagenario, non smette però di esercitare un’influenza profonda nella sua epoca e anche in quelle successive.

La morte di Carlo Zeno in un’opera di Giuseppe Gatteri

Si dedica alla lettura grazie al fatto che l’eccezionalità del suo fisico non l’ha preservato solo dalle ferite belliche, ma pure dalla presbiopia. Ora passa tutto il suo tempo fra i libri, ma non si accontenta di leggere soltanto. Fonda un circolo culturale, un’accademia, una delle prime dell’intera Europa e si impegna a portare a Venezia i maggiori sapienti del tempo. Fra questi anche un greco piuttosto famoso, Emanuele Crisolora. Lo studioso non riesce, come si proponeva, a riavvicinare le chiese di Roma e Bisanzio, né a formare alleanze per bloccare l’avanzata ottomana. Riesce invece a trasmettere la conoscenza e l’amore per il greco. Insegna greco a Firenze e trascorre anche lunghi periodi a Venezia, ospite proprio di Ca’ Zen.

Crisolora è la scintilla che innesca il fuoco dell’Umanesimo e quindi del Rinascimento. Non sappiamo con precisione in quale attività si sia esplicitato il suo soggiorno veneziano, ma possiamo presumere che abbia anche qui, come a Firenze, influenzato profondamente la vita culturale della città lagunare, e quindi si può ipotizzare che l’influenza esercitata da Venezia sull’affermarsi del Rinascimento sia maggiore di quanto comunemente non venga ritenuto (i legami con Costantinopoli andavano ben oltre la presenza di Crisolora), in un’interpretazione di norma tutta rivolta a occuparsi del versante fiorentino.

Uomo di guerra, uomo di lettere, una figura fuori dal comune, quella di Carlo Zen, eroe di altri tempi.

Alessandro Marzo Magno

Nicola Bergamo
Carlo Zen. L’eroe di Chioggia
Collana I condottieri, a cura di Gaetano Passarelli
Graphe.it edizioni, 2018

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