La Sindone e la Veronica

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Il negativo fotografico di un particolare della Sindone, un lenzuolo di lino tessuto a spina di pesce delle dimensioni di circa 4,41 x 1,13 m., contenente la doppia immagine accostata per il capo di un uomo

Stesso volto ma identità diverse. E quando c’è una non c’è mai l’altra.

Sono un po’ come Superman e Clark Kent, la Sindone e la Veronica: la più importante e venerata reliquia dei giorni nostri, praticamente ignorata nel Medioevo e la più importante e venerata reliquia del Medioevo, scomparsa ai giorni nostri.

Le due più celebri immagini del volto di Cristo ci raccontano la stessa storia: quella di un telo di lino che, appoggiato sul viso sanguinante di Gesù, ne ha impresso – come una fotocopia – la sua più fedele riproduzione.

Entrambe conosciute nel Medioevo, le due reliquie non si sono però mai “incontrate”. Tanto da poter azzardare l’ipotesi che si tratti, in realtà, della stessa cosa.

La Sindone di Torino è infatti attestata solo a partire dal tardo Medioevo e ha guadagnato la sua celebrità in epoca moderna, mentre la Veronica è forse la più celebre reliquia del Medioevo, ma è andata perduta da secoli.

Dal greco sindon, ovvero “lenzuolo”, la Sindone è – per l’appunto – il lenzuolo in cui sarebbe stato avvolto il corpo di Gesù dopo la morte.

 

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In realtà la Sindone è un conclamato falso storico. Il più celebre e importante esame compiuto sul telo è la datazione eseguita nel 1988 con la tecnica radiometrica del carbonio 14. Il risultato dell’esame, eseguito separatamente da tre laboratori (Tucson, Oxford e Zurigo) su un campione di tessuto prelevato appositamente, ha stabilito che il lenzuolo va datato nell’intervallo di tempo compreso tra il 1260 e il 1390. La correttezza dell’esame del Carbonio 14 effettuato, riconosciuta valida dalla comunità scientifica, è criticata o messa in dubbio dagli “autenticisti” sostenitori di un’origine più antica, che si appoggiano ad altre osservazioni, presentate su riviste con credibilità scientifica di gran lunga inferiore nella valutazione accademica, sostenendo che ci sarebbe la possibilità che il telo sia più antico e originario del Medio Oriente

A prescindere dalla sua autenticità, sicuramente una sindone esiste ed è attestata dai Vangeli che parlano espressamente di un panno usato per coprire il corpo di Gesù dopo la morte. In particolare, Matteo, Marco e Luca parlano di un “lenzuolo” mentre Giovanni fa riferimento a dei “teli” e a un “sudario” posto sul capo.

Completamente diversa è la storia della Veronica: la tradizione vuole che una pia donna si fosse avvicinata a Gesù mentre saliva al calvario e gli avesse asciugato il viso con un fazzoletto. Una tradizione, però, molto tardiva e che non trova alcun indizio nelle Scritture, non essendo l’episodio citato nei Vangeli ufficiali e nemmeno in quelli apocrifi. Nonostante santa Veronica sia entrata nel calendario ufficiale dei santi (viene festeggiata il 12 luglio ed è la patrona dei fotografi, delle lavandaie e della Francia, dove si sarebbe trasferita per evangelizzare i Galli) si tratta si un personaggio completamente leggendario.

Il suo nome deriva da “Vera icona”, ossia vera immagine. In realtà, ad essere precisi, più che creare il nome, l’assonanza tra Vera icona e il nome Veronica (adattamento latino del greco Berenice) è servita a collegare la reliquia del volto di Cristo a una donna – l’emorroissa guarita da Gesù – citata senza nome nei vangeli canonici e con il nome di Berenice in alcuni apocrifi e quindi inserita “a posteriori” nella salita al Calvario.

È la reliquia stessa, dunque, a dare origine alla leggenda che si sviluppò nel corso dei secoli, e non il contrario – come nel caso della Sindone.
Di fatto risalgono al secolo VIII i primi testi che parlano di una misteriosa reliquia custodita da santa Veronica: sarebbe stata in grado di guarire l’imperatore Tiberio, anche se in questo caso si parla di un’immagine dipinta dalla stessa Veronica e solo secoli più tardi il telo verrà associato alla Via Crucis.

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Santa Veronica con l’omonimo velo, dipinto di Hans Memling (1435/40-1494)

Quel che è certo è che nel Medioevo l’icona è custodita ed esposta a Roma ed è la più celebre e venerata reliquia della cristianità.
Insieme alla tomba di San Pietro e al luogo del martirio di San Paolo è proprio la Veronica la principale meta dei pellegrinaggi romani, tanto che la sua riproduzione diventa il simbolo – potremmo dire il “logo” – esibito dai pellegrini diretti a Roma, allo stesso modo in cui la conchiglia diventa quello di Santiago de Compostela.

L’ostensione della Veronica durante il Giubileo del 1300 viene citata anche da Dante nel XXXI canto del Paradiso e da Petrarca del Canzoniere.
Eppure, inspiegabilmente, questa reliquia così importante non arriva ai giorni nostri. Se ancora oggi nelle chiese romane si possono osservare i resti della mangiatoia dove era stato posto Gesù neonato (a Santa Maria Maggiore) e quelli della croce, le catene, le spine della corona, la colonna su cui era stato fustigato e addirittura il “titulum” con la scritta Iesus Nazarenus Rex Iudeorum (a Santa Croce in Gerusalemme), della Veronica non rimane alcuna traccia.

Ed è curioso che proprio mentre si perdono le tracce della Veronica aumentino quelle della Sindone. La prima attestazione del lenzuolo risale infatti al 1353, in Francia, quando Goffredo di Charny, che fece costruire una chiesa nella cittadina di Lirey, donò alla collegiata il lenzuolo senza spiegare come ne fosse entrato in possesso. Venduta ai Savoia nel 1453, la Sindone fu trasferita a Chambéry, dove nel 1502 vene costruita una cappella per custodirla: qui rimase vittima dell’incendio del 1532 di cui porta ancora i segni.
Dopo aver spostato la loro capitale a Torino, nel 1578 i Savoia trasferirono anche la Sindone per abbreviare il pellegrinaggio a piedi effettuato da Milano da San Carlo Borromeo (che voleva rispettare il voto fatto durante l’epidemia di peste) e nel 1694 la collocarono nella cappella dove si trova ancora oggi.

È significativo dunque, che la storia della Veronica si concluda – più o meno – proprio dove inizia quella della Sindone e le origini del telo di Torino siano tanto misteriose quanto il destino della reliquia romana. Di certo deve far riflettere il fatto che la tradizione agiografica faccia concludere la vita di Santa Veronica proprio nella stessa terra – la Francia – dove inizia la storia documentata della Sindone.

Potrebbe dunque trattarsi della stessa reliquia, che a Roma veniva esposta ripiegata più volte in modo da mostrare solo il volto?
L’ipotesi potrebbe essere suggestiva, ma deve fare i conti con altre due reliquie medievali dello stesso tipo: il Volto Santo di Manoppello e il Mandylion.

Abgar V regge il mandylion in una icona del secolo X

Abgar V regge il Mandylion in una icona del secolo X

Il Mandylion è un’immagine del volto di Cristo proveniente da Edessa, in Mesopotamia, citata a partire dall’anno 544. Dopo la conquista islamica l’icona viene trasferita a Costantinopoli nel 944 e se ne perdono le tracce nel 1204 con i saccheggi seguiti alla quarta crociata.
Sono molto confuse le leggende sulla sua origine: esattamente come nel caso della Veronica, si mescolano quelle che lo vogliono un dipinto miracoloso e quelle che lo ritengono un’immagine impressa dallo stesso volto di Cristo. Certo è significativo che scompaia a Costantinopoli appena quattro anni prima della prima esposizione pubblica della Veronica a Roma, voluta da Innocenzo III nel 1208.

Quanto al Volto Santo di Manoppello, si tratta di un tenue velo che raffigura un viso maschile. Arrivò nella città abruzzese nel 1505, quando uno sconosciuto pellegrino lo donò al dottor Giacomo Antonio Leonelli. L’immagine sarebbe un acheropita, ovvero una raffigurazione realizzata senza l’utilizzo di pigmenti ma “stampata” con una tecnica non identificata. Esattamente come la Sindone.

Se molti, vista la quasi perfetta coincidenza di date, identificano il Volto di Manoppello con la Veronica, altri notano come sia perfettamente sovrapponibile con il volto della stessa Sindone, e come l’immagine abbia un’origine misteriosa.

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Il Volto Santo di Manoppello è un’immagine di tema religioso conservata a Manoppello (PE), nella basilica del Volto Santo

Oggi la tendenza è quella di identificare il Mandylion con la Sindone e la Veronica con il Volto di Manoppello, ma forse non sarebbe del tutto azzardato identificare – al contrario – la Veronica con la Sindone e il Mandylion con il Volto Santo.
Di fatto nel corso del Medioevo si sviluppano due tradizioni: una è quella di un ritratto di Gesù antichissimo e miracoloso, l’altra è quella di un telo che, venuto a contatto con il volto di Cristo coperto di sangue, ne ha impressi i tratti.

Le leggende sulle origini del Mandylion sembrano più orientate all’ipotesi del dipinto miracoloso, come – d’altra parte – quelle più antiche riguardanti la Veronica. Quest’ultima, però, nel corso dei secoli ha in qualche modo cambiato identità e nel basso Medioevo è diventata l’immagine ottenuta dal contatto con il volto di Cristo.
Si potrebbe quindi ipotizzare che la tradizione della Veronica sia stata in origine associata all’immagine prima conosciuta come Mandylion e successivamente come Volto Santo di Manoppello, e in un secondo tempo abbia finito per identificarsi con quella che oggi conosciamo come Sindone di Torino.

D’altra parte che una reliquia possa “moltiplicarsi” non deve stupire. Basti pensare che nel Medioevo vengono venerate addirittura due teste di San Giovanni Battista: quella del Battista da adulto e quella del Battista da bambino, e non abbiamo documenti che possano dimostrare quale Veronica fosse mostrata ai pellegrini che accorrevano a Roma per il Giubileo del 1300.

Di certo le due – o le quattro – reliquie/icone del volto di Gesù ci raccontano una storia affascinante fatta di mistero, devozione, culto e trafugamenti. Ma soprattutto l’eterno tentativo dell’uomo di guardare negli occhi Dio.

Arnaldo Casali

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