Il messaggio nascosto negli affreschi di Assisi

da

CacciataDeiDiavoli

Cacciata dei diavoli da Arezzo, Giotto, Basilica superiore di San Francesco, Assisi.

“Quale Francesco?”. Il punto interrogativo che chiude il titolo dell’ultimo, bellissimo libro di Chiara Frugoni (Einaudi 2015) ci costringe a riflettere ancora sulla forza dirompente del messaggio del Poverello di Assisi. E porta con sé altre domande. La prima, e la più importante, è legata ai celeberrimi affreschi della Basilica superiore di Assisi.

Provare a svelare i messaggi che nascondono, vuol dire misurare l’enorme differenza tra il messaggio originale di Francesco e il racconto della sua vicenda umana e spirituale, che ci arriva dalle immagini. I primi affreschi della basilica vennero realizzati da Cimabue che allora era il pittore più noto della scena italiana. Secondo la Frugoni agli inizi degli anni Settanta del Duecento. Per molti storici dell’arte soltanto dopo il 1288, quando Nicola IV, il primo papa francescano, ascese al soglio di Pietro.

In ogni caso, al di là delle datazioni, Francesco era morto molti anni prima, nel 1226. Era stato proclamato santo appena due anni dopo, nel 1228. E le sue spoglie erano state traslate nella Basilica Inferiore della sua città natale già nel 1230.

Perché allora le pareti della Basilica superiore rimasero bianche per più di cinquanta o forse sessanta anni, quando la costruzione della grande chiesa era già finita da tempo?

La risposta della più accreditata studiosa di San Francesco e della iconologia francescana, è cruda e chiarissima: perché i francescani non sapevano cosa far dipingere. A pochi anni di distanza dalla scomparsa del santo, emergeva in modo lampante la differenza tra gli ideali seguiti in vita da Francesco e quelli dei frati del periodo in cui furono composte le storie francescane.

Giotto_Rinuncia agli averi

La rinuncia agli averi, Giotto, Basilica superiore di Assisi.

I primi frati camminavano a piedi nudi e frequentavano i lebbrosari. Lavoravano senza chiedere denaro in cambio. Erano una piccola compagnia di laici: uomini di grande virtù che vivevano lontani dalle città e dai centri del potere, votati all’indigenza e a una vita semplice, nella quale cercavano di mettere in pratica alla lettera il Vangelo, amando il prossimo loro come se stessi. Francesco non solo predicava la povertà: volle farsi povero egli stesso, per amore di quella che chiamava “Domina Paupertas”. La povertà è la sposa amata per la quale Francesco entrò in contrasto con suo padre Pietro Bernardone. Quella “paupertas altissima” che come ricorda Dante (Paradiso, canto XI) dalla morte di Cristo, suo primo marito, era rimasta sola per più di millecento anni: prima di Francesco veniva fuggita, come la morte, e nessuno voleva unirsi a lei: “fino a costui si stette sanza invito”.
L’amore per la povertà è anche il testamento morale lasciato da santo: “a’ frati suoi, sì com’a giuste rede,/ raccomandò la donna sua più cara,/ e comandò che l’amassero a fede” (Paradiso, canto XI).

Le prime fratture con la sua stessa comunità furono vissute da Francesco in modo lacerante. Il santo di Assisi non voleva allargare il suo movimento. Tentò di ostacolare la trasformazione che stava avvenendo sotto i suoi occhi. Rinunciò anche alla guida dell’Ordine. Quella clamorosa decisione, originò le differenze e le divisioni che ancora oggi permangono tra minori, conventuali e cappuccini.

La forza del messaggio francescano fu dirompente. In poco tempo, tutto cambiò. Il numero dei frati crebbe a dismisura. L’Ordine, come era inevitabile, si affollò di uomini più “comuni”, molto più distanti dalla tempra virtuosa dei francescani della prima ora. I frati laici diventarono dei sacerdoti. Si abituarono a vivere nei conventi, a maneggiare manoscritti, a frequentare le città. Dicevano che per meglio predicare dovevano studiare, su libri spesso costosi. E quindi chiesero di essere mantenuti dai fedeli. Non andavano più in giro scalzi in qualunque stagione dell’anno. Rifiutavano il lavoro manuale e indossavano vesti più calde e meno trasandate. Alla maniera dei domenicani ,volevano studiare e partecipare, a pieno titolo, ai dibattiti teologici che infiammavano le università e le élites politiche e religiose.

La “Regola non bullata”, di Francesco era pensata per un piccolo numero di frati e fissava poche norme generali. Ma a molti compagni del santo, già pareva troppo impegnativa. Alcuni frati ritennero che dovesse essere modificata in modo meno restrittivo, anche la “Regula bullata”, approvata da papa Onorio III nel 1223 e contrassegnata da una marcata ingerenza della curia romana.
Francesco, prima di morire, difese in modo disperato la sua Regola e chiese che non venisse mutata perché gli era stata indicata direttamente da Dio: “Lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere a norma del Santo Vangelo. E feci scrivere questo con poche e semplici parole…”.

Il Poverello spirò nella notte tra il 3 e 4 ottobre 1226. La guida dell’Ordine non fu assunta dal laico padre Elia, il compagno di Francesco che anticipando il pronunciamento della Chiesa, diede per primo la notizia del miracolo delle stimmate. Il Capitolo dei frati, riunito nel febbraio del 1227, volle invece l’elezione di Giovanni Parenti, il ministro provinciale della Spagna, che aveva fondato a Saragozza il primo convento dell’Ordine e che era dottore alla facoltà di Diritto dell’università di Bologna.

Basilica superiore Assisi interno

L’interno della basilica superiore.

San Francesco fu proclamato santo il 16 luglio 1228, a meno di due anni dalla morte. Ma qualche mese prima, papa Gregorio IX aveva già ordinato a padre Elia la costruzione della grandiosa, doppia Basilica di Assisi. Disse di volerla “speciale”. E per realizzare l’opera non badò a spese. Utilizzò i proventi delle offerte, i finanziamenti del Comune e il denaro riscosso con forti e insistenti sollecitazioni in tutte le province francescane. Come ricompensa per i fedeli che contribuivano, “manus auxilio”, promise una indulgenza dai peccati di quaranta giorni che sarebbe stata rinnovata ad ogni donazione. Ribadì anche che la Basilica era soggetta soltanto all’autorità della Santa Sede.

Accanto alla chiesa papale di Assisi, già prima della conclusione dei lavori, era già nato un convento. Il 25 maggio 1230, vigilia di Pentecoste, le spoglie del santo furono traslate nella grande basilica tra disordini, tumulti e ferimenti che coinvolsero anche i frati. L’ira del papa si abbatté sugli assisiati e causò anche la mancata elezione di Elia a ministro generale dell’Ordine. Il vecchio compagno di Francesco si ritirò per questo in penitenza a Cortona. Ma anche Giovanni Parenti, sfinito dalle diatribe dei confratelli sulla fedeltà alla Regola, diede le dimissioni. Il Capitolo generale di Rieti, due anni dopo (1232) rielesse frate Elia che fino alle sue dimissioni forzate (1239), continuò a preferire i laici ai chierici nell’opera di reclutamento dei nuovi frati.

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La cripta di San Francesco nella Basilica inferiore di Assisi.

La salma di Francesco fu sistemata sotto l’altare della Basilica Inferiore ma la tomba fu nascosta, soprattutto per paura del furto delle sacre reliquie e rimase così segreta che solo nel 1818, dopo lunghi scavi, fu trovato il sarcofago con le spoglie del santo, difeso da griglie di ferro e da un robusto muro di grandi pietre squadrate.

La Basilica doppia ebbe da subito anche una doppia funzione. Quella Inferiore era destinata ad accogliere i pellegrini. Quella Superiore fu pensata come la sede delle grandi celebrazioni e il luogo privilegiato dove dovevano riunirsi i Capitoli generali dell’Ordine. Non a caso, al centro dell’abside, fu messa la cattedra del papa.

Le bianche pareti non ancora affrescate ricordavano però l’assenza di un percorso globale nel quale ridisegnare, in modo coerente, la eccezionale figura del santo.

Chiara Frugoni spiega in un dettagliato racconto esaltato dalle immagini, come la Chiesa orientò l’iconografia del ciclo assisiate mitigando il rivoluzionario messaggio del Poverello di Assisi.

Gli affreschi sono legati l’uno all’altro. Dipendono da un unico programma, realizzato però in tempi differenti. Fu una intuizione geniale di San Bonaventura, che resse l’Ordine per 17 anni, a risolvere il problema della frattura evidente tra Francesco e i francescani che vissero mezzo secolo dopo di lui. Bonaventura portò a termine l’opera non solo con la sua “Legenda maior”, rielaborata dalle biografie, poi distrutte, di Tommaso da Celano, ma anche grazie alla “Collationes in Hexaemeron”.

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Volta dei dottori della Chiesa, Giotto, Basilica superiore di Assisi. Dopo il terremoto del 1997, ne restano solo frammenti.

Nella raccolta di prediche fatte a Parigi, Bonaventura recupera gli scritti di Gioacchino da Fiore, le sue profezie e il millenarismo delle “Tre Età della Storia terrena”: quella del Padre, corrispondente alle narrazioni dell’Antico Testamento, quella del Figlio, rappresentata dal Vangelo e quella in cui opererà lo Spirito Santo, nella quale l’umanità sarà toccata finalmente dalla grazia divina.

Le previsioni di Gioacchino da Fiore e dello pseudo Gioacchino vennero accettate da Bonaventura con prudenza ma in modo deciso.

E le posizioni che sembravano inconciliabili tra i frati delle origini e quelli di sessanta anni dopo, trovarono un punto di incontro. I committenti degli affreschi risolsero così il problema di come lodare il fondatore dell’Ordine e insieme dare un senso alla missione dei francescani venuti dopo di lui.
Francesco diventa allora un prototipo mandato da Dio, l’incarnazione di un santo molto simile a Cristo, destinato a tornare soltanto alla fine dei tempi.

Il Poverello “non è imitabile, va ammirato”. La sua santità è tale che non si può copiare. L’Ordine sognato da Francesco di certo tornerà, ma questo avverrà nell’Età dello Spirito Santo, “quando il mondo finirà lietamente” e quando anche la Chiesa, “pura e estatica”, potrà finalmente contemplare Dio. Pure i frati diventeranno “purissimi”. Ma intanto, i confratelli di Bonaventura , devono radicarsi nel loro tempo, “studiare, insegnare, evangelizzare, perché sono depositari di una missione nel mondo e per il mondo”.

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San Francesco riceve le stimmate, Giotto, Basilica superiore, Assisi.

Gli affreschi della Basilica Superiore quindi, più che celebrare la vita del santo, celebrano quella dell’Ordine. Così, negli affreschi, Francesco può essere dipinto ancora a piedi nudi, con la barba di “un uomo del bosco”. E accanto a lui ci sono i chierici del tempo di Bonaventura, che sono rasati e indossano i sandali. Francesco è raffigurato in preghiera e in contemplazione mentre i confratelli si occupano di esorcismi, delle cose della vita quotidiana: anche in questo modo, attraverso lo studio e la predicazione, concorrono in modo attivo alla realizzazione del progetto divino. L’Ordine perfetto si concretizzerà comunque in futuro, anche se qualche francescano già si mescola, nell’abside, agli eletti, ai piedi del trono di Cristo e Maria.

Il progetto unitario della rappresentazione pittorica della straordinaria vicenda umana di Francesco d’Assisi spiega anche la differenza tra le due basiliche. Due luoghi con funzioni diverse, perché, come ha spiegato Chiara Frugoni “la parte devozionale doveva essere distaccata dal disegno politico”.

La Basilica Inferiore, che conteneva la tomba di Francesco, era destinata ad accogliere i pellegrini e quindi pensata per il grande pubblico dei fedeli. Le storie del santo erano poche e semplici: 5 dedicate a Francesco e 5 alla vita di Cristo. Nella Basilica Superiore, il luogo delle celebrazioni ufficiali dell’Ordine francescano, le pitture, con i loro simboli sottesi, potevano essere capite da un pubblico colto, capace di leggere i messaggi nascosti contenuti nelle immagini.

Un altro grande merito del libro di Chiara Frugoni è quello di far vedere gli affreschi insieme, anche se furono dipinti in tempi differenti: prima da Cimabue, poi da altri pittori, quindi da un cantiere romano e infine da Giotto o chi per lui. Vediamo così che gli affreschi dell’abside con la “Apocalisse” e la “Storia degli Apostoli” sono riflessi nella controfacciata della basilica.

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San Francesco predica agli uccelli, Basilica superiore, Assisi.

Nella famosa “Predica agli uccelli”, le colombe discese ad ascoltare Francesco risalgono in cielo e sostengono in una nuvola l’Ascensione di Cristo. Quelle colombe sono le anime dei francescani già “perfetti” che raggiungono il Redentore: sono frati accuratamente rasati perché ormai sono tutti chierici. L’Ordine francescano, secondo fonti per molto tempo attribuite a Gioacchino da Fiore, è infatti un ordine “colombino”. Nella “Collationes in Hexaemeron” si sottolinea anche la profezia contenuta nella “Apocalisse”, dove si parla del famoso “Angelo del sesto sigillo”. La conferma visiva arriva da tutti gli affreschi che adornano la navata sinistra della Basilica Superiore: quell’angelo altri non è che Francesco. La profezia parlava del “segno del Dio vivente”: che altro è l’inaudito miracolo delle stimmate se non un segno dell’Altissimo?

Già in suo precedente e fondamentale saggio, “Francesco e l’invenzione delle stimmate” (Einaudi, 1993) Chiara Frugoni aveva affrontato il tema, fornendo un’altra interpretazione inedita della vita del santo.

“Quale Francesco? Il messaggio nascosto negli affreschi della Basilica superiore ad Assisi” racchiude studi e ricerche che negli anni a venire saranno ancora un punto di riferimento per tutti gli studiosi e gli appassionati della storia medievale. Anche grazie a un eccezionale apparato iconografico. Perché, come ben diceva il grande medievista Jacques Le Goff “non si può fare storia profonda se non si sanno leggere, oltre ai testi, anche le immagini”.

Federico Fioravanti

 

La copertina di Quale FrancescoQuale Francesco?, Chiara Frugoni, Einaudi, 2015, www.einaudi.it

Chiara Frugoni ha insegnato Storia medievale all’Università di Pisa, Roma e Parigi. Tra i suoi libri, pubblicati da Einaudi, tradotti nelle principali lingue europee, in giapponese e in coreano, si ricordano anche “Vita di un uomo: Francesco d’Assisi” (2014); “Storia di Chiara e Francesco” (2011); “La Cappella degli Scrovegni di Giotto” (2005); “La cattedrale e il battistero di Parma” (2007); ”L’affare migliore di Enrico. Giotto e la cappella Scrovegni” (2008); “La voce delle immagini. Pillole iconografiche dal Medioevo” (2010); “Guida agli affreschi della Basilica superiore di Assisi” (2010); “Storia di un giorno in una città medioevale” (1997); “Mille e non piú mille. Viaggio fra le paure di fine millennio” (1999, con Georges Duby); “Due papi per un giubileo. Celestino V, Bonifacio VIII e il primo Anno Santo” (2000); “Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali” (2001); “Da stelle a stelle. Memorie di un paese contadino” (2003) e “Una solitudine abitata: Chiara d’Assisi” (2006).

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