Il crocifisso di San Damiano

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Il leggendario crocifisso di San Damiano, simbolo della conversione di San Francesco, è conservato nella basilica di Santa Chiara ad Assisi

Un’immagine famosissima e misteriosa, che tutti hanno visto e che nessuno conosce.
Il crocifisso di San Damiano – una delle mete più popolari dei pellegrinaggi ad Assisi – è in realtà uno scrigno di simbolismi reconditi e discussi. Ma anche un’icona che sa “sia di fumetto che di caricatura” secondo il frate cappuccino canadese Marc Picard.

L’immagine la conoscono tutti perché è legata a un momento cruciale della vita di San Francesco: è osservando questo crocifisso, nella chiesetta diroccata di San Damiano, che il mercante ventiquattrenne in cerca di identità, nel 1206 avrebbe deciso di dare una svolta radicale alla sua vita, spogliandosi di tutti i suoi averi e vivendo in totale povertà.

Di fronte alla domanda: “Signore, cosa vuoi che io faccia?” quel crocifisso gli avrebbe infatti risposto: “Va’ e ripara la mia casa, che come vedi è tutta in rovina”.
Un’indicazione che Francesco aveva preso alla lettera, iniziando la sua nuova vita proprio ricostruendo quella chiesetta diroccata.

Crocifisso di San Damiano San Giovanni la Madonna e Longino

Alla destra del Cristo sono raffigurati San Giovanni, la Madonna e Longino

Si tratta di un crocifisso bizantino che – come era uso nel Medioevo – non mostra un Cristo sofferente, ma sereno e regale, tanto da trasformare lo strumento di tortura in un vero e proprio trono del “Re dei Re”.

Un’immagine che sa di caricatura – secondo il francescano canadese, che ha dedicato all’icona un intero libro pubblicato dalla Casa editrice francescana di Assisi – per le dimensioni sproporzionate del crocifisso, e di fumetto perché i personaggi che circondano l’immagine di Cristo “raccontano” varie storie dei vangeli.

“Benché figlio di San Francesco – racconta Picard – sono rimasto poco interessato a quest’icona fino al giorno in cui ho capito che è tutta ispirata dal Vangelo di Giovanni”.

L’icona è stata dipinta nel XII secolo da un monaco siriano. Aveva quindi poco più di un secolo quando fu trovata da Francesco nella chiesetta diroccata, nel mezzo della campagna circostante Assisi.

Come tutte le icone bizantine, il crocifisso di San Damiano non si limita a “piacere all’occhio, con un messaggio piuttosto limitato” ma punta a “rivelare il mistero profondo dell’essere”, anche a scapito della fedeltà anatomica. “Per esempio, per esprimere la potenza con la quale Gesù soffia lo spirito sugli apostoli, il pittore dà al collo di Gesù proporzioni fuori natura. La bellezza estetica viene sacrificata in favore del messaggio spirituale”.

Come si diceva, il crocifisso si ispira soprattutto al Vangelo di Giovanni, il più teologico dei quattro: “Se i sinottici ci rivelano piuttosto l’aspetto umano della vita di Gesù, come fanno le nostre immagini occidentali, l’icona ci parla del mistero profondo di Cristo Verbo di Dio, alla maniera di Giovanni”.

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Tutto il contorno dell’opera è ornato da un prezioso bordo di conchiglie

Tutta l’immagine è delimitata da una sorta di recinto fatto di conchiglie, simbolo di bellezza ed eternità. Alla base della croce sono dipinti molti personaggi, di cui solo due sono distinguibili, mentre gli altri sono stati cancellati probabilmente dal tocco e dai baci dei fedeli.
“Gesù, con la sua grandissima statura al centro dell’icona, appare come l’Albero della vita, nella Città santa. E i personaggi sotto le sue braccia ne sono i frutti vivi”.

Secondo alcune letture i personaggi alla base della croce potrebbero essere i patroni dell’Umbria: san Giovanni apostolo, san Michele, san Rufino, san Giovanni Battista, san Pietro e san Paolo.

Se nella realtà storica (“censurata” da praticamente tutte le rappresentazioni della crocifissione) Gesù sulla croce era completamente nudo, nel Crocifisso di San Damiano indossa addirittura un perizoma di lino dorato: quello usato dai sacerdoti ebrei e mutuato dagli egiziani, il cui termine ebraico è “efod”.

Ma secondo Picard l’immagine contiene anche una sorta di “messaggi subliminali”: raffigurazioni, cioè, quasi impercettibili a occhio nudo e che possono essere distinte solo ad un’analisi attenta del dipinto: una di queste è – al centro del petto di Gesù – la testa di un personaggio tracciata in filigrana, visto quasi di profilo e voltato verso il lato sinistro di Cristo: si tratterebbe del Padre, sotto il quale compare un cerchio – simbolo di eternità – dove, di profilo anch’essa e girata verso la sinistra di Gesù, compare la testa di un altro personaggio: il “Verbo” eterno nella sua natura divina, pre-esistente alla stessa figura storica di Gesù di Nazareth.
Infine, sulla fronte di Gesù, si può distinguere la colomba in picchiata e ad ali spiegate, che simboleggia lo Spirito Santo.

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Le proporzioni sbilanciate del Cristo rimandano a significati spirituali che trascendono la fedeltà anatomica dell’immagine

Gli occhi di Gesù sono aperti e smisuratamente grandi, ad indicare che egli è il “Vedente”, l’unico che vede il Padre perché “sempre rivolto a lui” e sono puntati tra il cielo e la terra a significare il ruolo di Gesù come “mediatore”. Ovvero Sommo Sacerdote.

Dalle mani stilla il sangue che viene guardato e in qualche modo raccolto con le mani da una coppia di angeli che si trova proprio al di sotto delle braccia. A fianco a Gesù sono raffigurati cinque personaggi e lo stesso pittore ne indica l’identità: Maria, Giovanni, Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo e il Centurione.

Maria è raffigurata all’estrema destra di Gesù, in quello che è considerato – in oriente – il posto d’onore, e il suo sguardo è rivolto verso Giovanni a cui Gesù stesso l’ha affidata. Mentre sorride al discepolo, Maria porta alla bocca la mano sinistra, un gesto di ammirazione testimoniato in molti passi della Bibbia, mentre con la mano destra indica Gesù. Indossa un mantello bianco che “esprime la vittoria per la fedeltà al Vangelo” ma che è anche un segno di purezza. Sul mantello si possono distinguere una gran quantità di pietre preziose disposte per file, simbolo dei doni dello spirito Santo. Sotto il mantello, Maria indossa un vestito rosso scuro, segno dell’amore intenso e una tunica viola, secondo l’associazione della Madre di Gesù con l’Arca dell’Alleanza, foderata all’interno – secondo l’Esodo – con teli di stoffa di porpora viola. “L’arca era la figura della Vergine che avrebbe portato nel suo grembo la parola vivente: Gesù Cristo”.

Quanto a Giovanni, è posto immediatamente alla destra di Gesù, come nell’Ultima Cena, tiene il capo rivolto e inclinato verso Maria, e con la mano destra anch’egli indica Cristo. Il suo mantello è di colore rosa, segno di Sapienza Eterna, mentre la veste è bianca.
Maria Maddalena, si trova invece alla sinistra di Gesù. Nella sua veste predomina il rosso vivo, segno di amore, e con il capo tocca quello di Maria, madre di Giacomo e Giovanni. “Questo particolare – scrive Picard – lascia intendere che esse non solo conversano, ma soprattutto si scambiano un segreto”.

Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore ed il centurione

Alla sinistra di Cristo, Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore, il centurione e la piccola immagine dell’ebreo

Infine, all’estrema sinistra di Gesù c’è un personaggio dalla lunga barba, la veste bianca e il mantello rosso, indicato come il “Centurione” nonostante non sia vestito affatto come un militare, se si eccettuano i calzari.
Si tratta del centurione a cui Gesù ha guarito il figlio a distanza. E lo stesso figlio – raffigurato molto più piccolo – compare alle sue spalle, affacciarsi a guardare Gesù. A sua volta, dietro la testa del figlio, compaiono quelle che sembrano essere altre tre fronti umane, e che rappresenterebbero l’intera famiglia del centurione, convertita dopo il miracolo.
Si tratta però di una delle interpretazioni più discusse: secondo altri letture dell’icona, infatti, il piccolo personaggio che si affaccia (peraltro dotato di barba, quindi non giovane di età) sarebbe infatti il committente stesso del dipinto.

Tornando al centurione, ad indicare la sua fede il fatto che – pur non essendo dotato (unico del sestetto) di aureola, con la mano destra indica la trinità. Con la mano sinistra, invece, tiene un pezzo di legno che richiamerebbe la sinagoga che avrebbe eretto a Cafarnao dopo il miracolo, secondo il racconto di Luca.

Davanti a Maria e al centurione, compaiono due personaggi, molto più piccoli, di vestito molto diverso ma in una posizione perfettamente simmetrica.

Il personaggio sulla sinistra del dipinto (ma alla destra di Gesù) è sicuramente un soldato romano, visto che è vestito esattamente come il centurione. Lo stesso pittore ne suggerisce poi il nome: Longino. Si tratta, secondo la tradizione, del soldato che ha trafitto con la lancia il costato di Gesù da cui sono fuoriusciti sangue ed acqua. E a testimoniarlo c’è la lancia (pure appena accennata, o cancellata) che imbraccia. Il personaggio che sta a destra assume la stessa posizione di quello di sinistra: il ginocchio levato, la mano sull’anca e lo sguardo rivolto a Gesù. “Questa posizione significa che ha svolto lo stesso ruolo del suo compagno di sinistra” commenta Picard. Non sembra però trattarsi di un romano: la lunga barba e il capo calvo ricordano infatti l’iconografia tipica dell’ebreo, anche se qualcuno lo identifica come Stephaton, il soldato romano che avrebbe offerto a Gesù la spugna imbevuta con l’aceto. E’ probabile invece che le due figure molto diverse ma perfettamente simmetriche rappresentino i due popoli responsabili della morte di Gesù: i romani e gli ebrei.
La loro modesta satura, secondo padre Picard, sta a significare “che il loro ruolo è stato piccolo. Agli occhi degli uomini è parso che abbiano ucciso Gesù, ma in realtà nessuno gli ha tolto la vita, l’ha data da sé stesso”. Il fatto che stiano con gli occhi fissi sul crocifisso realizza invece la profezia: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Giovanni 19,37).

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Il gallo

Vicino alla gamba sinistra di Gesù, l’artista ha dipinto un gallo. Più che segno del rinnegamento di Pietro, però, secondo il francescano rappresenta il sole che sorge – ovvero Cristo stesso.

Sopra la testa di Gesù c’è la classica scritta IHS NAZARE REX IUDEORUM, ovvero “Gesù Nazareno Re dei Giudei”, e sopra il “titulum” un medaglione in cui comprare lo stesso Gesù sorridente nel momento dell’ascensione (simboleggiata dal movimento ascendente della gamba destra) che con la mano destra regge una croce in oro, “divenuta lo scettro della sua giustizia”. Nell’estremità superiore del dipinto compare infine la mano del padre nel gesto di benedire, mentre una schiera di volti sorridenti accoglie il Cristo risorto.

O alto e glorioso Dio
illumina le tenebre del cuore mio
dammi fede retta, speranza certa, umiltà perfetta
e carità profonda
dammi segno e conoscimento
per compiere sempre la tua volontà

Così recita la “Preghiera davanti al crocifisso”, una delle più celebri attribuite a Francesco d’Assisi – insieme al Cantico delle creature, all’autografo Le lodi di Dio altissimo e all’apocrifo novecentesco Preghiera semplice – e collocata dalla tradizione intorno al 1208, cioè al periodo in cui Francesco aveva fatto della chiesetta in restauro la sua prima dimora.

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La chiesa di San Damiano, oggi sede del noviziato dei Frati minori osservanti

Dopo averne completato la ristrutturazione, Francesco – volendo continuare l’opera di restauro della Chiesa alla quale era stato invitato dallo stesso crocifisso – si era messo alla ricerca di altre chiesette diroccate da risistemare con i suoi compagni: prima la chiesa di San Giorgio, all’interno delle mura stesse di Assisi, in cui sarebbe stato poi sepolto subito dopo la morte (per poi essere trasferito, una volta completata – nella basilica di San Francesco).
Infine aveva scoperto la chiesetta di Santa Maria degli Angeli, e l’aveva scelta come dimora dei suoi frati.
Quando – sei anni dopo il “dialogo” con il crocifisso – nel 1212 la giovane Chiara di Offreduccio aveva chiesto di unirsi al gruppo dei frati, Francesco l’aveva spedita in un primo tempo in alcuni monasteri benedettini nei pressi di Assisi, poi le aveva affidato la stessa chiesa di San Damiano, dove le “Povere Dame” avevano dato vita al monastero, che ancora oggi è perfettamente intatto, tanto che è possibile visitare il dormitorio, il refettorio e le sale della preghiera usate da Chiara e dalle sue sorelle.

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Una veduta dall’alto della basilica di Santa Chiara

Era stata quindi Chiara d’Assisi – per quasi quarant’anni – a custodire il prezioso crocifisso e ad esserne la sua principale “interlocutrice”, anche se Francesco continuava a soggiornare periodicamente nel monastero delle clarisse: qui, ad esempio, aveva composto il Cantico delle Creature nel 1223.

Alla morte di Chiara, nel 1253, anche lei fu sepolta nella chiesa di San Giorgio. Appena cinque anni dopo – nel 1257 – le monache decisero “seguire” la propria fondatrice trasferendo il monastero all’interno delle mura della città, e sopra la chiesetta di San Giorgio fu edificata la maestosa basilica di Santa Chiara e l’annesso monastero. Le Povere Dame presero con sé il Crocifisso che fu quindi trasferito a Santa Chiara, in un’apposita cappella ricavata proprio dall’ex chiesetta di San Giorgio, dove si trova anche la tomba della Santa. A San Damiano, sul luogo dove si trovava l’icona, è stata quindi posta una copia.

Il Crocifisso è tornato “a casa” per la prima volta dopo otto secoli dal 15 al 19 giugno 2016, quando la celebre icona è stata riportata per cinque giorni nella chiesa di San Damiano, oggi sede del noviziato dei Frati minori osservanti, ricongiungendo così finalmente – anche se solo per pochi giorni – la celebre e misteriosa icona con la chiesa da cui ha preso il nome.

Arnaldo Casali

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