Fibonacci e i numeri indiani

da

Liber_Abaci

L’incipit di uno dei capisaldi della letteratura scientifica di tutti i tempi recita: “Le nove figure degli indiani sono queste: 9 8 7 6 5 4 3 2 1. Con queste nove cifre, assieme al simbolo 0 che gli indiani chiamano zephirum, è possibile scrivere qualunque numero”.

I numeri dall’1 al 9 e lo zero vennero introdotti in Europa nel XIII secolo. Prima, per fare i conti c’erano solo i numeri romani. Sommare e sottrarre con i simboli M, D, C, L, X, V e I è facile, ma quando si passa a moltiplicazioni e divisioni le operazioni diventano un vero ginepraio. Anche perché manca un elemento fondamentale: lo zero. Nel Duecento per fare i conti si ricorreva a elaborati sistemi aritmetici, in cui i calcoli si facevano con le dita o con diversi tipi di abaco. Di fatto, i numeri venivano usati solo per annotare i risultati. E per lavorare su quantità più grandi di 10.000 ci voleva una grossa esperienza e una buona dose di destrezza. Inoltre, i passaggi non venivano messi per iscritto e il risultato doveva essere accettato sulla fiducia.

Questa era la situazione quando nacque Leonardo Pisano, in arte Fibonacci. Non si sa con certezza né dove né quando, ma molto probabilmente a Pisa verso il 1170. È certo però che facesse parte della rigogliosa comunità dei mercanti di uno dei maggiori porti commerciali dell’Europa dell’epoca. Pisa era un centro nevralgico per lo scambio di ogni genere di merce che arrivava e partiva da tutte le coste del Mediterraneo. E, dato che il sistema monetario era particolarmente variopinto (solo in Italia ben 28 città battevano moneta, di cui 7 in Toscana), era anche un punto di cambio valuta internazionale.

Quando Leonardo era ancora un ragazzino, il padre venne nominato funzionario doganale e incaricato di coordinare le transazioni commerciali della comunità pisana a Bugia, un fiorente porto dell’Africa settentrionale musulmana (oggi Béjaïa, Algeria). Dopo qualche tempo mandò a chiamare il figlio, perché “pensando all’utilità e ai benefici futuri di questa scelta, volle che mi fermassi lì per un po’ per essere istruito alla scuola di calcolo”.

Così Fibonacci venne introdotto “all’arte del calcolo attraverso le nove figure indiane, e la conoscenza di quest’arte mi piacque più di ogni altra cosa: imparai da tutti coloro che ne erano esperti, provenienti dal vicino Egitto, dalla Siria, dalla Grecia, dalla Sicilia e dalla Provenza”.

In effetti, l’innovativo sistema per scrivere i numeri e fare i calcoli aveva origini molto lontane. Proveniva dall’India e fu completato intorno al 700 d.C. I mercanti arabi lo avevano appreso ed esportato verso nord, lungo la Via della seta e fino alle coste del Mediterraneo insieme ad altri, più tangibili, prodotti dell’Oriente, come spezie, stoffe, unguenti e tinture.

E il giovane Leonardo lo portò in patria, dove pubblicò il testo che ne descriveva simboli e segreti. Era il 1202 quando uscì la prima edizione del Liber Abaci. Era corredato da immagini che spiegavano come “i numeri si possono tenere sulle dita e in che modo” e, fra le tante soluzioni, riportava quella del celebre quesito che gli ha assegnato un posto nella cultura popolare dei nostri tempi: “Quante coppie di conigli nascono in un anno da una singola coppia?”. Il risultato è la famosa Serie numerica di Fibonacci, affascinante quanto insidiosa e ancora oggi, per qualche sua implicazione, misteriosa.

Il Liber Abaci andò a ruba. Dopo qualche anno, Leonardo ne pubblicò una seconda versione e la sua fama travalicò Alpi e Appennini. Persino Federico II volle conoscerlo. E mise alla prova il suo nuovo metodo aritmetico con una serie di complicati problemi algebrici preparati da Giovanni di Palermo, uno dei matematici alla corte dell’imperatore. Le soluzioni proposte da Fibonacci dimostrano una abilità e un possesso della materia impressionante.

Come sconcertante resta, per il nostro modo di pensare, l’ultimo passo del suo capolavoro. Il libro si chiude in modo brusco con la descrizione dei passaggi da fare per risolvere uno dei tanti esempi di problemi algebrici. Poi Leonardo smette semplicemente di scrivere. Niente riflessioni sui risultati ottenuti, nessuna ricapitolazione né indicazioni su lavori da fare o nuove cose da provare. Ma quella che per Fibonacci era la fine di un progetto, segnò l’inizio di una rivoluzione aritmetica che avrebbe investito l’intera Europa.

La grandezza del Liber Abaci sta nella sua qualità, nella sua completezza e nella sua tempestività: era un buon libro e insegnava a mercanti, banchieri, uomini d’affari e studiosi tutto quello che avevano bisogno di sapere per fare meglio il loro lavoro. Ed era il primo libro a farlo. Ci sarebbero voluti altri tre secoli prima che venisse composto un testo di completezza e profondità pari a quello di Leonardo Fibonacci: la Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita di Luca Pacioli, del 1494. Ma questa è un’altra storia.

Daniela Querci

N.d.a.: Leonardo di cognome non si chiamava Fibonacci. Ma nell’intestazione del suo libro scrive: “Qui comincia il libro del calcolo composto da Leonardo Pisano, figlio di Bonacci, nell’anno 1202”. Il soprannome con cui lo conosciamo venne coniato nel 1838 dallo storico Guillaume Libri.

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