Boccaccio al cinema

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È stato Giovanni Boccaccio a chiamare “Divina” la commedia di Dante Alighieri; la sua di commedia, invece, è per definizione assai poco divina e decisamente “sboccacciata”, tanto da essere identificata con un genere cinematografico particolarmente triviale: la commedia appunto, boccaccesca.

Andrea del Castagno, Giovanni Boccaccio, particolare del Ciclo degli uomini e donne illustri, affresco, 1450, Galleria degli Uffizi, Firenze

Chissà che penserebbe, una delle tre corone della lingua italiana, se sapesse che il suo nome oggi è fatalmente legato a pietre miliari della storia del cinema come Alle dame del castello piace fare solo quello, La bella Antonia prima monica e poi dimonia e Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda, e ancora Quanto è bella la Bernarda, chi la tocca e chi la guarda, Fiorina la vacca, Si salvò solo l’Aretino Pietro con una mano davanti e l’altra di dietro, Fra Tazio da Velletri e Sexcalibur.

Colmo del paradosso, poi, è che il principale responsabile di tanta sciagura sia stato uno degli intellettuali più austeri e rigorosi della cultura italiana: Pier Paolo Pasolini.

È stato infatti il successo del suo Decameron a decretare la nascita del genere “decamerotico”, capace di sfornare valanghe di film in pochi anni e di spaziare dalla commedia scollacciata alla pornografia.

Ci vorranno più di quarant’anni e un altro grande nome del cinema italiano come quello dei fratelli Taviani per rompere l’incantesimo e riscattare il primo romanzo della storia della letteratura italiana.

Ma andiamo con ordine: sono ancora lontani i tempi di Edwige Fenech e Pippo Franco quando l’opera di Boccaccio ispira per la prima volta una produzione cinematografica: è Il Decamerone, diretto e interpretato nel 1912 da Gennaro Righelli, che sarà in seguito il regista del primo film sonoro italiano.

Il film racconta tre novelle del Decameron: la prima è quella di Andreuccio, giovane mercante raggirato da una prostituta, che gli fa credere di essere la sorellastra, se lo porta a casa e lo deruba. Fuggito, il malcapitato si imbatte in due ladri che stanno andando in una chiesa vicina per spogliare di tutti i suoi beni la salma di un vescovo morto qualche giorno prima. Andreuccio accetta di calarsi nella tomba ma viene chiuso nel sepolcro; si salva però quando giungono altri ladri, che lui mette in fuga spaventandoli.
Il secondo episodio raccontato da Righelli è quello del conte di Anguersa, accusato falsamente di un delitto e spogliato di tutti i suoi beni, mentre la terza novella vede protagonisti uno stalliere e una principessa.

Lionel Barrymore fu uno dei primi interpreti cinematografici del Decameron (in questa foto nei panni del ricco e avaro Mr. Potter de La vita è meravigliosa, 1946, di Frank Capra)

Il progetto stuzzica subito gli americani, che nel 1924 producono Decameron Nights diretto da Herbert Wilcox con Lionel Barrymore (nonno di Drew, che sarà a sua volta interpretato in un film da Errol Flynn) nei panni di un sultano che si innamora perdutamente di una giovane musulmana.

Quattro anni dopo di nuovo in Italia esce Boccaccesco di Alfredo De Antoni con Isa Pola, l’ultimo film muto tratto dal Decameron, incentrato sulla tragica storia d’amore tra il precettore Ricciardello e la figlia del duca di Spoleto Orietta, stroncata dal Duca che condanna a morte lui e al chiostro lei.

Nel 1936 il film tedesco Boccaccio di Herbert Maisch avvia l’abitudine di usare il nome dello scrittore certaldese come sinonimo di satira e passione amorosa. Il film, infatti, non è tratto dal Decameron ma dall’operetta di Franz Von Supplé, esattamente come l’omologo film prodotto in Italia quattro anni dopo e diretto da Marcello Albani.

Nel 1953 esce invece Le notti del Decamerone dell’argentino Hugo Fregonese, remake di Decameron Nights. Il film vede in scena lo stesso Giovanni Boccaccio e Fiammetta per introdurre tre novelle e ad interpretarli sono la coppia formata da Louis Jourdan e Joan Fontaine, che vestono i panni di tutti i personaggi: Paganino da Monaco e Bartolomea, Bernabò da Genova, Giletta di Nerbona e Beltramo di Rossiglione. Nel ruolo di Pampinea c’è poi una ventenne Joan Collins.

Una locandina di Boccaccio ’70 con le 4 principali interpreti femminili degli episodi e i rispettivi registi

Nel 1962 lo scrittore toscano presta il suo nome – e solo il nome – ad un film che riunisce quattro dei più grandi registi della storia del cinema italiano per riflettere con sarcasmo sul sesso e la morale: Boccaccio ‘70 è diretto da Vittorio De Sica, Federico Fellini, Mario Monicelli e Luchino Visconti e diviso in quattro episodi firmati da nomi come Suso Cecchi D’Amico, Italo Calvino, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano e Cesare Zavattini. Il film entrerà nella storia del cinema ma non ha una diretta correlazione con il Decameron.
In Renzo e Luciana di Monicelli una coppia di giovani sposi non riesce a trovare un momento di intimità a causa dei turni di lavoro, in Il lavoro di Visconti una donna per punire il marito che frequenta le prostitute pretende il pagamento delle sue prestazioni sessuali, mentre ne La riffa Sofia Loren si offre come premio di una lotteria.
È però senza dubbio Le tentazioni del dottor Antonio di Fellini l’episodio più celebre, con il moralista Peppino De Filippo alle prese con un gigantesco manifesto sexy attraverso il quale viene sedotto da Anita Ekberg. Il corto era ispirato, peraltro, all’episodio che aveva visto dodici anni prima Oscar Luigi Scalfaro ingiuriare pubblicamente una donna colpevole di essersi scoperta le spalle al ristorante (e che era stata difesa da Totò, che accusò il parlamentare di vigliaccheria perché si era sottratto alla sfida a duello lanciata dai parenti della donna). La storia sarà a sua volta ripresa venticinque anni dopo da un episodio della commedia Rimini Rimini di Sergio Corbucci interpretato da Paolo Villaggio e Serena Grandi.

Otto anni dopo Boccaccio ‘70 esce in Francia Decameron ‘69, che ripete l’operazione attraverso l’opera di sette registi di diversi paesi europei che si ispirano a Boccaccio per parlare di sesso, desiderio, solitudine e omicidio.

Tralasciando opere che un legame con Boccaccio non ce l’hanno nemmeno nel titolo originale ma solo in quello italiano (Decameron francese, Decameron orientale, Decameron nero), nel 1971 arriviamo finalmente al capolavoro di Pier Paolo Pasolini.

Quando si confronta con lo scrittore toscano il collega friulano è uno dei più importanti e discussi intellettuali italiani e senza dubbio il più anticonformista: ha al suo attivo 5 raccolte di poesie, 7 romanzi, 3 testi per il teatro, diverse canzoni scritte con Domenico Modugno e Sergio Endrigo, un programma per la radio, 6 documentari, 16 sceneggiature e 12 film, tra cui Accattone, Mamma Roma, La ricotta, Il Vangelo secondo Matteo, Uccellacci e uccellini e Che cosa sono le nuvole? con Totò, Porcile, Edipo Re e Medea con Maria Callas.

Nonostante abbia già segnato con queste opere la storia del cinema, Il Decameron si rivela il suo primo vero successo commerciale.

Dopo una lunga e tormentata gestazione che vede cambiare più volte la sceneggiatura, Pasolini decide di ambientare tutto il film a Napoli: e dal momento in cui solo tre novelle del Decameron sono di ambientazione partenopea, il regista ne trasferisce altre dalla Toscana. Elimina inoltre la cornice con i ragazzi fuggiti dalla peste utilizzando due personaggi delle novelle – Ser Ciappelletto e l’allievo di Giotto – come cornice delle novelle stesse.

Ninetto Davoli è Andreuccio da Perugia ne Il Decameron di Pasolini

Il film schiera i due volti-simbolo del cinema pasoliniano – Ninetto Davoli e Franco Citti – affiancati come di consueto da non professionisti, ma anche da nomi importanti come quello di Silvana Mangano, che interpreta la Madonna.

Le novelle scelte sono quella di Andreuccio da Perugia, dei giovani amanti Caterina di Valbona e Riccardo, la storia della suora sorpresa a letto con l’amante che vede la madre superiora che sulla testa ha delle mutande maschili al posto della cuffia (perché a sua volta – quando era stata chiamata a giudicare la peccatrice sorpresa in flagrante – si trovava a letto con il suo, di amante); monache licenziose sono le protagoniste anche dell’episodio di Masetto, ortolano muto di un convento, costretto a soddisfarle tutte.

C’è poi l’episodio di Peronella, che mentre sta tradendo il marito con Giannello lo vede arrivare all’improvviso e fa nascondere l’amante in una botte. Quando il marito le dice che ha portato un’acquirente della stessa botte, lei gli spiega che l’ha già venduta ad un altro compratore, che la sta ispezionando. A quel punto Giannello esce dalla botte dicendo di averla trovata sporca; così il marito cornuto si mette a pulirla mentre i due amanti riprendono il rapporto.

Decisamente più tragica la novella di Lisabetta di Messina, a cui i fratelli uccidono l’amante al quale lei – dopo averlo dissotterrato – taglia la testa per conservarla in un vaso. E ben più triviale quella di Gianni, che sostiene di poter tramutare la contadina Gemmata in un cavallo attraverso un rapporto sessuale. Tingoccio e Meuccio, invece, sono ansiosi di capire cosa ci sia dopo la morte e – soprattutto – se è peccato fare l’amore con la comare.

Infine, la novella di ser Ciappelletto mostra come un peccatore impenitente (assassino, ladro, libertino, pederasta e bestemmiatore) riesce a ingannare un prete in punto di morte, confessandogli peccati veniali se non ridicoli e costruendosi così – dopo la morte – la fama di uomo santo e venerato.

Pier Paolo Pasolini interpreta l’allievo di Giotto nell’ultimo episodio de Il Decameron (1971)

Molto particolare è l’episodio finale, che fa anche da cornice al secondo tempo e vede protagonista lo stesso Pasolini nei panni del migliore allievo di Giotto.
Lo spunto arriva da una brevissima novella in cui Giotto – morto appena 20 anni prima della stesura del Decameron – è impegnato in uno scambio di battute sarcastiche con l’amico Forese. I due vengono sorpresi da un diluvio mentre camminano per strada: “Giotto, a che ora – dice Forese guardando l’amico tutto inzaccherato dal fango e dalla pioggia – venendo di qua alla ’ncontro di noi un forestiere che mai veduto non t’avesse, credi tu che egli credesse che tu fossi il migliore dipintor del mondo, come tu se’? — A cui Giotto prestamente rispose: — Messere, credete che, guardando voi, egli crederebbe che voi sapeste l’abici?”.

Nella sceneggiatura di Pasolini Giotto è invece impegnato ad affrescare la basilica di Santa Chiara a Napoli (nella quale, effettivamente lavorò) e ha una visione della Vergine Maria con in braccio il bambino Gesù e tutta la schiera di angeli e santi; visione che il pittore si limita a “copiare”.

Ad interpretare Giotto doveva essere Sandro Penna, uno dei più grandi poeti italiani, che Pasolini considerava il suo maestro. Di fronte al forfait dato all’ultimo momento dal poeta, il regista decide di interpretare lui stesso l’episodio, trasformando però Giotto nel suo migliore allievo; che chiude il film pronunciando, di spalle, la battuta improvvisata da Pasolini direttamente sul set: “Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?”.

Vietato ai minori di 14 anni, il film – nonostante i problemi con la censura dovuti alle numerose scene di sesso – vince l’Orso d’argento al Festival del Cinema di Berlino e ottiene un grandissimo successo commerciale. Nella classifica degli incassi della stagione arriva al secondo posto dietro Continuavano a chiamarlo Trinità con Bud Spencer e Terence Hill ed è ancora oggi al sedicesimo posto nella classifica dei film italiani più visti di sempre.

Il trionfo del suo Decameron spinge Pasolini a farne il primo capitolo della “Trilogia della vita”: tre film caratterizzati dall’esaltazione del sesso in tutta la sua bellezza e tratti dalle tre grandi raccolte di novelle medievali: dopo il libro italiano toccherà all’inglese I racconti di Canterbury nel 1972; a chiudere la trilogia Il fiore delle Mille e una notte nel 1974.

A dispetto delle finalità estetico-filosofiche del poeta friulano, però, Il Decameron con la sua allegra e trasgressiva ostentazione della sessualità, inaugura suo malgrado il genere “decamerotico”, caratterizzato da un erotismo in chiave voyeuristica e un umorismo pecoreccio.

Anche Mario Brega, ricordato per le sue interpretazioni nella Trilogia del dollaro di Sergio Leone, si cimentò in una delle tante trasposizioni cinematografiche del Decameron

Il genere produce 15 film nel solo anno 1972 e viene inaugurato subito dopo l’uscita dell’opera di Pasolini da una pellicola che si presenta come il suo seguito: Decameron n. 2… Le altre novelle del Boccaccio di Mino Guerrini, che racconta le storie di Pietro di Vincione, Ferondo, Alibec, Anichino, Messer Puccio, don Felice e Isabetta e Spinelloccio.
Nel cast spicca il nome di Mario Brega (attore amato da Sergio Leone e Carlo Verdone); per il resto il film si distingue – secondo Segnalazioni cinematografiche – , “per grossolanità nel comico, per modestia nell’elaborazione cinematografica e per il dilettantismo delle interpretazioni”.

Ha invece poco a che fare con il libro di cui porta il titolo L’ultimo Decameron. Le più belle donne di Boccaccio conosciuto anche come Decameron n.3 di Italo Alfaro.
Appena più ambizioso è Decameron n.4 – le belle novelle di Boccaccio diretto sempre nel 1972 da Paolo Bianchini, dove un gruppo di popolane al lavatoio pubblico racconta le novelle di Ofano e la moglie Ghita, Calandrino, frate Rinaldo e frate Alberto da Roma.

Il Decamerone proibito di Carlo Infascelli e Antonio Racioppi è molto vagamente ispirato alle novelle mentre Decameron proibitissimo (Boccaccio mio statte zitto) di Marino Girolami, nonostante lo stile triviale, riprende piuttosto fedelmente il racconto di Boccaccio, sia nella cornice dei giovani fuggiti dalla peste (appena arrivati nella villa trovano un uomo steso a terra e pensano che sia morto, salvo scoprire che è semplicemente ubriaco) sia nella scelta delle novelle, che si aprono con quella di fra’ Pasquale che si vede beffato dall’oggetto del suo desiderio: la vedova Piccarda, ripetutamente molestata, con l’inganno lo fa finire a letto con la sua serva bruttissima e lo denuncia al vescovo.

Siamo ancora nel 1972 ed escono anche Decamerone ‘300 di Renato Savino e Decameroticus di Piergiorgio Ferretti con Riccardo Garrone, che darà il nome al nuovo fortunato genere, anche se in realtà è molto vagamente ispirato a Boccaccio, mescolandone l’opera a quelle di Pietro Aretino e Matteo Bandello.

Il genere è capace di varcare la cortina di ferro e unire occidente consumista e oriente comunista: in Polonia infatti Jan Budkiewicz dirige la commedia erotica Dekameron 40 mentre in America viene prodotto Love Boccaccio Style di Sam Philips.
In Germania, invece, lo stile decamerotico viene applicato ad un prodotto locale: Sigfrido e il canto dei Nibelunghi: Siegfried und das sagenhafte Liebesleben der Nibelungen di Adrian Hoven e David F. Friedman, tradotto tuttavia in italiano come La più allegra storia del Decamerone.

Isabella Biagini e Enrico Montesano nel Boccaccio di Bruno Corbucci (1972)

Nel miserabile filone degli emuli di Pasolini si distingue Boccaccio di Bruno Corbucci, ispirato alla novella in cui Buffalmacco e Bruno degli Olivieri fanno credere a Calandrino di avere scoperto una pietra che rende invisibili. Il film, uscito anch’esso nel 1972, è interpretato da un cast d’eccezione che comprende Alighiero Noschese, Enrico Montesano, Mario Carotenuto, Sylva Koscina, Isabella Biagini, Bernard Blier, Lino Banfi e Pippo Franco.

Sul fronte opposto Le calde notti del Decameron di Gian Paolo Callegari con Don Backy e Orchidea De Santis, incentrato su una cintura di castità che non solo non è presente nel Decameron, ma nemmeno nel Medioevo, essendo un falso storico.

Nel famigerato anno 1972 esce anche una sorta di “crossover” tra il Decameron di Pasolini e Fratello sole, sorella luna di Franco Zeffirelli: si chiama Fratello homo, sorella bona: scritto da Alfredo Tucci e diretto da Mario Sequi, nel manifesto mostra un frate francescano impegnato a spogliare una monaca.
La trama vede in realtà protagonista la giovane Chiarina di Vallefiorita, presunta figlia del podestà di una cittadina toscana e destinata a sposare il vecchio e grasso notaio Tebaldo de’ Tebaldi. Con l’aiuto del vero padre, priore di un vicino convento, e di alcuni falsi monaci e monache, la ragazza riesce a evitare il matrimonio impostole e a fuggire con l’uomo amato.

La locandina di Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e mariti penitenti – Decameron nº 69 (1972, Romano Gastaldi)

Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e mariti penitenti – Decameron nº 69 è firmato nel 1972 da Romano Gastaldi alias Aristide Manaccesi alias Joe D’Amato. Attenzione al numero, che non fa riferimento ai film tratti da Boccaccio ma ad una posizione sessuale.
Ispirati al Decameron anche Masuccio Salernitano di Silvio Amadio (sottotitolo: Come fu che Masuccio Salernitano, fuggendo con le brache in mano, riuscì a conservarlo sano) e Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno di Bitto Albertini: anch’esso appartenente al sottogenere del decamerotico sacro, si avvale nei titoli di testa di vignette disegnate da Mordillo e stornelli cantati da Gianni Musy, e nel 1973 ha anche un seguito: Continuavano a mettere lo diavolo ne lo inferno dello stesso Albertini (che narra le imprese erotiche di due soldati che – tra l’altro – entrano in un convento vestiti da frati e ne escono travestiti da suore).
Il film avrà un ulteriore seguito apocrifo con il titolo Leva lo diavolo tuo dal convento, titolo italiano della commedia sacro-decamerotica tedesca Frau Wirtins tolle Töchterlei di Franz Antel.
Beffe, licenze et amori del Decamerone segreto di Walter Pisani con l’immancabile Orchidea De Santis mette in scena, in realtà, non Boccaccio ma Cecco Angiolieri, l’autore di Si fossi foco arderei lo mondo.
Non mancano, nel filone, versioni porno-erotiche di Robin Hood (Le avventure amorose di Robin Hood di Erwin C. Dietrich e Richard Kanter del 1973 e Le piccanti avventure di Robin Hood di Ray Austin del 1984) e di Marco Polo (Le avventure erotiche di Marco Polo sempre di Joe D’Amato del 1994).

Decisamente più serio e filologico è invece il film televisivo spagnolo Cuentos de Giovanni Boccaccio diretto nel 1974 da Pilar Mirò, mentre un Boccaccio apocrifo e dantesco è quello protagonista di Novelle licenziose di vergini vogliose di Joe D’Amato del 1974, in cui lo scrittore sognando di essere guidato attraverso l’inferno apprende alcune storie di dannati.

Con la fine degli anni ’70 il genere decamerotico si esaurisce: Decameron Tales di Franco Lo Cascio con Sarah Young del 1995 non appartiene più alla commedia ma è un vero e proprio porno. Un tributo al genere è invece quello offerto nel 2007 da Decameron Pie di David Leland, che strizza l’occhio al successo della commedia demenziale American Pie, interpretato da Hayden Christensen (divenuto celebre per la saga prequel di Guerre Stellari) con un numeroso cast che comprende Tim Roth, Anna Galiena ed Elisabetta Canalis. Due anni dopo in Brasile esce la serie televisiva Decamerao di Jorge Furtado.

Nel 1984 una delle più celebri novelle del Decameron – quella di frate Cipolla – prende vita sullo schermo in un film tratto, in realtà, da un altro classico della letteratura medievale: Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno di Mario Monicelli, che prende il titolo e i personaggi dalle novelle di Giulio Cesare Croce (Le sottilissime astutie di Bertoldo del 1606 e Le piacevoli et ridicolose simplicità di Bertoldino del 1608); in realtà il regista e i suoi sceneggiatori (Benvenuti, De Bernardi e Suso Cecchi d’Amico) attingono ad un vasto repertorio che spazia da I racconti di Canterbury a Pietro Aretino, da Apuleio, Esopo e Aristofane a Machiavelli, Sacchetti e Le mille e una notte, fino appunto, al Decameron di Giovanni Boccaccio.

Alberto Sordi (frate Cipolla) e Ugo Tognazzi (Bertoldo) nel film di Monicelli del 1984

Spacciatore di reliquie false, Cipolla (cui presta il volto Alberto Sordi) annuncia di aver portato con sé nientemeno che una piuma delle ali dell’arcangelo Gabriele, caduta al momento dell’Annunciazione alla Vergine Maria. Ascoltando la solenne dichiarazione, però, Bertoldo – interpretato da Ugo Tognazzi – decide di fargli uno scherzo e gli ruba la piuma sostituendola con dei carboni. Quando, durante la predica, Cipolla apre il reliquiario e ci trova i carboni al posto della penna, non si perde d’animo e li mostra ai fedeli spacciandoli per quelli che erano stati utilizzati per bruciare sulla graticola San Lorenzo.

A chiudere il cerchio e farlo quadrare, restituendo finalmente al capolavoro di Boccaccio il suo ruolo, nel 2015 arriva l’ultimo, meraviglioso film tratto dal Decameron; meraviglioso di fatto e di nome: Meraviglioso Boccaccio è infatti il titolo scelto da Paolo e Vittorio Taviani per l’opera con cui i registi toscani si confrontano con il loro conterraneo e il grande cinema italiano riscopre la grande letteratura italiana.

Si tratta del penultimo film dei due fratelli autori – tra l’altro – di Allosanfan, Padre Padrone, La notte di San Lorenzo, Kaos, Good Morning Babilonia, Le affinità elettive, Tu ridi, La masseria delle allodole e Cesare deve morire.

Kim Rossi Stuart interpreta Calandrino nel Meraviglioso Boccaccio dei fratelli Taviani (2015)

Più filologico di quello di Pasolini, il Decameron dei Taviani recupera la tragedia della peste, la cornice con i ragazzi che si raccontano le novelle per ingannare il tempo in attesa che passi l’epidemia, l’ambientazione toscana, ma anche e soprattutto la completezza dell’opera che – per la prima volta – non si limita agli episodi erotici e “boccacceschi” ma torna a comprendere anche novelle più romantiche e tragiche: a fianco all’episodio di Calandrino, Bruno e Buffalmacco (che rimane senza finale, del quale discutono i ragazzi) trova posto la tragedia di Ghismonda (a cui il padre, gelosissimo, fa uccidere l’amante), ritroviamo la madre superiora Isabetta che si mette inavvertitamente in testa le mutande dell’amante per andare a punire la suora trovata a letto con un uomo, ma fa capolino anche la straziante storia di Federico degli Alberighi, innamorato della vedova Giovanna, che si fa invitare a pranzo per chiedere all’uomo di regalare al figlio malato il suo falcone. Non avendo niente da cucinare, però, Federico è costretto a uccidere proprio l’amato e ambito falcone.

Fresco, intenso, divertente, il film si avvale di un cast ricchissimo e in stato di grazia (che vede – tra gli altri – Lello Arena, Kasia Smutniak, Michele Riondino, Carolina Crescentini, Paola Cortellesi, Riccardo Scamarcio, Vittoria Puccini, Flavio Parenti, Kim Rossi Stuart, Jasmine Trinca, Eugenia Costantini e Lino Guanciale) e una fotografia che incanta e restituisce un’epoca come forse solo Barry Lyndon di Stanley Kubrick era riuscito a fare prima.
Uno stile di riprese controllato, che rimanda alla rappresentazione pittorica prerinascimentale, fatta di eleganza e geometria e sottolinea la forza vivifica dell’amore con uno stile teatrale, fiabesco e straniato. “I Taviani – scrive Gianluca Arnone sul Cinematografo – onorano la propria terra, la Val d’Orcia, esaltandone bellezze naturali e architettoniche dentro quadri geometrici, di grande luminosità e vivacità”.

Un film su Boccaccio senza nulla di boccaccesco: senza volgarità e senza erotismo; che riscatta finalmente la “Corona” e il suo capolavoro.

Arnaldo Casali

Consigli di lettura:

Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di Vittore Branca, Einaudi, 2014.

Filmografia:

Il Decamerone di Gennaro Righelli, 1912.
Le notti del Decamerone di Hugo Fregonese, 1953.
Boccaccio ‘70 di Vittorio De Sica, Federico Fellini, Mario Monicelli e Luchino Visconti, 1962.
Il Decameron di Pier Paolo Pasolini, 1971.
Decameron n. 2… Le altre novelle del Boccaccio di Mino Guerrini, 1972.
Decameron n.4 – le belle novelle di Boccaccio di Paolo Bianchini, 1972.
Decameron proibitissimo (Boccaccio mio statte zitto) di Marino Girolami, 1972.
Decameroticus di Piergiorgio Ferretti, 1972.
Boccaccio di Bruno Corbucci, 1972.
Masuccio Salernitano di Silvio Amadio, 1972.
Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno di Bitto Albertini, 1972.
Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno di Mario Monicelli, 1984.
Decameron Pie di David Leland, 2007.
Meraviglioso Boccaccio di Paolo e Vittorio Taviani, 2015.

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